Altro che Superlega: il miglior calcio a ritmo di samba lo gioca l’Atalanta
L’Atalanta ha battuto 5-0 il Bologna centrando la sesta vittoria consecutiva in casa e scavalcando al secondo posto il Milan impegnato contro la Lazio nel posticipo del lunedi
di Dario Ceccarelli
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Venghino, venghino signori, eccolo qua il miglior calcio su piazza. Cinque gol, ritmo da samba, tanta bellezza da far girar la testa. Questo spettacolo meraviglioso non viene dal Bernabeu di Madrid o dall’Allianz Arena di Monaco, ma dal Gewiss Stadium di Bergamo, piccola e molto laboriosa città lombarda a una cinquantina di chilometri da Milano: qui nel posticipo serale l’Atalanta ha battuto 5-0 il Bologna centrando la sesta vittoria consecutiva in casa e scavalcando al secondo posto il Milan impegnato contro la Lazio nel posticipo del lunedi.
La squadra di Gasperini, 78 reti realizzate in campionato (più anche dell’Inter), lancia un chiaro segnale ai rossoneri: non fatevi illusioni, il secondo posto lo vogliamo noi. E soprattutto vogliamo andare in Champions League visto che il miglior calcio, senza offesa per nessuno, in Italia lo giochiamo noi.
L’Atalanta, nella prima domenica dopo il grande pasticcio della Superlega, travolge il Bologna con la forza di un ciclone. Un ciclone festante che non lascia spazio agli emiliani, già alla deriva dopo una ventina di minuti. Niente sprechi, questa volta: Malinovsky e Muriel chiudono la partita nel primo tempo, nella ripresa Freuler, Zapata e Miranchuk firmano il 5-0. Un bel cinque che sembra un potente schiaffo lanciato in faccia ai potenti del pallone, sempre convinti, nonostante i crac annunciati e le spericolate giravolte finanziarie, di poter fare e disfare il calcio a loro piacimento.
“Volevano rubarci un sogno” osserva Gasperini dopo la partita col Bologna. “Noi rischiavamo di non giocare più per salvare 12 squadre. Sarebbe stato un peccato non poterci più misurare con il Real o altri grandi club. Il calcio è amato in tutto il mondo. E dobbiamo sempre mantenere la speranza per le piccole squadre. Lunedi scorso ho avuto paura che fosse tutto finito. Per l’Atalanta il tetto ingaggi è legge. Bisogna crescere, ma nelle proprie possibilità. Fare il passo non più lungo della gamba. Anche il Bayern di Monaco ha i bilanci a posto. Eppure ha vinto tutto” conclude Gasperini che non si tira indietro sula corsa Champions: Il destino è solo nelle nostre mani. Le altre possono riprenderci solo se noi sbagliamo”.
Molto particolare, questa domenica calcistica. Fa quasi più scalpore l’onda di piena dell’Atalanta, che spazza via almeno per qualche ora i detriti di un fallito golpe calcistico, che il prevedibile film da “quasi-scudetto” che si è girato allo stadio di Milano dove l’inter, con un assai sofferto 1-0 sul Verona (gol di Darmian al 76’) si è liberata di uno degli ultimi ostacoli nella corsa verso il titolo. Ormai è quasi fatta, ma si sa come vanno queste cose.
"Essere superstiziosi è da ignoranti ma non esserlo porta male", diceva il grande Eduardo. E quindi anche Antonio Conte, come tutti i tifosi interisti, incrocia le dita e quant’altro. Anche perchè l’Inter non brilla particolarmente. Procede come un auto che deve arrivare all’autogrill ma ha la spia della riserva accesa. Così va piano, col gas al minimo. Quanto basta però per raggiungere l’obiettivo. Con il traguardo sempre più vicino, Conte riesce perfino a sorridere. E dice: “Vincere contro una squadra come il Verona, che non ha nulla da perdere, porta non tre, non sei, ma nove punti. Lo scudetto? Lo vedo al 95%, ma è inevitabile che i miei giocatori sentano la pressione di vincere qualcosa dai importante”.
