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Quando nel 2020 l’Unione Europea varò il Next Generation EU e assegnò all’Italia la cifra enorme di 209 miliardi di euro da spendere in un arco di tempo di 6 anni, sostenni che solo la creazione di una struttura speciale per l’amministrazione e la spesa di questi fondi avrebbe potuto rispondere alla duplice esigenza di progettare un investimento organico capace di affrontare alcune delle criticità del modello di sviluppo economico italiano e di assicurare la spesa efficace e tempestiva dei fondi che ci erano stati attribuiti. Ricordai il precedente del 1947-48 di Donato Menichella che aveva sollecitato la Banca Mondiale a concedere dei finanziamenti all’Italia per poter affrontare il problema delle nostre aree sottosviluppate e si era sentito rispondere che l’ipotesi sarebbe stata presa in considerazione solo se l’Italia avesse creato un ente apposito per la progettazione e la realizzazione delle opere. La ragione – gli era stato detto – era che l’Italia non era riuscita a fare pieno e buon uso dei fondi del piano Marshall a causa dell’inefficienza della pubblica amministrazione. Come è noto, era nata così la Cassa per gli Interventi Straordinari nel Mezzogiorno che nei suoi primi anni fu un modello di efficienza, come era stato ed era ancora in quegli anni l’IRI di Alberto Beneduce, anch’esso costruito in modo da evitare le pesanti inefficienze della Pubblica Amministrazione.
Proprio in base a quel precedente sostenni che il solo modo di affrontare il problema con qualche possibilità di successo era l’istituzione di un ente per la progettazione e l’esecuzione delle opere da finanziare con il Next generation EU. Bisognava istituire una Cassa per le opere straordinarie del Pnrr che avrebbe dovuto ricevere dal Parlamento e dal Governo gli indirizzi di carattere generale circa la destinazione dei fondi, ma avrebbe dovuto procedere in autonomia nella progettazione ed esecuzione delle opere. Aggiunsi che bisognava mettere alla testa di questo ente una personalità di grande prestigio europeo che potesse intrattenere un rapporto stabile con la Commissione di Bruxelles. Ne scrissi ripetutamente su vari giornali. «Un’agenzia a guida forte per il piano di rilancio» era il titolo di un mio articolo pubblicato proprio sul Sole-24Ore il 23 settembre 2020.
Ritenevo che la soluzione alternativa: assegnare la progettazione e l’esecuzione delle opere a una miriade di stazioni appaltanti, centrali e periferiche, avrebbe avuto una duplice conseguenza negativa. La prima è che sarebbe emersa una congerie di progetti scollegati fra loro e privi di un disegno complessivo, il che avrebbe limitato l’effetto strutturale del finanziamento europeo. La seconda è che si sarebbero registrate grandi discrepanze nella capacità delle stazioni appaltanti di preparare i progetti e ancor più nella capacità di realizzarli e dunque che si sarebbero creati ritardi e inadempienze.
In realtà nessuna forza politica, né quelle che allora erano in maggioranza, né quelle di opposizione diede segno di condividere e neppure di prendere in considerazione l’impostazione che avevo proposto. Erano tutti persuasi – così sembrava – che il potere di progettare e di spendere dovesse essere attribuito ai ministeri centrali e agli enti locali e che la chiave del successo era nella parole “poteri di sostituzione” e cioè nell’attribuzione a una sede centrale della responsabilità di monitorare l’andamento dei progetti e di sostituirsi prontamente agli eventuali enti inadempienti.
Il Pnrr è stato avviato in base a questa impostazione. Non si è mai discusso a che cosa dovessero servire i fondi, tanto è vero che oggi alcuni sindaci pensano che rifare gli stadi di calcio sia una buona idea. Né si può dire che abbiano torto dal momento che Governo e Parlamento non hanno mai definito priorità ed obiettivi del Pnrr. Non c’è stato verso di indurre a una discussione costruttiva. Il Governo Conte licenziò non un piano, ma una lista di progetti. Draghi, che ereditò il lavoro del governo Conte, non ritenne di innovare. Il Governo Meloni ha fatto lo stesso.
Oggi si scopre che l’Italia non riuscirà a fare non dico buon uso, ma nemmeno pieno uso dei fondi.
In realtà se il governo Meloni vuole semplicemente scaricare su altri il fallimento proceda come sta facendo. Se invece vuole rimediare, indichi le proprie priorità. Proceda a un esame dei progetti approvati. Elimini i progetti che non corrispondono alle sue idee di fondo. Prepari altri progetti che corrispondano a un disegno complessivo e in sostanza dia all’Europa quel disegno complessivo che finora non c’è stato. E affidi a un Commissario i pieni poteri in materia di Pnrr. Tutto questo richiede in ugual misura capacità progettuale e coraggio. Ma è un test al quale il Governo non può sottrarsi.
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