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All’Ocean Race le barche navigano contro il climate change

La francese Team Europe è dotata di sensori per le microplastiche. I dati raccolti durante la regata confluiscono in un progetto dell’Unesco

di Pierangelo Soldavini

Verso Genova. All’Ocean Race, la regata intorno al mondo che arriverà a fine giugno a Genova, diverse imbarcazioni si trasformano in sensori per lo studio degli effetti del climate change (nella foto il team Malizia)

4' di lettura

La barca francese di Team Europe ha rotto l'albero alla fine della seconda tappa dovendo così rinunciare a quella in assoluto più lunga dell'Ocean Race, che ha attraversato i mari del Sud, da Città del Capo a Itajaì, in Brasile. Fino a che ha potuto ha comunque fatto la sua parte: dalla chiglia ha raccolto senza soluzioni di continuità campioni d'acqua che finiscono in un'apposita apparecchiatura sottocoperta, dove passano tre filtri progressivi che trattengono le microplastiche tra 0,03 e 5 millimetri.

Microplastica in forte crescita

I risultati sono impietosi: anche grazie a una sensibilità aumentata, le particelle di microplastica sono arrivate fino a quasi 1.900 per metro cubo, con picchi rilevati sulla costa sudafricana, diciotto volte più di cinque anni fa. I dati sono tanto più rilevanti in quanto raccolti in aree con monitoraggi decisamente inferiori rispetto alle rotte nordatlantiche. Così nel punto più remoto del pianeta, Point Nemo, a 2.700 km dalla terraferma in qualsiasi direzione, le particelle sono balzate a 320 per metro cubo dai livelli tra 9 e 41 dell'ultima volta. Anche le altre quattro imbarcazioni della categoria Imoca hanno ciascuna il proprio ruolo scientifico.

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Sensori per studiare gli effetti del climate change

Mentre volano sull'acqua per la sfida sui 62mila km dell‘Ocean Race, la regata intorno al mondo partita a metà gennaio da Alicante e in arrivo a fine giugno a Genova, per la prima volta in Italia, le barche si trasformano in sensori per lo studio degli effetti del climate change sulle acque oceaniche: dalla temperatura alla salinità, da nitrati e solfiti all'acidità fino alla CO2 di superficie, i dati vengono raccolti, integrati con quelli satellitari, andando ad alimentare il progetto europeo EmodNet, nell'ambito del Global ocean observing system dell'Unesco. «A una velocità fino a 39 nodi, circa 90 km l'ora, sono i mezzi scientifici più veloci del mondo. Ma soprattutto arrivano a recuperare dati in aree difficili da coprire dai monitoraggi tradizionali», spiega Stefan Raimund, responsabile scientifico dell'Ocean Race, sottolineando il valore di quello che da un esperimento avviato nel 2017, insieme alla Vendée Globe, vero e proprio giro del mondo a vela, è diventato ormai un modello condiviso dai team in gara: «Di fronte a un'emergenza globale come il climate change, questo modello deve diventare una pratica condivisa di collaborazione».

Modello di scienza collaborativa

Non a caso lo slogan di questo programma è “Race with a purpose”, gareggia con uno scopo.Si tratta di un modello di citizen science globale che ha radici italiane. Perché a curare la raccolta dei dati o, meglio, a garantire la disponibilità e la standardizzazione, rendendoli compatibili con tutti gli altri raccolti a livello globale è Ett, spinoff universitario genovese creato nel 2000 e ora società da 250 dipendenti entrata nel gruppo Scai, che ha creato modelli di business diversificati attorno alla sua competenza nella gestione di dati complessi. Partita dagli uffici di collocamento e dalla sostituzione delle dimissioni via raccomandata, la società ha ampliato il suo raggio d'azione all'innovazione museale e alla presentazione in maniera innovativa di contenuti e prodotti, anche sfruttando tecnologia di realtà virtuale, come la “beauty machine” incorporata negli specchi dei negozi o la personalizzazione delle fragranze di profumi su base personalizzata.

Ett: rendere accessibili i dati globali

Ora questa competenza nella gestione dei dati è finita anche nell'ambito del monitoraggio ambientale, una divisione che vale il 10% circa dei 32,8 milioni di euro di fatturato, quota che punta a raddoppiare in due-tre anni. “La nostra mission è quella di rendere disponibili e accessibili i dati globali sulle proprietà fisiche e chimiche delle acque oceaniche – spiega Antonio Novellino, responsabile smart cities e sostenibilità di Ett -. Noi mettiamo a disposizione la nostra competenza per migliorare i modelli previsionali e anticipare l'intensità degli eventi estremi. Lo facciamo garantendo in primo luogo l'interoperabilità e la disponibilità dei dati, insieme alle competenze sui modelli numerici per integrare più variabili, sfruttando le infrastrutture computazionali come il centro Hpc di Bologna e mettendo a punto algoritmi con capacità di rielaborazione continua degli scenari”.

L’estensione a navi terze e cargo

La validazione dei risultati permette di confrontare le previsioni con la serie storica di quanto successo realmente, arrivando a ulteriori affinamenti dei modelli previsionali. L'analisi delle serie storiche ha permesso, per esempio, di individuare andamenti anomali: nell'ambito del progetto europeo Ocean Ice la relazione tra i ghiacci permanenti, la biosfera e le correnti ha permesso di scoprire cavitazioni sottomarine dove si registrano accelerazioni dei rialzi delle temperature, spia di problemi conseguenti per l'instabilità dei ghiacci di superficie e per il cambio delle correnti oceaniche. “L'obiettivo è arrivare a determinare con maggior precisione il livello di “non returning point” del fenomeno”, prosegue Novellino. Il piano Ocean Ops punta a estendere la disponibilità di sensoristica e raccolta dati anche a barche terze e navi cargo, soprattutto sulle rotte meno frequentate, proprio per spremere ulteriore valore dalla citizen science. Poi, però, i risultati di rilevazioni e rielaborazioni previsionali devono essere comunicate in maniera corretta, se no rischiano di rimanere inutili. “La presentazione dei dati in maniera semplice ed efficace, con cruscotti e modalità innovative è una parte altrettanto rilevante, dal momento che l'obiettivo è trasmettere le conclusioni delle analisi e dei modelli predittivi in maniera comprensibile ai policy maker, per poterle trasformare in azioni concrete”, sottolinea Roberto Frasca, che di Ett è direttore creativo e che si occupa proprio di questa parte, forte di una lunga esperienza nella trasformazione dell'esperienza di fruizione dei musei italiani. La stessa competenza viene applicata anche in ambito smart cities con un'esperienza concreta nella Genova d'origine della società. Ett a messo a punto un cruscotto per il monitoraggio e la gestione dei flussi energetici e fisici, di persone e di merci, all'interno di un microcosmo a metà tra la piccola città e un grande condominio che è il Porto antico del capoluogo ligure, con tutta la sua complessità. Con il risultato di prevedere i movimenti ed efficientare l'organizzazione e la logistica. Oltre ad aver scoperto un enorme perdita d'acqua delle tubature nei fondi degli edifici del porto

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