Almudena Grandes: «I miei romanzi al servizio della memoria»
di Eliana Di Caro
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L’impeto con cui Almudena Grandes racconta della Spagna, della scrittura, delle protagoniste dei suoi libri è pari all’intensità che fluisce nelle quasi 800 pagine della sua ultima opera: I pazienti del dottor García, quarta “puntata” dei sei Episodi di una guerra interminabile, incessante dipanarsi di personaggi e situazioni negli anni più bui del Novecento, dalla presa del potere di Franco alla Germania nazista, fino alla dittatura argentina del 1976. È la storia di Guillermo García Medina, il “medico dei rossi” che soccorre i combattenti repubblicani e che a un certo punto scappa, salvato da un paziente che si rivelerà essere una spia. Come è una spia, ma dalla parte del Male, Clara Stauffer, nazista e falangista: è lei a guidare l’organizzazione clandestina che porta al sicuro i criminali del Terzo Reich, sottraendoli alla condanna. Il romanzo si muove tra Ginevra, Londra, Berlino, Washington, Buenos Aires, un mosaico articolatissimo in cui raggiungere un equilibrio - a partire dalla combinazione tra realtà e fantasia - non deve essere stato semplice.
«Equilibrio è la parola giusta», comincia schiarendosi la voce, nell’angolo riparato di un bar a Torino, Almudena Grandes. «Quando si scrive un romanzo di fiction su un fatto storico, si è alla ricerca di un bilanciamento tra la libertà creativa - fondamentale perché se uno scrittore non si sente libero non sarà mai capace di coltivare le emozioni dei lettori- e la lealtà alla verità storica. Dico lealtà e non fedeltà perché se non è importante, ad esempio, tener conto delle condizioni meteorologiche, ben altro è manipolare i personaggi e i fatti. Quando invento una storia, un carattere, dunque, mi interessa la verosimiglianza. Che cosa un personaggio avrebbe detto e come si sarebbe comportato in un dato contesto». Capelli neri corvini, occhi scuri, vivaci e indagatori, Grandes ha compiuto 58 anni lo scorso 7 maggio, è una scrittrice affermata, dalla curiosità storica inesauribile, complice la sua formazione. È laureata in Storia, «la documentazione è determinante, me ne occupo direttamente, non affido a nessuno le mie ricerche perché devo avere il controllo sui dati e le informazioni. A volte ci sono piccole cose che spiegano il temperamento di un personaggio, elementi che per un’altra persona non sarebbero significativi». Nei Pazienti del dottor García ci sono due importanti figure femminili, Amparo e Clara, che non sono positive, la seconda - come si è detto - è addirittura un genio del male: una scelta particolare, per un’autrice vicina alle donne, se non militante.
«Questo è il più maschile dei miei romanzi, per la ragione di cui parlavamo prima: la verosimiglianza. È un romanzo di spionaggio e per raccontare la rete di Stauffer con i nazisti non potevo inserire donne che non fossero mogli di qualcuno, figlie di qualcuno. Né è verosimile che una donna spagnola fosse dottoressa in quell’epoca, o diplomatica. Clara (realmente esistita, ndr) è il personaggio più importante, è stata il motore di tutto il romanzo. Ha un’abnegazione, una capacità di donarsi per intero alla causa, spendendo tutti i suoi soldi, ha un rapporto materno con i suoi rifugiati, è ammirevole: ma era al servizio del Male, una contraddizione che mi è piaciuta moltissimo. È vero, forse mi sarebbe piaciuto di più che questa rete l’avesse fondata un uomo, ma la cosa non sarebbe stata straordinaria».
In Atlante di geografia umana (2007) Grandes si è immersa nelle vite di quattro donne, prima ancora aveva tracciato il profilo tormentato di Malena, un nome da tango (1995), preceduta da Le età di Lulù (1989), romanzi in cui ha analizzato «i conflitti di identità delle donne della mia generazione. Romanzi che fanno di me una scrittrice sensibile alla condizione della donna nel mio Paese, e che ci portano a quel che accade in questo momento in Spagna, dove le donne sono l’avanguardia della società civile: da almeno due anni sono organizzate, in modo trasversale dal punto di vista dell’età, delle classi sociali e delle ideologie. Certo è un movimento che, pur molto potente, non è strutturato in un partito, non poggia su una piattaforma politica, cosa che per me non va bene. Ma scendono in strada tutti i giorni, le loro rivendicazioni sono costanti al punto che tutti i partiti - da sempre indifferenti a certi temi - ora sono improvvisamente “femministi”. Noi donne dobbiamo capire che siamo la maggioranza della popolazione e non possiamo accettare di ricevere ancora un trattamento da minoranza, perché non siamo la minoranza: è fondamentale avere questa coscienza».
Tornando al tema più propriamente storico che è il filo conduttore del ciclo Episodi di una guerra interminabile, e che riconduce alla questione più generale della memoria, Almudena Grandes si sofferma sulla vergogna delle fosse comuni: sono centinaia sparse nel Paese, e il processo di esumazione e riconoscimento dei morti è lentissimo. «La democrazia spagnola è fondata sull’idea che si deve dimenticare per progredire. Finalmente a Madrid c’è un governo municipale che sta cambiando i nomi delle strade, dopo 40 anni. In questo momento il tema delle fosse è una vergogna anche per la destra: in Castiglia e León (regione molto grande, a Nord di Madrid, dove governa il partito popolare) hanno un piano di esumazioni. Persino alla Valle de los caídos (il monumento ai caduti voluto da Franco, costruito dai prigionieri di guerra e dove il Generalísimo è seppellito: contiene un gigantesco ossario, ndr) il priore finalmente ha dovuto dare il permesso. Dico sempre che la battaglia della memoria si vincerà grazie alla legge di gravità: a un certo punto i frutti cadono dagli alberi».
Non stupisce, dunque, guardando al panorama della letteratura spagnola, che ci siano diversi scrittori impegnati sul fronte della storia e della politica, come Almudena Grandes appunto, ma anche Fernando Aramburu, Javier Cercas: dietro c’è la necessità di colmare un vuoto enorme. «Io scrivo questi romanzi, parlo per me, perché ho capito che gli spagnoli vivevano su una miniera d’oro: nel “sottosuolo” c’è una quantità immensa di storie che non ci avevano mai raccontato. Questo è stato il mio primo impulso, perché il sogno di uno scrittore è trovare un filone. Ma poi ho capito che questo progetto mi permetteva di mostrare ai lettori spagnoli che non sanno nulla, perché non l’hanno potuto imparare dai libri di testo, che c’è stata tanta gente che ha combattuto per loro, grazie alla quale oggi vivono in una democrazia e godono di diritti e libertà».
L’autrice s’interrompe, cerca le parole adatte per dar corso a un pensiero che le sta particolarmente a cuore: «C’è una spinta più importante: questi libri sono un modo per ringraziare chi ha lottato contro il regime, persone alle quali la democrazia non ha mai riconosciuto merito. Quando qualcuno alle presentazioni si alza e mi dice “grazie perché non sapevo nulla e sto imparando la storia di Spagna dai tuoi romanzi”, per me è il miglior premio, mi convince che questo lavoro è utile. In un Paese come il mio, dove la memoria è proscritta e non si fa niente per ricordare, la letteratura che si sviluppa nel terreno dell’emozione, che chiama direttamente i lettori per il loro nome, è la strada per fare politica e incidere a livello morale».
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