L’intervista

Amendola: «Piano e cabina di regia, pronti al confronto»

Sul Recovery il ministro ha detto che «non è un documento chiuso, con Confindustria e sindacati il dialogo sarà decisivo per calibrare e cambiare le 52 linee di intervento»

di Giorgio Santilli

Ue, Recovery e bilancio: la proposta per superare i veti

8' di lettura

«Noi ci atteniamo alle tempistiche di Bruxelles, il ritardo del nostro piano è un ritornello da giorni. Il vero ritardo l’ha causato il veto di Polonia e Ungheria che oggi è caduto. Alcuni pensano che questo piano sia una legge di bilancio o la panacea di tutti i mali, invece segue le linee indicate dall’accordo del 21 luglio dove si decise tutti e 27 di investire nella transizione ecologica e digitale». Il ministro degli Affari europei, Vincenzo Amendola, parla al telefono da Bruxelles dove l’accordo europeo sul Recovery Fund è arrivato. Ma ci tiene a dare la sua versione sulle polemiche di questi giorni - dalla governance alle priorità del piano - e a inquadrarle, «carte alla mano», nella giusta cornice europea.

Ministro Amendola, sia lei che il presidente Conte avete detto che la struttura di missione è stata la Ue a chiederla. Quali compiti deve avere?

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In questi giorni ho sentito molte inesattezze. La commissione ha chiesto nelle sue linee di guida del 17 settembre, quindi non solo all’Italia, che gli Stati membri individuino un soggetto che svolga il ruolo di coordinatore del Pnrr. Una unità di missione responsabile dell’attuazione in sinergia con i ministeri coinvolti, che assicuri il monitoraggio e il reporting a Bruxelles. La Commissione sottolinea che questa struttura tecnica dovrà avere capacità amministrative, autorità e risorse umane adeguate. Del resto, anche a livello europeo si è creata una task force apposita che lavora insieme ai commissari per rendere operativo questo percorso di investimenti comuni.

La Ue vi chiede che abbia poteri sostitutivi per attuare il piano?

La Ue rimanda agli Stati le definizioni dei poteri delle task force. Per ora c’è un lavoro tra i tecnici dei ministeri per delineare i contorni di una norma che invieremo in Parlamento. Non c’è nessun segreto di Stato o tentativi di golpe, come sento dire. La verità è che i fondi vanno impegnati al 2023 e spesi al 2026, pena la perdita secca se i progetti non si realizzassero.

Lei condivide la soluzione presentata dal Presidente Conte, con la cabina di regia politica a tre, i sei manager responsabili delle missioni e la nutrita task force di tecnici? Ci sono alternative dopo l’altolà di Renzi?

La proposta verrà discussa in Cdm e poi in Parlamento. Tutti potranno proporre soluzioni migliorative, consapevoli però del cronoprogramma. Come in passato, vedi Expo o Ponte Morandi, se obiettivi e rischi sono chiari, le norme vengono di conseguenza.

I sei manager a quali profili devono rispondere? Pubblici, privati, esperti, professori, dirigenti Pa?

I manager avranno un compito molto complicato e lo dovranno fare a tempo pieno per i prossimi sei anni. I nomi saranno scelti in base alle capacità tecniche e alla passione per questa impresa comune. Lavoreranno a stretto contatto con ministeri e livelli amministrativi locali interessati.

Renzi dice che nessuno sapeva nulla del piano presentato da Conte, neanche il segretario Pd. Le risulta?

Io non dichiaro al posto di altri. So solo che il 9 settembre il Governo ha inviato le linee guida in Parlamento, il 13 ottobre il Parlamento ha votato due mozioni. A livello di Governo con i tecnici di tutti i ministeri abbiamo fatto 19 comitati operativi e bilaterali settimanali. Non mi pare un lavoro sconosciuto. Appena il Cdm libererà il testo, questa proposta, sottolineo proposta, sarà inviata alle Camere, a Regioni e Comuni, alle parti sociali per discuterne anche i cambiamenti. L’aggiornamento del piano si concluderà solo in vista della proposta finale, quando sarà finalizzato il Regolamento europeo. Presumo a febbraio.

Lunedì si sono viste le prime bozze di piano. C’è stata molta polemica su come e da chi sia stato scritto. Può fare un po’ di trasparenza?

