Ambienta sceglie la terza via Raccolta record del nuovo fondo
di Paolo Bricco
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«Alcuni sono stati più gentili con me per il mio cognome. Altri sono stati meno gentili con me per la stessa ragione. Non mi è mai importato. E, alla fine, non ha mai contato». Nino Tronchetti Provera – classe 1968 - è stato per lungo tempo l’altro Tronchetti Provera. Suo papà Luigi e Marco Tronchetti Provera sono cugini. Nino ha lavorato nel gruppo Camfin-Pirelli. Quando Pirelli ha comprato Telecom, è diventato amministratore delegato di Finsiel e di Olivetti. Adesso che il fondo di private equity da lui creato nel 2007, Ambienta, è assurto a caso di scuola, Nino si è trasformato per tutti – semplicemente e definitivamente – in se stesso. Perché nulla come il successo nitido o come il fallimento brutale determina e delinea chi sei veramente, agli occhi tuoi e agli occhi degli altri.
Siamo alla Cantina Piemontese, vicino all’Università Statale e non distante dagli uffici di Ambienta, in uno dei pochi ristoranti a Milano in cui si mangia una cucina delle Langhe e del Monferrato paragonabile a quella di Alba o di Costigliole d’Asti. «Con il primo fondo avevamo raccolto 217 milioni di euro, di cui il 95% da investitori italiani. Con il secondo siamo saliti a 323 milioni di euro, la metà dei quali italiani. Con il terzo fondo, che abbiamo appena chiuso, siamo a 635 milioni di euro, tre quarti dei quali sono capitali esteri. La domanda era pari a 3,4 miliardi di euro. Dieci investitori che hanno aderito al nostro terzo fondo non avevano mai compiuto interventi in Italia».
La Sgr fondata e guidata da Nino insieme a Mauro Roversi ha dei risultati – l’unica cosa che conta sul serio agli occhi di investitori come Goldman Sachs, Zurich e i fondi pensione americani e del nord Europa – pari per il primo fondo, con dieci operazioni, a un rendimento netto del 10% e per il secondo fondo, a fronte di nove operazioni, del 25 per cento. E ha una propensione al reinvestimento da parte dei partner, tanto che la Sgr non ha mai distribuito dividendi.
Dice Nino Tronchetti Provera, mentre scorre la lista dei vini, per poi ordinare – come me – della semplice acqua minerale: «Già con la mia tesi alla Luiss, avevo intuito che l’economia ambientale era un modello nuovo per lo sviluppo industriale, il controllo dei processi dentro e fuori l’impresa, l’analisi dell’organizzazione aziendale, il rapporto con gli azionisti e con i clienti finali, i loro consumi ma soprattutto, come è ormai chiaro oggi, con i loro valori e la loro visione del mondo».
Come antipasto Nino prende una insalata di carciofi. Io, invece, dei peperoni ripieni con tonno e acciughe. Nino - sposato con Francesca, tre figlie (Virginia, Camilla e Allegra) - è nato e cresciuto a Roma. Non ha la seriosità nebbiosa e fintamente calvinista di Milano. Ma non ha nemmeno il cinismo solare e un poco cialtrone di Roma. Non ha la seriosità nebbiosa e fintamente calvinista, perché abitare vicino a Ponte Milvio e alla Fontana di Trevi e frequentare il liceo Marcantonio Colonna ti dà un senso – tipicamente romano e sorridente, un poco alla Gioacchino Belli – per la mescolanza delle cose della vita («Pietro Sbardella, il figlio di Vittorio Sbardella, il ras della Democrazia Cristiana andreottiana, faceva parte della mia compagnia di amici»). Non ha il cinismo solare e un poco cialtrone, perché ne è stato vaccinato dall’inserimento a 24 anni nel circuito della McKinsey, che avrà tanti difetti – ancora più evidenti nel pieno della crisi della globalizzazione – ma che rappresenta uno standard internazionale. I due segni più evidenti della componente mediterranea di Nino sono il vestito di Caraceni – un filo avvocato al Tennis Parioli, indossato peraltro con eleganza su una camicia a righe bianche, blu e azzurre e una cravatta blu Oxford – e l’incedere del suo refrain «mi segui?», che se fosse detto con cadenza meneghina risulterebbe un poco fastidioso, ma che pronunciato con un sorriso simpaticamente piacione appare alla fine gradevole.
L’antropologia – l’eterno doppio italiano, Milano e Roma – conta. Ma contano soprattutto l’intuizione e la dedizione. «Dopo la laurea – dice Tronchetti Provera, mentre assaggia il suo fegato con la purea – sono entrato in McKinsey, dove sono rimasto fino al 1997. In McKinsey e all’Insead di Parigi, dove ho fatto il master in business administration, a nessuno interessava il mio cognome. Quella McKinsey era guidata in Italia da Rolando Polli. C’erano Mario Greco, Vittorio Colao, Giorgio Rossi Cairo e Aldo Bisio. Proposi a Polli di fondare la practice ambientale. L’Italia fu, con l’Olanda, la prima in McKinsey ad occuparsene. Non andò bene. Non c’era la domanda da parte delle imprese. Ma non fu importante».
