arabia saudita

Alwaleed e gli altri principi sauditi: l’alto prezzo pagato per la libertà

di Roberto Bongiorni

. Il principe saudita Alwaleed bin Talal durante la detenzione forzata all’hotel Ritz-Carlton di Riad (Reuters)

5' di lettura

Loro negano. O preferiscono non commentare. Ma per Alwaleed bin Talal, il più ricco businessman saudita, e per il tycoon Waleed bin Ibrahim, fondatore della Middle East Braodcasting Centre (Mbc), il prezzo da pagare in cambio della libertà potrebbe esser stato davvero alto. Anche una quota sostanziosa dei loro imperi. Dopo due mesi di detenzione in un maestoso hotel trasformato in un carcere di lusso, i due ricchi principi imprenditori sono stati liberati insieme ad altre persone. Tra cui anche Fawaz al-Hokair, il miliardario saudita della grande distribuzione.

Una retata anti-corruzione che somiglia a una purga
I principi Bin Ibrahim, 56 anni, e bin Talal, 62, sono due dei nomi eccellenti tra le 200 persone arrestate lo scorso 4 novembre durante una colossale operazione anti-corruzione decisa dal sempre più potente principe Mohammed Bin Salman (conosciuto anche come Mbs), l’erede designato al trono che vuole cambiar volto all’economia saudita con una serie di riforme per lanciarla nell’era del dopo petrolio.
Come tutti gli altri, Talal e Bin Ibrahim si sono trovati davanti a un dilemma: ammettere pubblicamente le proprie colpe e riparare il mal tolto, oppure affrontare un processo il cui esito appare tuttavia scontato.
Su 206 persone arrestate, tra i quali compaiono diversi ex ministri e membri della famiglia reale, 95 sarebbero state già state liberate prima di ieri dietro costosissime cauzioni o dopo aver rinunciato a ingenti quote dei loro patrimoni. In almeno un caso una persona avrebbe rinunciato al 70% del suo patrimonio. C’è dunque chi ha quasi subito accettato di pagare in cambio della libertà. Come il principe Mutaib bin Abdullah , forse il più potente e pericoloso rivale per Mbs, a capo della Guardia nazionale tra il 2013 ed il 2017. A fine novembre sarebbe stato rilasciato dopo aver pagato una cauzione da un miliardo di dollari.
E c'è chi invece ha voluto opporre resistenza. Come bin Talal. Nella prima intervista rilasciata a Reuters dal giorno della detenzione il nipote di Re Salman, definito anche il “Warren Buffett d’Arabia”, dotato di un patrimonio personale di 16 miliardi di dollari (era di 18 miliardi prima del suo arresto) è apparso disteso e sicuro. A sua detta quelli che lui ha sempre definito i “malintesi” con il Governo saranno presto chiariti. «Non ci sono accuse. Credo che in pochi giorni finiremo tutto. Non ho nulla da nascondere. Sono tranquillo e rilassato».
Secondo indiscrezioni trapelate dal suo staff Talal resterà al timone della Kingdom Holding, colosso finanziario che ha partecipazioni in Apple, News Corporation, Twitter, Citigroup e Microsoft.

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Lo scambio
Il volto saudita che piace al mondo occidentale si era rifiutato di pagare la sua cauzione, anche in questo caso un miliardo di dollari. Restano tuttavia dei dubbi.
Se quanto ha scritto in dicembre il quotidiano americano Wall Street Journal fosse vero, vale a dire che la richiesta per la sua libertà sia stata di sei miliardi di dollari, l’unica strada percorribile sarebbe stata quella di smembrare il suo impero finanziario o cedere il controllo di Kingdom Holding, di cui detiene il 95%, al Governo saudita. Resta il fatto che dalla maxi retata anti-corruzione il gruppo avrebbe perso il 20% circa del suo valore scendendo a 8,7 miliardi di dollari. Ed il patrimonio del Warren Buffet d’Arabia avrebbe sofferto una perdita di due miliardi di dollari scendendo a 16 miliardi.
Quanto a Alwaleed bin Ibrahim, era circolata voce che in cambio della sua liberazione il Governo saudita avesse chiesto la cessione del controllo della Mbc.
A ieri non erano ancora chiari i termini dell’intesa: se sia stata ceduta tutta la quota o solo una pare, o forse altro.

Le nazionalizzazioni (forzate) saudite
È indubbio che al Governo di Riad gli imperi mediatici, finanziari e industriali dei ricchi businessman fanno gola.
Mettere le mani sulla Mbc non significa solo a controllare uno potente strumento per influenzare l’opinione pubblica (sono 140 i milioni di spettatori che ogni giorno guardano le sue reti) , ma anche venire in soccorso alle casse del Regno.

