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Amco, i piani dopo Bari e Mps: «Altri 15 miliardi di Npl in 5 anni»

La società del Tesoro punta a mantenere una quota di mercato dell’8-10%. L’ad Marina Natale: «Dal dossier Mps redditività di lungo termine con le economie di scala»

di Luca Davi e Marco Ferrando

(Adobe Stock)

4' di lettura

Nel 2018, il primo grande balzo legato all’acquisizione di 18 miliardi di crediti deteriorati da Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza, appena finite a Intesa Sanpaolo previo alleggerimento di Npl. Poi, nel 2019, l’acquisizione dei portafogli ad alto rischio ancora delle ex Venete, di Banca del Fucino, Credito Sportivo e Carige. Ora il nuovo grande salto in avanti, con l’assorbimento di un pezzo del bilancio di Mps del valore di 8,1 miliardi – ancora subordinato all’ok Bce - e di un pacchetto di 2 miliardi da Popolare Bari. Risultato: oggi Amco, con 33,4 miliardi di crediti deteriorati in portafoglio, è in Italia la società di gestione di Npl maggiore tra quelle a capitale domestico, e figura nella top five alle spalle di doValue, Cerved, Intrum e Prelios. Una posizione conquistata negli ultimi tre anni, che vedono per le masse acquisite vedono Amco leader di mercato con una quota nei crediti deteriorati dell’11,5% equiparabile a doValue (9,3%) e Intrum (8,9%), e dietro a Prelios con il 22,5%. Inoltre, con circa 14 miliardi di unlikely to pay (43%), relativi a 56mila imprese, è di gran lunga il leader in Italia nella gestione delle cosiddette inadempienze probabili, segmento che da tempo rappresenta la fonte di maggiore preoccupazione per le banche cedenti e, di riflesso, il mercato più appetibile per gli investitori esteri.

A guidare il gruppo è Marina Natale, che dopo anni ai vertici di UniCredit, oggi gestisce una realtà giovane (l’età media 43 anni) e in forte crescita. Lo dimostrano anche gli addetti: erano 71 nel 2017, a fine 2019 erano 233 e oggi sono xy, complici alcuni inserimenti anche in pieno lockdown. Altri 60 professionisti, poi, arriveranno da Mps insieme ai crediti. Ora l’obiettivo, inquadrato da un piano industriale al 2025, è di rafforzarsi ancora seppure in maniera sostenibile. «Tra gli incassi che faremo e l’ammortamento fisiologico che ci sarà, contiamo di ricostituire il portafoglio al livello attuale nell’arco di piano – spiega la manager a Il Sole 24 Ore – Prevediamo dunque di comprare 15 miliardi di Npl nel giro dei prossimi cinque anni». L’obiettivo, in sostanza, è di assestarsi a una quota di mercato attorno all’8/10 per cento contro il 23% medio degli ultimi 3 anni.

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Amco insomma vuole crescere sì, ma senza eccessi che rischierebbero di far perdere il controllo dei portafogli. Pandemia permettendo, visto che nessuno si sente di escludere, anzi, scossoni sulla qualità del credito e quindi una nuova ondata di Npl in uscita dalle banche. «Il nostro modello operativo punta a creare economie di scala, e si basa sulla gestione interna delle posizioni secured di grandi dimensioni così da garantire un elevato recupero mentre le posizioni a minor valore e standardizzate sono esternalizzate a una decina di servicer specializzati», aggiunge Natale.

Il mercato dei servicer Npe, pur contando una trentina di operatori circa, è di fatto concentrato tra pochi soggetti. I primi 5 attori del mercato (Amco, Prelios, Dovalue, Intrum, Credito Fondiario) detengono infatti circa il 65% dei nuovi flussi generati tra il 2018 e il 2020, un triennio in cui si sono registrate cessioni di portafogli per circa 140 miliardi.

In questo scenario Amco, che è controllata al 100% dal Tesoro (e lo resterà al 99,2% dopo l’operazione Mps), è guardata con un pizzico di sospetto dagli altri competitor, che l’accusano di fare dumping sui prezzi dei crediti. «Non è vero – taglia corto la manager - Noi vogliamo essere e siamo un operatore di mercato. Partecipiamo alle gare, a volte vinciamo, a volte perdiamo. Lavoriamo in un mercato molto competitivo, e di certo rispettiamo le regole. Da una parte abbiamo la Banca d’Italia e la Corte dei Conti, dall’altra il Tesoro, sopra la Dg Competition. Tutti vigilano con la massima attenzione e verificano ogni volta se spendiamo i soldi in maniera corretta. E, soprattutto, se acquistiamo a prezzi e condizioni di mercato.

A conferma della natura di competitor uguale a tutti gli altri, Amco segnala che negli ultimi due anni ha preso parte a sette diverse gare per la cessione di Npl: di queste, ne ha vinte 4 ma ne ha perse anche 3, perché evidentemente c’era chi offriva un prezzo più alto. L’ultima acquisizione in ordine di tempo è relativa a un portafoglio di circa 300 milioni comprato dal Creval insieme a MBCredit Solutions e Italian Npl Opportunities Fund II.

Ma ben più significative, per taglia e non solo, sono le due operazioni in corso con Banca Popolare di Bari e con Mps. Se dall’ex popolare pugliese, oggi sotto il controllo di Mediocredito Centrale, Amco ha acquisito un portafoglio da 2 miliardi di euro (a un prezzo d’acqisto di 500 milioni) permettendo così il successivo rafforzamento di capitale e poi la trasformazione in Spa della banca, il deal con Siena – in queste settimane sul tavolo della Bce, che dovrebbe esprimersi dopo l’estate – ha una valenza strategica. Con la cessione Amco di un compendio formato da 8,1 miliardi di crediti deteriorati, di cui 4,8 sofferenze e 3,3 unlikely to pay, all’ex Sga arriverà un pacchetto formato da attività, passività e Dta che sarà trasferito in continuità di valori contabili. Per Mps c’è il chiaro vantaggio di procedere con un’operazione di derisking essenziale alla pulizia di bilancio e rilancio del business. Per Amco, d’altra parte, l’operazione «permetterà di ampliare i volumi di business e supportare la redditività di lungo termine grazie al conseguimento di economie di scala». L’architettura si basa su un bridge loan da 3,2 miliardi da parte di Jp Morgan e Ubs prima erogato a Mps e poi trasferito ad Amco, che la società conta di rimborsare con la generazione di cassa dei recuperi (che dopo il blackout di marzo e aprile sono ripresi con ritmi pre-Covid) e con emissioni obbligazionarie, facendo leva su un rating tripla B in linea con quello dello Stato.

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