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«All’Italia serve più produttività. Il Mes? Occasione da non perdere»

Andrea Munari, ceo di Bnl-Bnp Paribas: «Con la Tltro di Bce più credito all’economia. Ora puntare su investimenti in infrastrutture, digitale e green economy. Debito pubblico sostenibile con politiche orientate alla crescita»

di Alessandro Graziani

(IMAGOECONOMICA)

5' di lettura

«Per uscire dalla crisi e avviare una vera e duratura ripresa dell’economia in Italia bisogna assolutamente aumentare la produttività. Vale per tutto il sistema economico, pubblico e privato. Comprese le banche che devono sfruttare al meglio le opportunità offerte dalla tecnologia digitale e dallo smart working». Andrea Munari, country manager per l’Italia del gruppo Bnp Paribas e amministratore delegato di Bnl, è convinto che la difficile fase di crisi che l’Italia sta vivendo possa e debba essere trasformata in una grande opportunità di rilancio del Paese. «Fin troppo facile ricordare i necessari e non oltre procrastinabili investimenti in innovazione, infrastrutture, reti, nel digitale, nell’economia sostenibile, nello snellimento dei tempi della burocrazia, però il vero nodo sta in quelli da dedicare alla scuola e alla ricerca». Ma la parola chiave, a suo giudizio, è: produttività.

Partiamo dalla fase di emergenza economica. Il Governo e l’Europa hanno dato risposte all’altezza della situazione?

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Per tamponare l’emergenza sono state adottate politiche di tipo keynesiano velocemente, sia dai singoli Stati nazionali che dall’Europa, fatto questo che costituisce una novità che mi piace evidenziare. Tuttavia il tema chiave dei prossimi mesi è se le nuove politiche di rilancio riusciranno a generare nuovi animal spirit tra gli imprenditori ma anche tra i consumatori. Siamo in una fase in cui purtroppo pesano molto paura e inquietudine; paura di perdere il lavoro o comunque di veder scendere il reddito familiare o i propri risparmi. Non basta Keynes, serve anche Kahneman e le sue teorie sull’economia comportamentale. Il compito della classe dirigente, sia nel pubblico che nel privato, è quello di fare in modo che i cittadini di tutte le generazioni guardino al futuro con ottimismo.

Da banchiere, quali sono a suo giudizio gli investimenti di cui necessita l’Italia?

Servono nuovi vettori di crescita strutturale, a partire dal digitale e dalla sostenibilità ambientale. Penso agli investimenti in infrastrutture, per potenziare le reti tlc di banda larga anche in vista di una più ampia diffusione dello smart working. Ma anche infrastrutture ferroviarie, che portino i treni ad alta velocità in più aree di Italia. E un rilancio del settore costruzioni, che di fatto non si è più ripreso dalla crisi del 2008/2012, da indirizzare verso opere di riconversione immobiliare e progetti di rigenerazione urbana. Perché tutto ciò accada, ovviamente, c’è bisogno di uno snellimento della burocrazia che liberi il Paese, per citare Guido Carli, dai lacci e lacciuoli che tengono a freno gli animal spirit dei tanti, italiani e non, che hanno voglia e capacità di intraprendere nel nostro Paese. Ma tutto questo non può che passare attraverso un importante cambio di marcia sia nell’istruzione che nella ricerca.

In questi giorni in Italia si dibatte sul possibile ingresso dello Stato nel capitale delle imprese. Che ne pensa?

Credo che in alcuni casi potrebbe essere necessario, anche se di principio non sono favorevole. Credo che bisogna prima chiarire bene quale è il ruolo dello Stato e soprattutto quali sono le regole di ingaggio per le imprese.

Avere imprese più capitalizzate, si dice, è anche nell’interesse delle banche. O no?

Guardi, l’interesse delle banche coincide con quello di tutto il sistema Italia. E l’interesse di tutti è avere un Paese che torni a crescere nel più breve tempo possibile. Per riuscirci, a mio giudizio, la priorità è l’aumento della produttività.

