Alluminio a prezzi record: la Cina produce meno e importa sempre di più
Le quotazioni a Londra sono salite di un terzo da inizio anno. In più i consumatori europei e nordamericani pagano premi record. Procurarsi metallo non è facile
di Sissi Bellomo
3' di lettura
Nemmeno la variante Delta è riuscita a fermare la corsa dell’alluminio, che non sembra più trovare ostacoli. Le quotazioni del metallo lunedì 30 si sono spinte ai massimi da 13 anni a Shanghai e minacciano di salire ulteriormente anche al London Metal Exchange (Lme), che è rimasto chiuso per festività. Alla Borsa metalli londinese l’alluminio si è già apprezzato di oltre un terzo da inizio anno e dell’80% rispetto ai minimi di marzo 2020, al picco dei lockdown, fino a superare 2.650 dollari per tonnellata: valori che non si vedevano da aprile 2018, quando il mercato era stato preso in contropiede dalle sanzioni Usa contro il gigante russo Rusal.
Il rally di altre materie prime ha perso fiato nel corso dell’estate, per via dell boom di contagi da Covid in Asia, che ha indotto una frenata dell’economia anche in Cina. Ma per l’alluminio non c’è stata tregua. E le tensioni preoccupano sempre di più. In Europa e in Nord America le imprese – complice il continuo rialzo dei noli marittimi e nuove tasse sull’export da parte della Russia– sono costrette a pagare premi record per procurarsi metallo, in aggiunta alle quotazioni elevate indicate dal Lme. E non è solo un problema di costi. Perché gli approvvigionamenti, oltre che cari, restano difficili.
L’allarme non è circoscritto all’Occidente. La China Nonferrous Metals Industry Association (Cnia) ha convocato un vertice di emergenza con i dieci maggiori produttori di alluminio per discutere quello che definisce un’«irrazionale rialzo» dei prezzi. La riunione si è chiusa con l’impegno delle società a «continuare ad assicurare l’offerta e a stabilizzare il mercato». Ma non sarà facile.
In realtà è proprio la Repubblica popolare la fonte principale delle tensioni sul mercato, contro cui ben poco è riuscita a fare la vendita di scorte strategiche da parte di Pechino: il primo settembre è prevista una terza tranche, comprensiva di 70mila tonnellate di alluminio (oltre a 30mila di rame e 50mila di zinco). Ma si tratta di una goccia nel mare. E nel frattempo la produzione di metalli in Cina continua a diminuire. Molte fonderie di alluminio negli ultimi tre mesi hanno tagliato la produzione, in parte (a luglio) per colpa delle alluvioni che hanno investito l’Henan e altre zone del Paese, ma soprattutto in risposta a precise direttive di Pechino, volte da un lato a risparmiare energia per evitare blackout e dall’altro a difendere il clima frenando le industrie con maggiori emissioni di CO2. Nei giorni scorsi limiti più severi alla produzione di alluminio (oltre che di acciaio) sono stati imposti in diverse aree a forte vocazione metalllurgica, tra cui lo Xinjiang. A breve, secondo voci riferite da a Bloomberg, ci saranno nuovi tagli anche nello Guangxi.
Le ripercussioni non hanno una portata locale. La Cina – che domina la produzione mondiale di alluminio e che un tempo esportava in grandi quantità, attirandosi dazi e altre ritorsioni commerciali – da oltre un anno è tornata ad essere importatrice netta del metallo, cosa che non accadeva dal 2009. E i suoi acquisti all’estero stanno accelerando, proprio mentre la ripresa post Covid fa correre la domanda in Occidente: nei primi sette mesi di quest’anno l’import cinese è balzato del 47%, a 750mila tonnellate. Sul fronte dei consumi (di questo e altri metalli) si annuncia intanto un’ulteriore accelerazione, avverte Citigroup, perché il settore dell’auto – una volta che la crisi dei microchip si sarà risolta – dovrà accelerare la produzione per ricostituire le scorte di magazzino.
La banca stima che tra marzo 2020 e luglio 2021 le vendite di veicoli leggeri abbiano superato la produzione di circa 9 milioni di unità. Il recupero dovrebbe cominciare già nel periodo tra settembre e dicembre, con un conseguente incremento dell’1% della domanda di alluminio rispetto a luglio-agosto, che salirà al 3% nel 2022. L’impatto secondo Citi sarà ancora più forte su altri metalli, in particolare il palladio – usato nelle marmitte catalitiche – la cui domanda negli ultimi quattro mesi di quest’anno dovrebbe aumentare di 665mila once (ossia del 6%) rispetto a luglio-agosto, mentre il rialzo sarà del 15% nel 2022. Per il platino gli incrementi previsti sono del 2% e dell’8%, per il rame dello 0,7% seguito da un +2% l’anno prossimo.
loading...