Allarme per le forniture di prodotti chimici
Andrea Crespi (Eurojersey): «Colpite anche le aziende che confezionano in Cina»
di Giulia Crivelli
3' di lettura
Indecifrabili: è questo l’aggettivo usato da molti imprenditori lombardi del tessile per le conseguenze a medio e lungo termine dell’epidemia di coronavirus. Tutto dipende da quanto durerà l’emergenza e dai ritmi di ripresa dell’attività manifatturiera, iniziata lunedì scorso dopo quasi due settimane di stop completo. «L’interruzione dei voli diretti verso l’Italia ha fatto notizia – spiega Andrea Crespi di Eurojersey –. Ma per chi produce qui utilizzando materie prime made in China e per chi produce in Cina con materie prime locali o importate, dall’Italia o da altri Paesi, e poi vende in Cina o esporta, le settimane di fermo delle fabbriche sono in sé un fatto grave».
Eurojersey ha sede in provincia di Varese, produce tessuti da fibre manmade e ha molti clienti italiani che, ad esempio, fanno confezionare in Cina. «Abbiamo detto spesso che la Cina è la fabbrica del mondo – prosegue Crespi –. Anche se rispetto alle prime fasi della globalizzazione alcune aziende si sono spostate in Paesi vicini come il Vietnam, le criticità restano: se la Cina rallenta, o addirittura si ferma, è un problema per tutti e quella del tessile-moda è una filiera lunga, complessa e dove ogni piccolo anello conta».
C’è chi ha timidamente suggerito un risvolto positivo della crisi cinese, ipotizzando che ci sia un reshoring verso l’Italia, ma Crespi è scettico: «Non bastano due settimane o un mese o due mesi per giustificare il reshoring e non è così facile ricostruire attività che abbiamo perso da molti anni». Il riferimento è in particolare alla filiera dei prodotti chimici per il tessile-moda, come conferma Marino Vago, presidente di Sistema moda Italia ed egli stesso imprenditore del settore con la Vago, attiva nella nobilitazione tessile nel distretto di Busto Arsizio, la Manchester lombarda che affascinò persino Leonardo, tanto che nel 2019 il locale Museo del tessile e della tradizione industriale ha ospitato la mostra Le trame di Leonardo. La più bella e sottile invenzione.
« Il just in time non è la caratteristica principale della nostra filiera e tutte le aziende hanno stock di coloranti e altri prodotti sufficienti per reggere uno stop di fornitura legato al fermo in Cina – spiega Vago –. Ma gli stock si esauriscono, anche perché nessuno li ha aumentati, visto che l’epidemia è stata improvvisa e imprevedibile. Speriamo che l’emergenza finisca presto e, soprattutto, che questa crisi insegni e faccia comprendere una volta per tutte che l’economia globale è strettamente interconnessa e che nessuno può pensare di far da sé o di agire in autonomia, per quanto forte sia o si senta». Un’altra eccellenza lombarda del tessile è il distretto serico di Como, dal quale arrivano preoccupazioni analoghe a quelle di Crespi e Vago: «In Europa abbiamo scorte di seta greggia di alta qualità sufficienti per i prossimi sei mesi; merce arrivata nel periodo precedente all’esplosione dell’epidemia e adatta ai brand di alta gamma per i quali lavorano gran parte delle aziende italiane – spiega Stefano Vitali, presidente dell’Ufficio italiano seta e vicepresidente del gruppo filiera tessile di Confindustria Como –. Altro discorso per quanto riguarda la vendita in Cina dei prodotti di alta gamma (si veda anche Il Sole 24 Ore del 5 febbraio, ndr): il Paese rappresenta il 33% del mercato del lusso e attualmente si possono acquistare solo prodotti già importati in Cina».
In Val Seriana (Bergamo) c’è il gruppo Albini, leader europeo nella produzione di tessuti per camicie: «Gli effetti diretti a livello produttivo per noi sono ridotti – spiega il presidente Stefano Albini –. Rispetto ad altri player che sviluppano parte della supply chain nel Far East, la nostra filiera è prettamente italiana ed europea: le materie prime arrivano da Egitto, Stati Uniti e Caraibi per quanto riguarda i cotoni, mentre il lino è totalmente europeo. Ci saranno però gli effetti commerciali indiretti, legati ai problemi dei nostri clienti, marchi della moda e del lusso».
Tornando al distretto comasco, Sergio Tamborini, ceo del gruppo Ratti, sottolinea: «Se le fabbriche cinesi riprenderanno a breve a pieno regime, la crisi sarà superata. Se la ripresa sarà lenta e ci saranno intasamenti nei trasporti o imbuti logistici, le conseguenze sono imprevedibili e sicuramente non positive. In ogni caso, dall’emergenza si uscirà e quasi certamente prima che si possa concretizzare un reshoring di qualche peso – conclude Tamborini –. Ma spero che si tragga un insegnamento, da questo nemico invisibile, il coronavirus: un’economia domestica forte e una prosperità indiscussa a casa propria non sono garanzie di prosperità in un mondo globalizzato. Lo sviluppo, per essere sostenibile, deve essere omogeneo. Ricordo infine a chi pensa che si tratti di un problema di Pechino, che, a seconda dei settori, alla Cina è riconducibile tra il 40 e il 90% del fabbisogno industriale mondiale».
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