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Alla scoperta delle competenze necessarie per lavorare con l’AI

Linee guida sul modello di condotta ideale per lavorare con gli algoritmi

di Gianni Rusconi

(EPA)

4' di lettura

Nell’era dell'intelligenza artificiale generativa, le riflessioni su come “accogliere” le potenzialità di questa tecnologia e abbinarle alle capacità proprie dell'essere umano si sprecano. L'intento (lodevole almeno sulla carta) è quello di tracciare una linea guida che suggerisca il modello di condotta ideale per lavorare con gli algoritmi e su questa tema si è espresso l'Osservatorio di Tack TMI Italy (branch italiana di Gi Group Holding, multinazionale italiana attiva nel campo delle soluzioni di Learning & Development), che ha rilevato come oggi solo il 20% delle aziende (una su cinque dunque) stia investendo in progetti formativi rivolti a potenziare le competenze umane necessarie per affrontare l’ibridazione uomo/macchina.

Gli ambiti di applicazione di questo (nuovo) paradigma ormai li conosciamo, riguardano diverse funzioni aziendali e spaziano dalla robotica industriale alla gestione automatizzata dei magazzini, dalla manutenzione predittiva all'office automation, dagli assistenti virtuali alle chat bot. E l'integrazione delle nuove tecnologie in azienda, come recita il World Economic Forum, porterà a una profonda trasformazione del mondo del lavoro.

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Come affrontare queste sfide? Una strada, come suggerisce Irene Vecchione, Amministratore Delegato di Tack TMI Italy, è quella di focalizzarsi sulle competenze umane ritenute più strategiche per interagire con l'intelligenza artificiale nei diversi processi aziendali. Parliamo di pensiero critico ed intelligenza emotiva, di collaborazione, adattabilità e creatività.

C'è chi la ritiene un alleato dell'uomo e chi un potenziale nemico: a suo giudizio qual è la definizione più corretta dell'AI?
In un dibattito articolato in cui solo lo stretto connubio uomo/macchina potrà essere vincente e over performante rispetto al solo fattore umano o alla sola macchina in tutti i campi, ritengo l'intelligenza artificiale un co-pilota da gestire. Non è pienamente trasparente, rielabora i dati che subiscono i bias cognitivi che noi stessi le abbiamo trasmesso. Rielabora, ma non genera. Considerando poi un certo grado di prevedibilità, il ruolo delle competenze umane è fondamentale per mantenerne il controllo e decodificarla al meglio.

Facciamo qualche esempio.
La creatività aiuta a superare i limiti dell'AI, come la mancanza di comprensione del contesto, di generazione di nuove idee e di identificazione di soluzioni innovative a problemi complessi. Solo con l'intelligenza emotiva, inoltre, si possono tenere ingaggiate le persone: una competenza simile non è trasferibile a un bot e anzi si correrebbe il rischio di generare soluzioni o risposte standardizzate poco utili alla persona. Tramite la collaborazione, intesa come l'abilità di lavorare “in team” con l'intelligenza artificiale, si può infine migliorare l'efficienza e la produttività del lavoro di squadra.

Come dovrebbe interpretare questa tecnologia un professionista delle Hr?
Lo scenario è sicuramente complesso, ma per affrontare le sfide che attendono la workforce il primo passo è trovare un equilibrio tra il fattore umano e l'intelligenza artificiale. L'ibridazione, infatti, sarà la via sostenibile sia per le aziende sia per i lavoratori: le prime dovranno essere in grado di formare le proprie persone per gestire al meglio le potenzialità dell'AI, compresa quella generativa, i secondi dovranno rafforzare queste skill ancora di più rispetto al passato per essere allineati alle innovazioni aziendali e alle richieste del mercato. Nel contesto attuale, in cui la forbice tra competenze possedute e skill richieste è sempre più ampia, la formazione svolge una funzione essenziale per l'impiegabilità delle persone e la competitività generale delle imprese. Per questo motivo siamo tutti chiamati a tenere il focus sull'apprendimento: gli individui per se stessi, sviluppando senso di responsabilità, abitudine e attitudine al self-learning, le organizzazioni costruendo contesti che favoriscano un apprendimento continuo e diffuso.

Meglio puntare su competenze tecniche o su soft skill per formare le persone a utilizzare gli algoritmi?
Bisogna distinguere tra chi progetta l'AI, che ha naturalmente bisogno di maggiori competenze hard, e chi la utilizza. È fondamentale comprendere che se l'intelligenza è artificiale, le skill per farla funzionare al meglio restano e resteranno quelle umane, e quindi le cosiddette competenze trasversali o soft, che oggi sono fondamentali e solide quanto quelle tecniche, seppur da implementare in una nuova ottica. Il pensiero critico, in particolare, è fondamentale per comprendere le limitazioni dell'AI, ed altrettanto importante per le aziende è la capacità di identificarne le possibili implicazioni etiche e sociali.

Come si allenano pensiero critico, adattabilità e creatività di un senior manager in ambito sales o procurement?
Si costruiscono e si allenano attraverso l'apprendimento continuo e diversificato nelle modalità e nelle metodologie: non solo formazione formale dunque, ma anche social e peer learning, coaching e counseling possono essere strumenti molto utili, soprattutto per i senior manager. Il segreto è essere open-minded, curiosi e desiderosi di imparare, e consapevoli che se blocchiamo le iniziative individuali per l'apprendimento blocchiamo anche la nostra carriera. È importante comprendere che queste skill possono aiutare le persone non solo a lavorare efficacemente con l'AI, migliorando per esempio la capacità di interpretazione dei dati, ma anche a rispondere alle richieste delle organizzazioni impegnate a creare ambienti di lavoro positivi e produttivi.

I leader di domani possono fare a meno dell'AI?
L'intelligenza artificiale fa parte di quei processi evolutivi inarrestabili e ineludibili con cui dover fare necessariamente i conti. Certamente dovremo approfondirne le evoluzioni, le potenzialità, i rischi e i pericoli, ma pensare di farne a meno è inutile: siamo già utenti dell'AI, pur non avendolo chiesto o scelto, fa parte dell'evoluzione tecnologica. Tanto vale, dunque, capire come utilizzarla al meglio e quanto prima, al fine di migliorare e/o efficientare processi ed evolvere come singoli e organizzazioni. Come leader va tenuta ferma la visione di impresa che si intende essere o diventare, centrata sul futuro, sui valori e sulle strategie su cui si vuole investire tempo ed energie. La sfida è proprio qui: trovare la chiave per evitare di subirla e per guidarla con l'obiettivo di perseguire il bene comune.


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