Nessun segreto. Sulla base degli atti votati dal Parlamento e delle linee guida Ue che hanno indicazioni chiare sulla distribuzione del budget e le riforme da realizzare, un comitato di tecnici tra Chigi, Mef, Ragioneria e il mio ministero ha lavorato con i ministeri e tutti i soggetti coinvolti. Non sono mancati incontri con la cabina di regia di Regioni e Anci e incontri interlocutori con gli attori sociali. E abbiamo scambi costanti con Bruxelles dal 14 ottobre.

I 196 miliardi sono suddivisi in 6 missioni, 17 cluster, 52 progetti. L’impressione di frammentazione resta e si fa fatica a cogliere quale sia il motore della ricostruzione. Gli investimenti privati? Quelli pubblici? L’ennesima promessa di rafforzamento della Pa?

Non condivido, ma rispetto tutte le opinioni. Stiamo accelerando i tempi per accogliere tutte le proposte in campo. Un mese fa ci criticavano perché lavoravamo su 600 progetti, oggi dinanzi alla concentrazione di spesa si presentano critiche opposte. Il motore della ricostruzione, come abbiamo scelto a livello Ue, deve essere green e digitale e va utilizzato sia per sostenere e far crescere la produzione privata, sia per far saltare le sclerosi della Pa. Non è un caso, se si considera la linea della transizione digitale, che investiremo in Industria 4.0 per il privato e vogliamo sburocratizzare la Pa con un salto tecnologico mai conosciuto finora.

Per il sistema sanitario ci sono solo 9 miliardi. E lo stallo sull'uso del Mes non aiuta.

Lo stallo del Mes è dovuto all’assenza di una maggioranza parlamentare, c’è poco da girarci intorno. Per l’investimento sulla sanità, sono consapevole delle critiche, ma il Next Generation ha un budget di 196 miliardi ed escluso il 60% per green e digitale vincolati dalla Ue, dobbiamo far fronte anche alle richieste per unire l’Italia con le infrastrutture, potenziare l’istruzione e investire su politiche attive del lavoro e occupazione femminile. Ai 9 miliardi previsti per la linea sanità vanno aggiunti anche altri dedicati all’efficientemente delle strutture ospedaliere. Tra i ministri così come in Parlamento sono sicuro si troverà un equilibrio, ma nel Next Generation non è previsto lo sforamento di bilancio.

Non crede sarebbe stato necessario un confronto con le parti sociali prima di arrivare a questo punto? Almeno sulle grandi priorità del Paese.

La proposta che invieremo al Parlamento non è un documento chiuso. Il dialogo con Confindustria e sindacati in primis sarà decisivo anche per calibrare o cambiare le 52 linee di intervento. Ma è ovvio che gli incontri che faremo prossimamente non potevano basarsi su indicazioni generiche e saldi avulsi dal percorso della Nadef. Mi auguro che anche in Parlamento tutti i passaggi siano vissuti oltre la logica di maggioranza e opposizione sui singoli progetti, sarebbe un segnale molto forte per il nostro Paese.

È stata una buona scelta partire chiedendo ad agosto ai ministeri i progetti per il Pnrr? La rifarebbe?

Assolutamente sì perché qualcuno ancora dimentica che oltre al lavoro per i 209 miliardi del Nex Generation, il Governo nei prossimi mesi sarà chiamato anche a programmare i 100 miliardi, escluso il cofinanziamento, del Bilancio europeo 21-27. Un lavoro che il premier Conte ha chiesto di anticipare siccome non abbiamo record indimenticabili di assorbimento dei fondi europei e gli obiettivi del Qfp sono incrociati con le linee guida del Next Generation.

Una parte del RF sarà destinata a progetti già finanziati da risorse nazionali iscritte nei tendenziali? Fondi sostitutivi e non aggiuntivi. Il Pnrr diventa anche uno strumento per migliorare i conti pubblici?

Questa scelta l’abbiamo già compiuta al momento dell’approvazione della Nadef in Parlamento poiché l’uso delle risorse deciso dal Mef da un lato guarda alla crescita degli investimenti pubblici quindi del Pil e dall'altra al sentiero macroeconomico di controllo del debito pubblico.

