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All’Italia serve una visione su mercato unico e aiuti di Stato

Un tema cruciale per definire la stessa natura dell’Unione europea (Ue)

di Sergio Fabbrini

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3' di lettura

La nostra premier ha considerata “inappropriata” la scelta del presidente francese e del cancelliere tedesco di cenare a Parigi, la sera prima del Consiglio europeo di giovedì scorso, con il presidente ucraino senza invitarla. Ha ragione. Tuttavia, inappropriata è stata soprattutto la decisione francese di avere un incontro con Volodymyr Zelensky a Parigi prima che a Bruxelles. Per Emmanuel Macron e Olaf Scholz, l’interesse dell’Europa sembra coincidere con la somma degli interessi dei loro due Paesi. Invece di chiedere l’aggiunta di un posto a tavola a Parigi o a Berlino, il governo italiano dovrebbe invece lavorare per cambiare tavola. Ciò richiede, però, una strategia (che non si vede) per rispondere alle sfide del cambiamento, a cominciare da quello economico. La riunione straordinaria del Consiglio europeo (dei capi di governo) ha discusso (tra l’altro) di come rispondere alla sfida protezionistica del presidente americano Joe Biden.

Un tema cruciale per definire la stessa natura dell’Unione europea (Ue). Sin da quando si è avviato il progetto del mercato unico alla fine degli Ottanta del secolo scorso, lo sviluppo dell’Ue è stato condizionato dai cambiamenti del sistema internazionale oltre che dai mutamenti nei rapporti interni tra i suoi stati membri. Il progetto del mercato unico ha potuto infatti beneficiare dell’apertura dei mercati del decennio successivo (la globalizzazione del dopo Guerra Fredda). Tuttavia, esso è stato accompagnato anche da profonde divisioni politiche, tra stati e tra partiti, relative ai suoi obiettivi. Tre coalizioni si sono confrontate: la coalizione neoliberale, la coalizione neo-mercantilista e la coalizione neo-welfarista. La coalizione neoliberale, a lungo predominante, ha perseguito l’obiettivo di promuovere la competitività interna del mercato unico. Guidata all’inizio dalla premier britannica Margareth Thatcher, questa coalizione ha contrastato gli aiuti di stato alle imprese, sostenendo che la liberalizzazione dei mercati è la condizione dell’efficienza economica. Dopo Brexit, la leadership è stata assunta dai Paesi Bassi mentre il sostegno ad essa ha continuato a provenire dai piccoli Paesi del nord (scandinavi e baltici). La coalizione neo-mercantilista ha cercato invece di promuovere una liberalizzazione selettiva dei mercati, così da preservare la stabilità elettorale in settori dipendenti dall’intervento pubblico. Questa coalizione è stata tradizionalmente guidata dalla Francia, con il sostegno della Germania post-unificazione. Infine, la coalizione neo-welfarista (di cui l’ex presidente della Commissione europea Jacque Delors è stato il principale ispiratore) ha cercato di inserire una cultura sociale all’interno della logica di mercato. La pandemia e la guerra, con i loro effetti di ridimensionamento della globalizzazione, hanno messo in discussione la predominanza della coalizione neoliberale, favorendo la coalizione neo-mercantilista. Oggi, Olaf Scholz è il portavoce di quest’ultima, in particolare del complesso “energetico-industriale” tedesco, inclusivo anche degli interessi sindacali.

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Le Conclusioni del Consiglio europeo di giovedì scorso riflettono l’ascesa della coalizione neo-mercantilista. Esse riconoscono, infatti, la necessità che, “in materia di aiuti di Stato, le procedure devono essere rese più semplici, rapide e prevedibili e devono consentire di fornire rapidamente un sostegno mirato, temporaneo e proporzionato, anche mediante crediti d’imposta, nei settori strategici per la transizione verde che subiscono l’impatto negativo delle sovvenzioni estere o degli elevati prezzi dell’energia”. Ridimensionando il mercato unico vengono ridimensionate anche le sue istituzioni sovranazionali, rafforzando il ruolo dei governi nazionali in settori che sono di competenza sovranazionale. Ad esempio, la settimana scorsa, i ministri dell’economia francese e tedesco sono andati (da soli) a Washington D.C. per negoziare l’apertura dell’economia americana alle imprese europee, come se ciò fosse una questione di politica industriale e non anche di politica commerciale (su cui la Commissione europea ha la competenza esclusiva). Certamente, la coalizione neoliberista ha ottenuto che si riconoscesse il carattere temporaneo degli aiuti di stato, oltre che si riaffermasse il principio che “l’Unione (deve) evitare la frammentazione del mercato unico”. E l’Italia, dove si colloca? Abbiamo proposto di istituire un Fondo sovrano europeo per sostenere gli investimenti nei settori strategici, cui il Consiglio europeo si è limitato a rispondere che la Commissione “ha intenzione” di affrontare il problema prima dell’estate del 2023, precisando che intanto occorre utilizzare tutti “i finanziamenti disponibili e gli strumenti finanziari esistenti”. In realtà, ciò che interessa al governo italiano è ottenere una flessibilità nei tempi di applicazione del nostro PNRR, preoccupato solamente della politica interna. Eppure, sarebbe necessario elaborare una visione italiana della “autonomia strategica aperta” dell’Ue, capace preservare il mercato unico “fin dove è sufficiente” e promuovere imprese europee (europee) “fin dove è necessario”.

Insomma, a Bruxelles è in corso un confronto il cui esito condizionerà il futuro dell’Ue. La sfida è riformare il mercato unico rafforzando il ruolo delle istituzioni sovranazionali e non già dei governi nazionali. La nostra premier dovrebbe preoccuparsi della ristrettezza della visione europea dell’Italia, non già della grandeur incartapecorita dei comportamenti francesi o tedeschi.

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