l’acquisizione di whole foods

«Amazon-Barbarossa» e il terrore che incute nelle catene del retail

di Umberto Bertelè

David Ryder/Getty Images/AFP

3' di lettura

All'inizio del ‘500 era l'apparizione all'orizzonte delle vele del corsaro ottomano Barbarossa – provenienti da Algeri - che terrorizzava gli abitanti delle coste mediterranee. In questi giorni è stato l'annuncio “a ciel sereno” dell' acquisizione da parte di Amazon, per 13,7 miliardi di dollari, di Whole Foods (una catena con più di 400 punti di vendita operante nella fascia alta del comparto “food and groceries”), che ha sparso il terrore nel mondo della distribuzione “fisica” statunitense ed europea, con una caduta diffusa dei titoli in Borsa.

Walmart, numero uno al mondo nella distribuzione con poco meno di 500 miliardi di dollari di fatturato e oltre 2 milioni di dipendenti, ha perso quasi il 5 per cento, nonostante il contemporaneo annuncio della quinta acquisizione in un anno di un'impresa operante nell'e-commerce. Kroger, il numero due negli Stati Uniti, ha perso più del 9 per cento. Ma ne hanno risentito anche – nonostante la minaccia sia più lontana nello spazio e nel tempo – Sainsbury, Tesco, Carrefour e Metro.

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Perché così tanta paura? Perché, soprattutto nel mondo del fresco (ove Amazon è presente con Amazon Fresh), una crescita organica sarebbe stata molto più lenta e avrebbe richiesto comunque la costruzione di una infrastruttura fisica poderosa per garantire un livello di servizio adeguato. Ora invece, a valle della più rilevante acquisizione della sua storia, Amazon – come ha dichiarato al Financial Times un analista di Moody's – “is going to be a serious and formidable player on the grocery business”, capace di esercitare una pressione sui margini tale da mettere in moto un significativo processo di consolidamento del settore.

Quattro osservazioni. La prima è che Alibaba (l'”Amazon cinese”), nel perseguire lo stesso obiettivo, si era mossa in maniera simile già quattro mesi fa: stringendo un patto di alleanza forte, non però una acquisizione, con Bailian, uno dei principali gruppi cinesi – con i suoi 4.700 punti vendita - operanti nel “food and groceries”.
La seconda è che la scelta di Amazon di procedere all'acquisizione soddisfa la voglia di Bezos di avere un controllo completo su tutte le operazioni, ma mette per la prima volta la società nella condizione di dover integrare al suo interno un gruppo già esistente – con 60 mila dipendenti (da aggiungere ai suoi 340 mila) - invece che di far nascere “da zero” un'unità di business concepita in maniera innovativa, come avvenuto ad esempio nella logistica e con AWS nel cloud.

La terza, molto sottolineata dalla stampa internazionale, è che sembra sempre più stemperarsi la distinzione fra commercio “fisico” e “virtuale”, con una corsa verso i modelli “ibridi” - sia da parte sia delle grandi imprese tradizionali come Walmart sia degli “assalitori digitali” come Amazon – e con una gara su chi riuscirà meglio a gestire l'integrazione fra modelli di business originariamente molto diversi.
La quarta e ultima osservazione riguarda la mia convinzione che per molte imprese tradizionali la messa a punto di modelli “ibridi” ben funzionanti richiederà cambiamenti al vertice, con la immissione di nuovi CEO non troppo condizionati dalle logiche del passato e capaci di capire (anche se non specialisti) le potenzialità messe a disposizione dall'innovazione digitale: lo ha fatto recentemente il gruppo francese Carrefour, il maggiore retailer europeo, chiamando al vertice – per ripensare il suo business model in difficoltà – Alexandre Bompard, meritevole di aver salvato e rilanciato la catena francese FNAC, a rischio di morte dopo l'entrata sul mercato di Amazon; lo ha fatto parzialmente Walmart, mettendo a capo del suo e-commerce il co-fondatore della startup - Jet.com – acquisita (per 3,3 miliardi di dollari) per rafforzare la sua capacità competitiva.

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