Insomma, è presto per festeggiare, ma non è presto per dare a Conte quel che gli spetta. Non altri soldi, per carità, perché di quelli ne prende già abbastanza (12 milioni all’anno da arrotondare a 13.5 nel 2022) ma il giusto riconoscimento per quanto finora ha fatto alla guida dell’Inter, squadra che fino a pochi mesi fa era da tutti considerata “simpaticamente pazza”
Nel senso che, sempre simpaticamente, l’Inter era capace di qualsiasi impresa imprevedibile: capace di strapazzare le grandi, ma anche dl farsi beffare a San Siro dall’ultima in classifica. Una sorta di “creatività” alla rovescia, che una volta può far piacere. Ma che se viene ripetuta nel tempo, disturba anche il tifoso più incallito.
Ebbene, questa Inter, che sta per strappare alla Juventus il decimo scudetto consecutivo, è invece diventata una specie di assicurazione sulla vita, una garanzia di concretezza, un metronomo inesorabile applicato a quella strana alchimia spazio-temporale che è il gioco del calcio. All’inizio del campionato, la squadra di Conte realizzava valanghe di gol prendendone non altrettanti, ma quasi. Oggi tutto questo spreco è stato eliminato. Una decrescita felice. I nerazzurri vincono rigorosamente per uno a zero, non uno di più, non uno di meno.
Il capolavoro di Conte è poi un altro: che dopo aver lanciato, sulla panchina bianconera, il dominio della Juventus nel campionato 2011-2012, ora è lui stesso, guidando l’Inter, a far saltare questa dittatura. Scusate se è poco. Qui c’è del talento. Poi si possono discutere i suoi metodi, l’applicazione esasperata, quell’ansia nevrotica del dettaglio che per certi versi lo accomuna ad Arrigo Sacchi, la ferocia agonistica. Anche la mancata risposta al presidente dell’Inter, Zhang, è in linea con questo suo codice di comportamento. Quando avremo lo scudetto parleremo anche del futuro, dice il tecnico. Che tradotto vuol dire: se mi date quello che chiedo, cioè nuovi investimenti, più soldi, più poteri decisionali, più mezzi per far bene anche in Europa, allora resto. Altrimenti, tanti saluti e amici come prima.
Chi non può fare questi discorsi è Andrea Pirlo, che ormai ricorda San Lorenzo sulla graticola. Con la Fiorentina, dopo aver rischiato di perdere, non va oltre a un inutile pareggio (1-1) che gli complica ulteriormente la lotta per il posto in Champions. Già perdere uno scudetto è grave, ma non entrare in Europa per demeriti sul campo, dopo tutto quello è successo con la Superlega, sarebbe gravissimo. Fabio paratici, il dirigente bianconero, dice che non c’è nessun piano B, che con la Champions Pirlo resterà alla guida della Juventus. Ma chi ci crede? Sono parole scritte sull’acqua. Tutto dipenderà -anche il destino di Pirlo, forse perfino quello di Andrea Agnelli- da come si concluderà il campionato.
Senza contare poi che la società bianconera deve far fronte anche ad altri meteoriti che le stanno arrivando addosso visto che mezza serie A chiede sanzioni contro i vertici delle tre big (Juve, Inter e Milan) della Superlega. Senza contare le altre iniziative della Federcalcio e della Uefa, tutte minacciose verso i ribelli che, nel frattempo, proseguono come se nulla fosse nella pazza corsa a spendere di più. L’ultimo è il Milan che, mentre rischia di perdere il posto in Champions, darà sette milioni a Ibrahimovic perchè resti in rossonero un altro anno. Per carità, Ibra è Ibra. Però è un calciatore di 40 anni che questo lunedi, nell’importantissimo, posticipo con la Lazio, non sarà in campo. Quest’anno, pur avendo trascinato il baby Milan nella prima parte del campionato, ha giocato solo metà delle partite. Sette milioni sono una cifra. Non lamentiamoci se poi il calcio affonda. Ronaldo costa 31 milioni all’anno. Ma è un costo coerente con gli esiti sul campo della Juventus? Ovviamente no, ma qualcuno ci spiegherà che invece è tutto previsto, che tutto rientra, che la logica del calcio è diversa da quella di una normale azienda. E infatti metà delle grandi società calcistiche europee sono sull’orlo del crac. Auguri
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