Le banche sono in grado di fornire tempestivamente liquidità al sistema delle imprese?

La liquidità c’è e sta arrivando a destinazione. Ma ad averne urgenza sono soprattutto le piccole e medie imprese. Le più grandi si stanno muovendo per salvaguardare la loro filiera industriale e tutelare i fornitori. In alcuni casi anche per preparare operazioni di consolidamento perché la crisi offre anche opportunità. Ad esempio nella rivisitazione in corso della supply chain globale, che potrebbe avere effetti positivi anche per l’Italia, secondo Paese per capacità manifatturiera in Europa.

La crisi impatterà comunque anche sulle banche. Teme una forte crescita degli Npl con ricadute sulla già magra redditività degli istituti europei, soprattutto se confrontata con i colossi Usa del settore?

Il sistema bancario italiano è molto più forte rispetto alla crisi del 2008 e sulla riduzione degli Npl in generale è stato fatto molto lavoro. Il vero tema rimane quello della redditività delle banche. In Italia, ma non solo in Italia, a parte rare eccezioni il Roe è inferiore al costo del capitale che rimane troppo alto e ciò alla lunga non è sostenibile. Una soluzione è il consolidamento, con le conseguenti sinergie, l’altra è una significativa riduzione dei costi sfruttando le potenzialità delle nuove tecnologie.

La Bce ha attivato il bazooka di politica monetaria e ha allentato i vincoli al capitale delle banche per evitare il credit crunch. Ora è arrivata la Tltro per aiutare l’economia. La risposta di Bce alla crisi è stata adeguata?

Bce ha utilizzato tutte le munizioni possibili, anche per le banche. Alla Tltro c’è stata una richiesta significativa e ciò è positivo per l’economia. Gli allentamenti sui vincoli di capitale creano un contesto più agevole per le banche più fragili, ma credo che serva molta prudenza da parte degli operatori perché le deroghe sono giustamente temporanee. Credo comunque che Bce sia stata preziosa soprattutto nell’evidenziare che la politica monetaria non poteva essere l’unica risposta alla crisi, ma che servono anche politiche fiscali comuni a livello europeo. Ci sono già i primi segnali che si sta andando in quella direzione.

Il Recovery Fund della Ue sarà sufficiente?

È un importantissimo passo avanti, tanto più perché si concentra su investimenti strutturali nel digitale e nella green economy su cui ridisegnare l’economia del futuro. La vera svolta per l’Europa arriva dalla Germania che, oltre a sostenere con la Francia il piano Next Generation Ue, ha approvato un pacchetto di misure fiscali per spingere la domanda interna dopo anni di economia export driven. Di questo l’Italia senza dubbio beneficerà.

L’Italia deve chiedere i prestiti del Mes?

Da cittadino italiano, credo che sia un’occasione da non perdere. È l’opportunità per ammodernare e migliorare ulteriormente il sistema sanitario in tutta Italia, tanto più necessario se si tiene conto delle tendenze demografiche sull’invecchiamento della nostra popolazione. E con il Mes possiamo finanziarci a un costo più basso del nostro debito pubblico.

Il rapporto tra debito pubblico e Pil in Italia è destinato a salire verso il 160%. Preoccupato per la sua sostenibilità? Crede che l’anno prossimo, come qualcuno ogni tanto ipotizza, servirà una patrimoniale?

Il debito va rimborsato e quindi, se lo si incrementa, va fatto con grande responsabilità. Non reputo necessario ricorrere a una patrimoniale. La sostenibilità del debito pubblico è valutata, anche dagli investitori, in un’ottica di medio-lungo termine. Il sistema Italia può sostenerlo solo se sviluppa politiche orientate fin da subito alla crescita e, lo ripeto, perché credo sia fondamentale, per ottenere tutto ciò va aumentata drasticamente la produttività.

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