Dopo McKinsey, Nino lavora per Camfin-Pirelli e poi, nel gruppo Telecom, in Finsiel e Olivetti. Ma è già nel 1996 che annusa il profumo dell’investimento nelle società di altri: è allora che incontra sulla sua strada l’odore della cioccolata Venchi, che acquisisce insieme a Rolando Polli e a Daniele Ferrero, ancora oggi proprietario. «Era una pasticceria di Cuneo con due impiegate e una signora che, oltre a fare la bambinaia, aveva le ricette dei dolci. Oggi la Venchi ha mille addetti». Nel 2007, Nino esce dal capitale della Venchi: «È allora che, anche grazie all’appoggio di mia moglie Francesca, ho aperto Ambienta. Avevo bisogno di risorse. E, anche negli affari, sono per natura monogamico. Ho scelto di lasciare tutte le altre attività, per dedicarmi solo ad Ambienta, che ho fondato con Rolando Polli».
In questa storia – mentre inizio ad assaggiare un delizioso piatto di ravioli al Castelmagno, conditi con il burro e salvia più un velo di tartufi – esiste una connessione in apparenza illogica ma nella sostanza reale fra il cioccolato della Venchi e l’attività di Ambienta, fra le ricette della bambinaia e i dossier sulle società in cui investire compulsati dagli operatori del fondo. E, questa connessione illogica ma reale, è il mondo della fabbrica. «Quando abbiamo fondato Ambienta – racconta – si pensava che l’ecologia avesse una forza disruptive. Era il periodo dell’epopea tutta ecologia e venture capital di Richard Branson e di Al Gore. Ma le cose non sono andate bene: secondo il Mit di Boston, fra il 2007 e il 2013 negli Stati Uniti il Greentech ha attirato 25 miliardi di dollari, la metà finiti in fumo. Noi siamo andati in un’altra direzione».
L’indicatore di efficienza nel consumo dell’energia elettrica dell’Europa è più alto del 54% rispetto agli Stati Uniti. E, questo, in un mondo in cui la sostenibilità – come dimostrato dall’ultimo premio Nobel per l’economia, assegnato a William Nordhaus e Paul Rome – è una struttura del reale e della sua interpretazione: per l’Onu gli abitanti della Terra saliranno da7,3 miliardi del 2015 a 8,4 miliardi del 2030, con un incremento della domanda d’acqua del 40%, d’energia del 20%, di cibo del 35% e un aumento della produzione di gas effetto serra del 30%, di plastiche negli oceani dell’80% e di rifiuti urbani del 100 per cento.
Nella risposta a questo nuovo contesto, il paradigma economico e imprenditoriale classico produce molta leva finanziaria e parecchi sussidi. «Non a caso – spiega Nino – i primi due investimenti furono un impianto a biomasse e un impianto eolico. Un bagno di sangue. Il nocciolo duro dei nostri investitori, cioè Intesa Sanpaolo e una decina di amici imprenditori, per fortuna non ci tolse la fiducia».
Il fondo creato da Nino ha una precisa specificità. L’osservazione di un codice e di una attitudine italiana – fra la manifattura e i processi industriali – costituisce la vocazione specializzativa del tipo di imprese in cui ha investito – fra meccanica, meccatronica e chimica – Ambienta. «Adesso siamo alla terza fase della ecosostenibilità – dice Nino – che coincide con l’avvio degli investimenti del nostro terzo fondo. Al centro non ci saranno più, in prevalenza, le fabbriche, ma i consumatori. I più avveduti fra quelli maturi e i millennials, per i quali l’ecocompatibilità e lo sviluppo sostenibile sono naturali come l’aria pulita che respirano al mare o in montagna».
In questo, Ambienta rappresenta bene la delicata evoluzione dello spirito italiano della economia che, se desidera ancora svilupparsi, deve aumentare sensibilmente la quota di interpretazione e di soddisfacimento dei bisogni dei consumatori. Per questo – oltre alle sedi di Milano e di Düsseldorf – Ambienta ha appena aperto uffici a Londra, con la naturale specializzazione della capitale inglese nel retail.
E, mentre per dessert ci portano un classico della pasticceria piemontese come il bonét, lo spirito italiano del capitalismo riappare nel racconto di Nino Tronchetti Provera: «Abbiamo rilevato la maggioranza della Safim di Modena. Fanno valvole. Quando abbiamo firmato, con decine di avvocati intorno a noi, il fondatore dell’azienda Eronne Mameli si è tolto dal collo una chiave e me l’ha regalata, dicendomi che ora toccava a me, dopo che lui aveva aperto l’officina per quarant’anni. Noi italiani siamo quella roba lì. E dobbiamo rimanerlo. Anche se dobbiamo evolvere, anche, in qualcosa d’altro. Noi di Ambienta. E tutto il Paese».
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