Anche Bakr bin Laden, 69 anni, fratellastro del defunto Osama, è stato uno degli uomini di affari colpiti dalla purghe di bin Salman. Prima del fermo era a capo della Saudi Binladin Group, un altro gigantesco gruppo industriale specializzato nel settore delle costruzioni edili. Alcuni dei suoi azionisti sono stati rilasciati dal Ritz Carlton dopo avere raggiunto un accordo per traferire le loro azioni al Governo. Ma non è ancora chiaro se Riad abbia già centrato l’obiettivo di entrare in possesso della quota di maggioranza.
È in corso, insomma, una serie di “nazionalizzazioni forzate”, che somigliano ad alcune operazioni con cui il presidente russo Vladimir Putin si è sbarazzato di alcuni Tycoon restituendo i loro imperi industriali allo Stato.
Agli occhi del determinato Mbs il fine pare giustificare i - controversi - mezzi. Nessuno contesta il fatto che in Arabia la corruzione avesse raggiunto livelli insostenibili. Ma il mezzo per estirparla, e portare liquidità nelle casse dello Stato, somiglia ad un atto di forza per liberarsi anche del dissenso interno.
È tuttavia indubbio che l’arresto dei potenti accusati di corruzione, e la richiesta di risarcimento, siano iniziative che piacciono a milioni di sauditi, soprattutto le giovani generazioni (il 70% ha meno di 30 anni), chiamate a sacrifici in questi anni difficili. Nel 2017 il Regno è entrato in recessione (-0,5%) per la prima volta in otto anni. Ma anche nei periodi di forte crescita, il boom economico non si è mai davvero trasformato in reale benessere per milioni di sauditi.

Soldi per la libertà: l'anomalo patteggiamento extragiudiziale
Insomma è in corso una sorta di patteggiamento extragiudiziale alla saudita. Chi accetta di piegarsi alla volontà di Bin Salman, ammettendo di aver commesso reati di corruzione, e soprattutto versando nelle Casse dello Stato ingenti somme – sarà liberato. E non sono pochi ad averlo già fatto. Altri sono invece finiti in un carcere vero.
Per centrare gli obiettivi di un budget eccessivamente oneroso – il più alto nella storia della Monarchia saudita – il ministro delle Finanze punta a prelevare dai ricchi businessman e principi che si sono macchiati di atti di corruzione almeno 100 miliardi di dollari. L'equivalente del debito saudita.

L’ambizioso piano di riforme di Mbs
D’altronde l'ambizioso piano di riforme per diversificare l’economia e sviluppare il settore privato richiede investimenti colossali. Come i 500 miliardi di dollari per realizzare Neom, un’avveniristico polo industriale sulle sponde del Mar Rosso. Progetti che grandi privatizzazioni come la collocazione in Borsa del 5% della compagnia petrolifera Saudi Aramco, la più grande Ipo della storia (prevista nel 2018) da cui Riad si attende di raccogliere 100 miliardi di dollari, non sono sufficienti a finanziare.
Il grande piano “Vision 2030”, finalizzato a rilanciare il settore privato, affrancando in parte l’economia dalla dipendenza dal greggio, resta una grande sfida per un Paese ancora così conservatore. Il nuovo budget contiene misure fiscali innovative per il regno saudita e pacchetti di robusti stimoli all’economia, ma anche tagli drastici e impopolari ai sussidi energetici .

Il grande piano Vision 2030, finalizzato a rilanciare il settore privato, resta una grande sfida per un Paese ancora così conservatore

Troppa carne al fuoco. I dubbi sulle riforme
L’imperativo è creare un ambiente favorevole agli investimenti stranieri. E rilanciare l’economia creando milioni di posti di lavoro. I robusti stimoli all’economia continueranno a provocare un deficit nel budget fino al 2023. Per ora il motto di Mbs è all’apparenza semplice: spendere per crescere.
Ma l’impressione è che l’erede al trono abbia messo troppa carne al fuoco. Troppe le riforme, e troppo poco il tempo per realizzarle.
Il piano di privatizzazione alla fine è un piano statale. L’ultima parola spetta dunque agli investitori stranieri. E agli occhi di molti di loro queste purghe anti-corruzione e queste nazionalizzazioni forzate non sono certo un incentivo. Le improvvise scarcerazioni dei businessman accusati di corruzione potrebbero andare in questa direzione. Rassicurare gli investitori stranieri.

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