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Almeno fino all'entrata in vigore del nuovo regolamento nel 2026, spetterà all'Agcm vigilare sull'utilizzo dell'AI nelle pratiche commerciali

Almeno fino all'entrata in vigore del nuovo regolamento nel 2026, spetterà all'Agcm vigilare sull'utilizzo dell'AI nelle pratiche commerciali

di Carlo Edoardo Cazzato

AdobeStock

4' di lettura

Il 15 giugno il Parlamento europeo ha approvato l’AI Act, la prima organica regolamentazione dell’intelligenza artificiale in Europa. Un progetto ambizioso, quanto necessario, che però, allo stato, non sembra rispondere alle istanze di economie sempre più dinamiche e mutevoli o, se così è, non si saprà prima del 2026, quando, salvo sorprese, entrerà in vigore. Ma andiamo per ordine.

Come noto, il rapporto di consumo si fonda su una asimmetria congenita che ha indotto il legislatore comunitario, prima, e nazionale, poi, a ritenere indispensabile un intervento speciale dedicato al consumatore; in tale prospettiva è stato individuato nel Codice del Consumo il corpus normativo che valorizza e tutela la predetta situazione, con conseguente investitura dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) del ruolo di watchdog.

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Ricordiamo tutti le ragioni di tale intervento. Presupposto comune sottostante ai diritti fondamentali del consumatore è che il rapporto professionisti/consumatori è caratterizzato da una strutturale asimmetria, dovuta alla ontologica debolezza in cui si trovano i secondi rispetto ai primi, intesi come persone fisiche o giuridiche che agiscono nello svolgimento della propria attività commerciale, industriale, artigianale o professionale. In questo scenario, sotto il profilo ordinamentale, il ruolo dell’Agcm ha rappresentato la risposta alle nuove esigenze di tutela sottese alla asimmetria informativa di cui è vittima il consumatore. E l’impegno dell’Autorità in questa prospettiva non è certo mancato.

Da alcuni anni, tuttavia, i legislatori europei e nazionali stanno metabolizzando dinamiche di mercato nuove e complesse, che rendono indispensabile individuare soluzioni altre e addizionali rispetto a quelle di cui si è detto. La digitalizzazione dei rapporti, anche se di consumo, ha palesato i limiti delle tutele vigenti, ponendo nuove sfide al legislatore. In questo contesto, la crescente diffusione della intelligenza artificiale ha acuito in modo esponenziale questa esigenza, perché l’AI vanta al momento, dal punto di vista conoscitivo e giuridico, contorni assai più sfumati e di non immediata lettura.

Non vi sono dubbi che il digitale e l’AI rappresentino elementi determinanti per l’imprenditorialità e per nuovi modelli di business, il commercio e l’innovazione, così come che siano idonei a contribuire a migliorare il benessere dei consumatori. Si tratta di strumenti che, quanto alle imprese, offrono accesso a nuovi mercati e opportunità commerciali, mentre riguardo ai consumatori permettono di sfruttare tali vantaggi, in particolare grazie alla maggiore e migliore possibilità di scelta di beni e servizi, nonché contribuendo all’offerta di prezzi competitivi.

Tali vantaggi sono peraltro forse un unicum – per proporzioni e comune sentire – nell’evoluzione del rapporto tra intervento legislativo e oggetto di tutela, visto il sostanziale favordi cui questa rivoluzione gode agli occhi degli utenti.

Ben presto si è compreso che il digitale e l’AI connotano in termini di peculiare asimmetria il rapporto tra le stesse e i loro fruitori. L’AI, in particolare, rappresenta una variabile idonea a incidere drasticamente sulla consapevolezza della scelta commerciale che il consumatore intende compiere e, quindi, a intaccare il bene tutelato dal divieto di pratiche commerciali scorrette. Ecco, dunque, che al contraente debole, quale consumatore vittima dalla asimmetria tradizionale nel rapporto con il professionista, si aggiunge oggi quello debole, perché si muove in un ecosistema digitale o che, più in generale, si trova al cospetto dell’AI. Si pensi, ad esempio, all’impiego di sistemi di AI per raggiungere un inedito livello di personalizzazione dell’interazione con il consumatore in ogni fase del rapporto di consumo.

In tale prospettiva, l’AI Actrappresenta una grande sfida, che al momento non può dirsi vinta. Il testo non dedica disposizioni specifiche ai rapporti di consumo, limitandosi a fare salva l’applicazione della Direttiva pratiche commerciali scorrette. Il rapporto è dichiaratamente di complementarità con l’obiettivo di garantire un tipo e un livello di trasparenza adeguati, che consentano di conseguire il rispetto dei pertinenti obblighi degli utenti e dei fornitori.

Tuttavia, la maggior parte delle previsioni e dei requisiti imposti dall’AI Act, in termini di qualità elevata dei dati, documentazione e tracciabilità, trasparenza, sorveglianza umana, precisione e robustezza, non hanno carattere generale e riguardano i c.d. sistemi di AI ad alto rischio. Solo questi ultimi sono presidiati da obblighi di trasparenza rafforzati e, per così dire, tarati sulle nuove esigenze di tutela.

Su queste premesse, l’AI Act, lato consumatori, sembra vittima della sua impostazione di fondo. Esso, infatti, adotta un “risk-based approach” ed è, pertanto, focalizzato sugli utilizzi più pericolosi dell’AI, cosa che però lascia potenzialmente fuori una parte importante dell’enforcement consumeristico, rimesso, pertanto, ai canoni tradizionali. Se poi si tiene conto che l’AI Act è in discussione dal 2021 ed è destinato a entrare in vigore non prima del 2026, si ha forse conferma di come detto intervento rischi di essere rimesso sostanzialmente agli sforzi delle Autorità nazionali. Spetterà, infatti, a queste ultime superare le lacune normative che si intravedono; ancora, toccherà loro, e in Italia all’Agcm, far sì che, fino all’entrata in vigore dell’AI Act,i consumatori continuino ad essere adeguatamente tutelati nel caso di pratiche commerciali che prevedano l’utilizzo di AI.

Partner di Orsingher Ortu Avvocati Associati, Professore a contratto di Diritto antitrust presso l'Università Mercatorum

Riproduzione riservata ©

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