Amleta lancia la campagna per parlare alle attrici
Anche nei teatri esiste la violenza contro le donne e spesso è più complessa da riconoscere.
di Letizia Giangualano
4' di lettura
«Durante una prova, a me e ad un'altra attrice, viene chiesto di scoprirci il seno per una scena. Un collega si avvicina, allunga la mano e mi tocca ridendo. “Dovevo farlo” disse “dovevo sentire se il capezzolo era duro!”»
Cosa succede se vengono aperte le stanze di Barbablù e si scopre che le donne rinchiuse dall’orco non sono morte, ma sono ben vive e pronte a raccontare le ingiustizie che hanno subìto? #apriamolestanzediBarbablù è l'hashtag scelto per una campagna di informazione e sensibilizzazione sulla violenza verso le attrici, iniziativa di Amleta , collettivo nato per creare consapevolezza sulla disparità di genere nel mondo del teatro. Nel mese che ospita la giornata dedicata a combattere la violenza contro le donne, Amleta con questa campagna intende rendere manifesto un fenomeno ancora troppo sommerso, tollerato, visto quasi come un passaggio obbligato per le donne e le ragazze che vogliano intraprendere la carriera attoriale. Ma anche per i maschi, come raccontato dalle testimonianze raccolte da Amleta in più di un anno di segnalazioni.
Un fenomeno che ha sempre comunque a che fare con una dinamica di potere patriarcale, che rende la violenza sulle attrici diffusa e pervasiva, con un meccanismo volutamente e colpevolmente mal gestito da chi quel potere lo detiene. Se è vero che le attrici lavorano col corpo, è anche vero che c'è chi spaccia l'abuso per arte, e che le violenze vengono spesso agite in un ambiente che le tollera, le ritiene normali. Il risultato è che le vittime di abusi sono spesso isolate e hanno paura di parlare, anche perché proteggono come possono la propria possibilità di lavorare.
«Parlare di violenza non è facile - racconta ad Alley Oop Cinzia Spanò, attrice e autrice, tra le fondatrici del collettivo Amleta - ci sono dei limiti, primo fra tutti il fatto che la possibilità di denunciare nei termini di legge è di un anno per chi ha subito violenza. Spesso questo tempo non è sufficiente per riuscire a maneggiare una materia tanto dolorosa». Soprattutto se il sistema è connivente più con il potere che con le vittime. Continua Spanò: «Vorremmo raccontare quello che avviene, aiutare a definire tutto quello che è violenza: non solo le aggressioni, ma anche i tanti piccoli abusi che hanno a che fare con il potere, come ad esempio le modalità non appropriate di gestione dei provini».
La campagna di Amleta è parte di un movimento più ampio che è esploso in Francia a ottobre e a cui le attiviste di Amleta fanno riferimento: si tratta del #metootheatre, che sta smuovendo le acque in Francia in modi piuttosto eclatanti, portando anche a dimissioni importanti. Tutto parte dalla denuncia di Marie Coquille-Chambelle, il 7 ottobre, che in tweet racconta: «Sono stata violentata da un attore della Comédie-Française durante il primo lockdown, in un momento di malessere fisico. È ancora membro della Comédie-Française, anche se la direzione è al corrente della denuncia. Invito tutte le persone molestate sessualmente, aggredite o violentate nel circuito del teatro a testimoniare con l'hashtag #MeTooTheatre». Nel giro di poche ore le testimonianze sono centinaia, poi migliaia. Il 16 ottobre il collettivo che sostiene il movimento ha manifestato davanti al Ministero della Cultura a Parigi. Il 12 novembre si è appreso che Michel Didym, in custodia da settembre per la denuncia depositata da Coquille-Chambelle, ha presentato le dimissioni.
«È un momento importante per smuovere le coscienze - continua Spanò - in Francia il movimento metootheatre ha mostrato chiaramente che i tempi non permettono più di fare finta di nulla. È importante capire che il metoo non è un momento storico, è un movimento perpetuo. Periodicamente si creano le condizioni affinchè la denuncia di una diventi denuncia di tutte. È nella sua natura. In Italia è stato sostenuto in maniera tiepida, stiamo aspettando che ci sia una presa di coscienza che permetta di segnare un punto di partenza per un nuovo mondo come ce lo immaginiamo. Le vittime non hanno avuto nessun tipo di sostegno e i predatori proliferano, si sentono onnipotenti e sfacciati».
La dimostrazione è nelle testimonianze diffuse da Amleta in questi giorni: dai provini ai servizi fotografici, dai critici agli agenti fino ai registi e agli attori stessi, la pratica della violenza passa per aggressioni vere e proprie fino alla diffusione di video di nudità sceniche che diventano categoria pornografica sui siti web. «Diffondere testimonianze è importantissimo - prosegue Spanò - Le giovani attrici, come anche le donne, sono tutte terrorizzate, il sentimento più frequente è la paura, anche quando non ci sono più gli elementi per temere ripercussioni. Hanno paura di venire escluse, emarginate dal mondo dello spettacolo, perchè passano per delle guastafeste, hanno paura di venir giudicate, non capite, non sostenute. La testimonianza espone la collega alle critiche, ma dà anche coraggio a chi non se la sente di denunciare, la fa sentire meno sola. È importante quindi sostenere e non giudicare le attrici che denunciano».
Ma Amleta non offre solo sostegno morale: sui social si compie un certo tipo di azione e attivismo che ha una valenza culturale, e rappresenta un sostegno alle azioni più concrete che vengono poi portate avanti con le avvocate. Racconta Spanò: «Accompagniamo chi ci chiede aiuto nel percorso di denuncia e sosteniamo anche economicamente le attrici che intraprendono un percorso legale. Come associazione cerchiamo di essere di supporto dove possibile. Abbiamo 450 socie e soci, e speriamo che questa rete che stiamo tessendo possa sostenere le colleghe. Noi in primis eravamo sole, ora siamo insieme, non siamo sole».
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