CLIMATE CHANGE

Alluvioni e temperature alte saranno decisivi per i prezzi

Sempre più algoritmi collegano gli effetti della crisi ai valori degli asset, in calo nelle aree fragili. Servono 80 miliardi in 20 anni per edifici a impatto zero

di Laura Cavestri

(alphaspirit - stock.adobe.com)

4' di lettura

L’Italia, pur non essendo tra le aree più povere e vulnerabili del pianeta è, per la sua collocazione mediterranea, uno dei Paesi più esposti alla crisi climatica. Aumento delle temperature, erosione delle coste, alluvioni e dissesto idrogeologico. Quanto impatterà tutto ciò sui valori immobiliari (dalle città più esposte alle aree costiere che si sbriciolano)? Quanto “peseranno” le riqualificazioni degli edifici esistenti – d al residenziale al direzionale – in ottica di “zero emissioni”?
Sui numeri – nero su bianco – non si sbilancia nessuno. All’estero si lavora su algoritmi e stime per cercare di gestire i rimbalzi economici dell’imprevedibile. In Italia, quasi non se ne parla.
Eppure, su tutti, un numero. La Relazione sullo Stato della Green economy – presentata a novembre a Ecomondo da Massimo Tavoni, docente di Economia dei Cambiamenti climatici al Politecnico di Milano – stima che i cambiamenti climatici, dal 2050, potranno portare a una perdita di Pil 7 volte superiore a quelle prevista in studi precedenti, allargando la disuguaglianza Nord-Sud del 16% nel 2050 e del 61% nel 2080. Non solo. Poche decine di Comuni italiani hanno sinora aderito ai programmi di adattamento climatico e mitigazione degli effetti (dalla riduzione delle emissioni di edifici industriali e residenziali ad interventi infrastrutturali di tutela e prevenzione del territorio).

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Asset a rischio, premi in crescita

«A oggi, l’80% delle spiagge italiane presenta fenomeni erosivi dovuti a mareggiate e innalzamento del livello del mare – ha spiegato Tavoni – . Molte infrastrutture turistiche, ricreative e ricettive, attrazioni storico-artistiche, nonché le vie di comunicazione, saranno soggette all’intensificarsi degli eventi climatici estremi».
«Esiste il pericolo – ha spiegato qualche mese fa Lisette van Doorn, Ceo di Uli Europe – che in certe zone i premi assicurativi calcolati con le attuali metodologie possano diventare talmente alti da risultare insostenibili per gli investitori. Già oggi si osserva che una zona soggetta a eventi climatici estremi può andare incontro a una riduzione dei valori immobiliari in loco, con premi assicurativi più alti per gli edifici, maggiore obsolescenza dei prodotti, maggiori spese di costruzione e ricostruzione, e quindi in generale minore liquidità e perdita di valore per gli investitori che hanno asset in quel territorio».

Rischi-costi: ci prova l’algoritmo

Per aiutare gli investitori a mettere in relazione il quadro dei rischi e l’impatto economico si stanno moltiplicando, soprattutto negli Usa, piattaforme regolate da algoritmi che provano a trasformare determinati aspetti del climate change in possibile impatto sugli asset immobiliari. Come Four Twenty Seven, che sfrutta i dati climatici globali per fornire valutazioni del rischio a livello di attività ai pericoli del clima fisico e che analizzando l’esposizione di 20.816 spazi commerciali e 16.188 uffici di una serie di città europee pone Venezia e Milano, rispettivamente, al 5° e 6° posto sul rischio alluvioni (col 22% degli spazi retail esposti ) e al 10° posto Torino (con l’11%). O come Geophy, piattaforma che sfrutta l’intelligenza artificiale per fotografare i valori immobiliari. In questo scenario, quanto potranno essere ancora sostenibili i valori al metro quadro di una casa a Venezia (tra 5400 e 11mila euro)? E il mutuo per una casa in montagna dove nevica sempre meno? Gli effetti del clima sembrano, insomma, destinati a diventare variabili decisive, tanto quanto la location, la sicurezza, la fruibilità dei servizi.

«Difficile avere numeri simili per l’Italia – osserva Tavoni –. Da noi gli gli studi sono frammentati e poco aggiornati. Mentre i tedeschi utilizzano i proventi delle politiche climatiche europee per “mappare” gli impatti sul loro sistema economico, noi li facciamo confluire nella fiscalità generale. Inoltre, in Italia su 376 azioni complessive, 358 sono di mitigazione degli effetti climatici sulle nostre città e solo 18 di adattamento del tessuto urbano alle nuove sfide».

Zero emissioni in ordine sparso

Intanto, sul fronte del risparmio energetico, il comparto residenziale e quello direzionale si muovono a velocità diverse. «Mentre per il direzionale – sottolinea Mario Breglia, presidente di Scenari immobiliari – la conformità alle norme ambientali e ai “certificati verdi” è un elemento essenziale di attrazione dei tenant e, per gli investitori, di massimizzare i margini di locazione, sul residenziale non esiste una normativa stringente».
A muovere il mercato ci pensano gli sconti fiscali sui lavori di ristrutturazione e risparmio energetico, che continuano a riscuotere successo. Secondo l’Agenzia delle Entrate, nelle dichiarazioni dei redditi 2018 delle persone fisiche, le due detrazioni hanno rispettivamente superato 6 e 1,5 miliardi di euro, con un effetto moltiplicatore degli investimenti pari a 28,6 miliardi.
Tuttavia, ha proseguito Breglia «Nel caso del comparto terziario il patrimonio recentemente ristrutturato si ferma al 3%, contro un 1,3% di riqualificato. Le unità commerciali registrano un’incidenza degli interventi di riqualificazione ancora più modesta, con rispettivamente meno del 2% e meno dell’1». Eppure, ha concluso Breglia, «gli investimenti di riqualificazione energetica sull’intero patrimonio immobiliare richiederebbero circa 80 miliardi nei prossimi 20 anni: oltre 65,2 miliardi per il residenziale realizzato tra il dopoguerra e il duemila e 14,6 miliardi tra uso commerciale e terziario».

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