Alla scoperta di Kirikù, dove la favola si fa trama artigianale, reversibile e unisex
A Venezia una boutique mixa ricerca sartoriale e pezzi unici. Al centro mette la selezione dei materiali, dalle borse made in Veneto agli abiti indiani.
di Lisa Corva
3' di lettura
A Venezia, città di calli, ponti e segreti, c'è una boutique, anzi ce ne sono due, che portano il nome di un racconto e sono così conosciute che non hanno neppure l'insegna sulla porta: Kirikù. Ce le racconta Cristina Nogara. «Sono laureata in psicologia clinica, avevo utilizzato le fiabe per lavorare con pazienti psicotici. Mi piaceva Kirikù e la strega Karabà, un lungometraggio animato del 1998 ideato da Michel Ocelot. Ho tolto la strega, ed è rimasto il nome del negozio». Il mood delle sue boutique è la continua ricerca, più che di brand, di designer, di stilisti. «Non punto sul marchio del momento: quello che entra nei miei negozi è scelto secondo il mio gusto, capi che, tra l'altro, non sempre indosso. Mi piacciono le magie indiane di Péro, ad esempio, tutte le collezioni, ogni singolo pezzo, ma non ho un capo Péro nel mio armadio. Per questa primavera/estate, però, ho scelto come sempre degli abiti, uno più romantico dell'altro (da mille a 3mila euro), e dei capispalla in pizzo antico.
Tutto è disegnato da una donna, Aneeth Arora, e anche i pezzi più semplici sono ricamati a mano. Di solito sono reversibili e anche quando non sono pensati così, i particolari dell'interno, le cimose, sono talmente belli che è un peccato non farli vedere. Infatti, una mia cliente indossa il suo cappotto Péro anche rovesciato».
Fra le altre proposte, si trovano gli abiti di forte_forte, le borse ricamate di Jamin Puech e molti pezzi di Erika Cavallini. «La seguo da sempre; per il mio secondo negozio - che tra l'altro ho aperto a ottobre, tra un lockdown e un'acqua alta - ho scelto la sua Edition, una capsule collection (giacche da 1.500 euro, pantaloni da 800), con capi davvero interessanti. Erika Cavallini ha sempre avuto come filosofia di lavoro la ricerca dei tessuti, anche antichi. Ora ha trovato delle vecchie giacche sartoriali da uomo, le ha ritagliate, ricucite, ha dato loro una vestibilità unisex, a seconda di come le allacci e le stringi. Ha fatto lo stesso con i pantaloni». L'importanza di partire dal tessuto si trova anche nei nuovi soprabiti primaverili di Danielapi, creati utilizzando scampoli di tessuti di arredamento, dando forma, quindi, a dei pezzi unici. «Questo brand è una storia a parte. Ho conosciuto Daniela Pancheri nel 2003, è nata un'amicizia e una sintonia fortissima. Purtroppo è mancata qualche anno fa, ma ora, a portare avanti il brand, a Padova, c'è Nadia Danieli, anche lei sua carissima amica. La sua forza è il total look, l'ottima qualità artigianale a prezzi non troppo elevati, e la sintonia dei colori, come nei bestseller, sciarpe e berretti di cashmere (capospalla da 700 euro; borse realizzate dagli artigiani della Riviera del Brenta, da 200 euro; sabot in cavallino, 200 euro)».
A proposito di storie al femminile e di solidarietà, nelle boutique Kirikù ci sono le borse disegnate da Marianna Lincetto, con il nome L'Ottico Fabbricatore (400 euro). «L'Ottico Fabbricatore era un piccolo negozio di moda, qui a Venezia, che ha dovuto chiudere dopo trent'anni. Marianna ora ha deciso di continuare, ma producendo borse, create da artigiani in Veneto. La sto ospitando nelle mie boutique: anche questo è un modo per non lasciare che Venezia, e la sua creatività, affondi». Il suo luogo del cuore in città è Punta della Dogana, dopo il restauro raffinato di Tadao Andō. «Mi piace seguire l'esplosione di installazioni d'arte contemporanea in giro per la laguna durante la Biennale, perché portano a scoprire una Venezia nascosta».
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