ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùConferenza Onu in Egitto

Ambiente, Cop 27 al via: ai Paesi poveri servono 340 miliardi l’anno

La 27esima conferenza Onu si apre il 6 novembre in Egitto. Gli emergenti, India in testa, chiedono impegni finanziari per attenuare lo shock climatico

di Gianluca Di Donfrancesco

Cop27, Guterres: "Siamo sulla strada per un caos climatico irreversibile"

3' di lettura

Gli aiuti sul clima ai Paesi in via di sviluppo saranno uno dei dossier più delicati della Conferenza Onu sul clima, che si apre oggi in Egitto. E non solo per la sede della Cop27, di ritorno in Africa dopo sei anni.

Le economie emergenti denunciano i ritardi e l’inadeguatezza della solidarietà offerta dai Paesi più ricchi, che per troppo tempo non è stata al passo delle promesse. Guidate dall’India, sono pronte a dare battaglia ancora una volta, anche a costo di far saltare il banco.

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Secondo Wai-Shin Chan, capo del Climate change centre of excellence di Hsbc, garantire strumenti adeguati alle economie più deboli per far fronte al global warming e per crescere in modo sostenibile dovrebbe essere la priorità della Cop27.

Oltre ai finanziamenti per la transizione energetica, ci sono i costi dell’adattamento ai cambiamenti climatici già provocati. E infine il così detto «loss & damage», lo spinoso tema della compensazione dei danni già provocati dal fenomeno, che diventano di anno in anno più gravi, sia in termini di vite, che di costi economici.

I disastri naturali e le promesse (mancate) dei paesi ricchi

Poco più di un mese fa, le alluvioni che hanno flagellato il Pakistan hanno ucciso oltre 1.700 persone, con 33 milioni di sfollati e circa 40 miliardi di dollari di danni, secondo la Banca mondiale.

Il disastro frenerà la crescita del Pil dal 5% del 2022 al 2% nel 2023. Il Pakistan produce meno dell’1% delle emissioni globali di anidride carbonica. Tra il 2000 e il 2020 sono stati registrati 7.348 disastri naturali che hanno coinvolto oltre 4 miliardi di persone, con 2.970 miliardi di dollari di perdite economiche, secondo le Nazioni Unite.

L’ultimo rapporto del Programma Onu per l’ambiente sostiene che ai Paesi più poveri servono fino a 340 miliardi di dollari all’anno per adattarsi ai cambiamenti climatici, entro la fine di questo decennio. I costi sono dieci volte superiori ai finanziamenti che queste nazioni ricevono.

Già nel 2009, le economie più ricche avevano promesso 100 miliardi all’anno, a partire dal 2020, per sostenere le politiche climatiche dei Paesi in via di sviluppo. Quel traguardo però non è stato ancora tagliato e i 100 miliardi non saranno raggiunti prima del 2023, probabilmente. La cifra è ormai lontana dalle esigenze reali, ma la questione è diventata un irritante potente per gli emergenti.

I flussi destinati al solo adattamento, in particolare, hanno raggiunto quota 29 miliardi di dollari nel 2020, con un aumento del 4% rispetto al 2019. A Glasgow, i Paesi avanzati si sono impegnati ad arrivare a 40 miliardi entro il 2025.

La crisi si accanisce sui più vulnerabili

La tragedia del Pakistan è la più recente, ma il fenomeno colpisce decine di Stati vulnerabili, spesso già ad alto debito e privi delle risorse necessarie per contenere i danni dei disastri naturali e che rischiano il tracollo economico quando ne vengono colpiti. L’aumento delle temperature nel Sahel, una regione che ospita 135 milioni di persone, sta prosciugando le riserve d’acqua e minaccia di innescare una grave crisi alimentare e migratoria.

Come scrive il presidente del World Resources Institute, Ani Dasgupta, sono colpite «in modo sproporzionato le popolazioni vulnerabili: le persone in prima linea nella crisi e con le minori risorse. Quasi sempre, queste sono anche le persone che meno hanno contribuito al problema».

Nella Cop26 di Glasgow, lo scorso anno, la proposta di un meccanismo ad hoc per i finanziamenti loss & damage è stata respinta dai Paesi avanzati. Gli emergenti ci riproveranno a Sharm el-Sheikh. Segnali di apertura sono arrivati da Stati Uniti e Unione Europea, che in passato si sono opposti a questo tipo di strumento, sostenendo che esistono già diversi programmi di aiuti ai quali contribuiscono in misura consistente.

La spaccatura nella Cop, India capofila degli emergenti

L’India, che esercita sempre grande influenza sui negoziati sul clima, si proporrà ancora una volta come portavoce dei Paesi in via di sviluppo, anche se diversi tra loro, specie gli Stati insulari, non gradiscono l’ostruzionismo sul taglio dei gas serra.

New Delhi, che è dipendente dal carbone per il 70% della generazione elettrica, chiede soldi, e molti, in primo luogo per sé, per finanziarie la propria costosa transizione senza dover rinunciare allo sviluppo di cui ha bisogno. Per centrare i propri target climatici, serviranno oltre 220 miliardi di dollari l’anno di investimenti. Al tempo stesso, l’India è uno dei Paesi più esposti ai disastri causati dal climate change.

Sull’adattamento, «l’azione è rallentata, e bisogna dare un segnale. E dobbiamo cominciare la discussione sulla finanza per il loss & damage», ha avvisato alla vigilia della Conferenza di Sharm el-Sheikh il rappresentante speciale egiziano, Wael Aboulmagd.

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