Le infrastrutture, per esempio. Saranno inseriti nel Pnrr opere già in corso. C’è un impegno nel piano o una clausola per cui le risorse nazionali liberate in questo modo saranno utilizzate negli stessi settori?

L’Italia, a differenza di altri paesi, ha deciso di sfruttare tutte le risorse del Meccanismo di Ripresa e Resilienza. Inoltre, per finanziare progetti aggiuntivi useremo non solo i trasferimenti ma anche una parte significativa dei prestiti, anche in questo saremo un’eccezione nel panorama europeo. Ovviamente, non possono essere utilizzati tutti in deficit altrimenti ne andrebbe della sostenibilità del debito. Ne consegue che buone risorse finanzieranno progetti già inclusi nelle previsioni tendenziali di finanza pubblica. Questo vale per le infrastrutture così come per altri settori.

Nelle bozze di Pnrr avete richiamato la necessità di una riforma Irpef per alleggerire i redditi medi fra 40mila e 60mila euro. In che modo questa riforma può entrare nel Pnrr?

La riforma Irpef è un elemento cardine della strategia di politica economica del Governo. Come è noto le risorse del Next Generation EU non possono essere utilizzate per sgravi fiscali permanenti e per riduzioni di entrate o aumenti di spesa corrente. Nel Pnrr non può in ogni caso essere taciuta una riforma fondamentale che concorre a realizzare obiettivi rilevanti del Piano stesso: coesione sociale, efficienza e trasparenza nei rapporti cittadini-Pa, parità di genere.

In legge di bilancio avete inserito un cospicuo fondo rotativo che serve per anticipare le spese del Pnrr e avete già individuate alcune di queste spese. Allargherete l’uso di questo fondo anche dal altre voci del Pnrr nel corso dell’esame parlamentare?

Abbiamo individuato e inserito in legge di bilancio solo quelle poche misure che devono necessariamente partire il primo gennaio. Per le altre misure del Pnrr che approveremo in CdM in linea di massima aspetteremo il trasferimento delle risorse europee.

Pensa che il Temporary Framework che sospende patto di stabilità e allenta molte regole Ue sulla concorrenza sarà prorogato oltre il 30 giugno 2021? Qual è la posizione del governo italiano?

L’Europa ha offerto una risposta forte e solidale alla pandemia. Nel 2021 riprenderà una importante riflessione sulla riforma del Patto di stabilità e crescita, così come riprenderanno i lavori della Conferenza sul Futuro dell’Unione. La sospensione legata al Temporary Framework è per sua natura una misura eccezionale, che dovrà essere prorogata se le circostanze lo richiederanno, ma è fondamentale ragionare fin da subito sull’Europa che vogliamo una volta superata l’emergenza e lavorare per assicurare un “level playing field” per tutti i paesi membri della Ue.

Che intervento pubblico vede come eredità della pandemia? Si intravvede una pervasività del settore pubblico in economia, oggi giustificati con l’emergenza. Ma di nuova Iri si parlava già prima del Covid.

La pandemia ha contribuito a mettere in luce l'importanza fondamentale che hanno per il tessuto sociale e per l’economia alcuni beni pubblici basilari. E non mi riferisco solo alla salute, ma anche alla rete di assistenza sociosanitaria territoriale e alla scuola. Lo Stato dovrà avere un ruolo importante anche nelle due grandi transizioni che caratterizzano la nostra epoca, quella digitale e quella verde. Occorre una chiara guida politica. Lo Stato può anche fornire direttamente o indirettamente gli strumenti necessari per investire in tecnologie e ricerche di frontiera, che – per la loro rischiosità – difficilmente possono essere finanziate solo da capitali privati.

Ci sono dossier industriali europei in scadenza come Stx-Fincantieri. Se non ci sarà una richiesta di proroga dei governi italiano e francese, la pratica sarà considerata chiusa. Chiederete la proroga?

La gestione della procedura merger è nelle mani delle società che, a tre anni dalla conclusione del deal al vertice di Lione, devono valutarne le implicazioni industriali. Ritengo che l’accordo Fincantieri-Chantiers de l’Atlantique rappresenti un’occasione straordinaria per creare un vero polo europeo della cantieristica, uno dei settori in cui la nostra industria ha un indiscusso primato tecnologico.

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