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L’elettrificazione dell’automotive sta sconvolgendo un’industria secolare che vale quasi 6mila miliardi di dollari. Quali sono i maggiori rischi per gli investitori di qui a cinque anni? Rispondono Fabio Ranghino, Partner e Head of Sustainability & Strategy, e Saverio Zefelippo, Manager nel team Sustainability & Strategy di Ambienta, asset manager focalizzato sulla sostenibilità, che gestisce masse per 3 miliardi.
I rischi derivano da un eccesso di entusiasmo relativo alle reali prospettive economiche dei modelli di business legati alla transizione. Se è vero che a cinque anni da oggi è possibile che già metà del mercato auto diventi elettrico, non è detto che tutte le iniziative rispettino le aspettative in termini di remunerazione del capitale. Questa bolla in parte si è già notevolmente ridimensionata, per cui business come quello della ricarica che rimangono ancora incerti in termini di profittabilità nonostante il boom dei punti di ricarica, sono tornati a valutazioni che ne riflettono i rischi e l’intensità di capitale. Altri rischi li vediamo per quei costruttori auto che non hanno già avviato importanti investimenti per rinnovare la gamma prodotti e gli impianti produttivi e tutte quelle società che forniscono componenti legati ai motori a combustione interna.
La guida autonoma ha grandi sostenitori ma anche grandi detrattori (o scettici) tra gli stessi produttori. I mercati finanziari sembrano attraversare una fase di grande euforia per chi sostiene che il futuro dell’auto passa per le possibili declinazioni dell’impiego di intelligenza artificiale. Le differenze in Borsa si vedono con chiarezza nei multipli. Qual è il vostro orientamento sul reale ruolo dell’intelligenza artificiale nel mondo dell’auto e quindi sul reale valore sui mercati azionari?
Il potenziale impatto della guida autonoma nel mercato automotive è rivoluzionario, ma l’adozione di questa tecnologia è frenata da questioni regolatorie e sociali più che tecnologiche per cui è difficile prevederne gli sviluppi. Un punto di riferimento con analogie rispetto a queste difficoltà è quello di servizi di mobilità come Uber e Lyft: in una città come New York, in soli 3 anni questi servizi hanno sorpassato i Taxi in termini di utilizzo. In Italia, ancora non sono mai state legalizzate se non per guidatori con una licenza. Il caso della guida autonoma è ancora più complesso dal punto di vista regolatorio, per esempio per la gestione dei torti in caso di incidente, per cui il rischio che nonostante la tecnologia sia pronta già nei prossimi 3-5 anni, non è detto che il pubblico e i regolatori lo siano. Il valore sui mercati azionari dovrebbe per cui scontare questi rischi.
In un vostro recente studio sostenete di non credere che le big delle batterie offrano opportunità interessanti. Perché?
Nello studio sosteniamo che le società produttrici di batterie sono meno attraenti dal punto di vista del profilo di rischio e rendimento rispetto ai produttori di elettronica di potenza, non che non lo siano in assoluto. Queste rimangono un tassello fondamentale dell’elettrificazione del trasporto e non possono essere trascurate, alle giuste valutazioni sono sicuramente interessanti. Il motivo di questa posizione è in parte perché i leader del settore sono società asiatiche e le tensioni geopolitiche potrebbero tramutarsi in dazi o limitazioni agli import, e la recente decisione della Commissione Europea di aprire un’investigazione sui contributi governativi è un esempio di questi rischi. L’altro motivo è che queste società non avrebbero un beneficio da un’accelerazione dell’adozione della guida autonoma, anzi, potenzialmente potrebbero vedersi ridurre la dimensione media della batteria su un’auto o una riduzione del totale delle auto vendute, al contrario delle società di elettronica di potenza che forniscono anche sensori e chip per la guida autonoma.
Guardando alle materie prime, i gruppi minerari si trovano certamente in una posizione di vantaggio. Questo si traduce anche in una maggiore appetibilità per i fondi?
Ci sono alcune società focalizzate sull’estrazione di materie prime fondamentali per l’elettrificazione del trasporto, come litio e rame, che si trovano davanti a un’accelerazione dei volumi di domanda, e per cui diventano più interessanti per gli investitori. Tuttavia, queste società rimangono dei fornitori di commodity, legate quindi alle variazioni di prezzo dei minerali che vendono. Il prezzo del litio, per esempio, è passato dai 10mila dollari/tonnellata nel 2021 a 65mila a inizio 2023 per tornare sotto i 30mila. Questa volatilità si riflette negli utili e nelle valutazioni delle aziende, e li rende naturalmente investimenti più rischiosi rispetto ad investimenti in aziende i cui prodotti hanno prezzi stabili e contrattualizzati.
Nel vostro report scrivete anche che le migliori opportunità sono nel settore dei fornitori di componenti elettrici/elettronici. Perché?
Secondo noi le società che producono i chip per la gestione e conversione della potenza (l’inverter che controlla il motore elettrico, il convertitore che consente di trasformare la corrente alternata in continua per la ricarica della batteria…), hanno il miglior profilo di rischio-rendimento perché il valore di questi prodotti su un veicolo elettrico è oltre due volte quello di un veicolo a combustione, per cui più rapidamente avviene la transizione, più rapidamente queste aziende possono crescere. Inoltre, aziende come Infineon ed ST Microelectronics forniscono i micro-controller per alcune funzioni di guida assistita e autonoma, per cui hanno un ulteriore opportunità di mercato parallela a quella dell’elettrificazione. E, last but not least, oggi sono a valutazioni decisamente interessanti rispetto al potenziale di crescita che vediamo.
Il quadro dei costruttori appare molto fluido. Quali sono i criteri da seguire?
Come Ambienta preferiamo sempre guardare ad aziende che operano in mercati “business to business” che “business to consumer” perché i criteri di acquisto sono più razionali, mentre la scelta tra una BMW un’Audi o una Mercedes da parte di un consumatore non sempre lo è. La situazione dei costruttori è difficile da navigare.
Da una parte gli “incumbent” sono già indebitati, devono investire per convertire i loro prodotti e impianti produttivi e gestire un grosso cambiamento culturale mentre competono con player come Tesla e BYD che già dominano il mercato dell’elettrico.
Dall’altra, costruire da zero un produttore di auto non è impresa facile, la stessa Tesla è arrivata diverse volte sull’orlo del fallimento, e non stupirebbe vedere alcuni dei nuovi arrivati acquisiti a prezzi stracciati. Applicando i criteri che usiamo in tutti i nostri investimenti, quindi aziende i cui prodotti/servizi generano un impatto ambientale positivo, con un vantaggio competitivo sostenibile a valutazioni attraenti, facciamo fatica a trovare costruttori auto interessanti.
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