Anche gli chef italiani hanno gli occhi a mandorla
di Maurizio Bertera
3' di lettura
Ci sono tanti cuochi italiani che lavorano in Oriente – basti pensare a Umberto Bombana e Luca Fantin – o che aprono locali tra Cina, Hong Kong e Giappone inviando delle brigate con tanti ragazzi del nostro Paese. Ci sono parecchi cuochi cinesi e soprattutto giapponesi che gestiscono, con successo, ristoranti di cucina italiana a Milano e Roma. Facile pensare a Yoji Tokuyoshi o Kotaro Noda che hanno conquistato una stella Michelin ma ce ne sono tantissimi a lavorare nelle brigate di posti famosi.
E poi c'è una terza categoria: i cuochi italiani che per i piatti orientali nutrono una passione totale. Chi l'ha scoperto da poco, chi è semplicemente così giovane da essere di una nuova generazione e non capisce dove stia la differenza tra dim sum e ravioli in brodo. Cuochi che si stanno rivelando preziosi per i ristoratori cinesi e giapponesi di alto livello, per ora solo a Milano che è la capitale storica del cibo etnico in Italia: nel DNA, i nostri ragazzi hanno il rispetto delle materie prime ma sanno anche capire il gusto dei clienti occidentali e quindi sono una risorsa per fare cucina orientale contemporanea.
Chi sono i cuochi che amano la cucina Orientale
Per esempio, a Iyo – unico stellato etnico in Italia – da due anni in cucina c'è Michele Biassoni, brianzolo di 30 anni. Racconta che per creare uno dei piatti più recenti – il Kasago – si è ispirato allo scorfano in brodetto, tipico del Sud Italia. “Ho aggiunto funghi shiitake, alga kombu, salsa di soia, pasta di miso bianca e ichimi togarashi per esaltare ulteriormente il gusto del pesce e aggiungere un sentore orientale. E' solo questione di abbinare il meglio di ogni cucina”. C'è un italiano anche ai fornelli di un altro ristorante della famiglia Liu, Gong Oriental Attitude: Guglielmo Paolucci, romano, 34 anni con un passato in cucine stellate e il coraggio di ripartire praticamente da zero, confrontandosi con l'altro chef Keisuke Koga e la patronne Giulia Liu che gli hanno fatto scoprire la ricchezza e la vastità della cucina cinese: “La marcia in più come italiano è proprio il fatto di avere un punto di vista diverso da quello di un cuoco asiatico – spiega - pur partendo dalla loro fortissima tradizione, inevitabilmente finisco per utilizzare gli ingredienti in modo diverso e per pensare ad accostamenti nuovi”.
Bisogna riconoscere che il primo italiano ad essere conquistato seriamente dalla cucina asiatica è stato il milanesissimo Eugenio Roncoroni, chef-patron de Al Mercato che dopo aver lanciato l'hamburger-gourmet ha aperto e continua a gestire l'eccellente Al Mercato Noodle Bar dove si preparano vari noodles in versione stir fried o soup, spring rolls, fresh rolls e dumplings fatti in casa, pad-thai e zuppe dai sapori orientali. Giorgio Bresciani, 31enne casertano, chef di cucina di Huan (bistrot e cocktail bar sui Navigli) ha fatto andata e ritorno perché dopo aver scoperto i piatti asiatici in un locale di Milano, ha lavorato tra Wenzhou e Shangai e poi ha scelto Huan per fondere le due cucine, partendo da quelle tradizionali di entrambi i Paesi. Così ama sempre trovare un ingrediente italiano che possa spiccare abbinandolo a piatti orientali. Uno dei migliori si chiama “Dentro è vicino, fuori è lontano” : ravioli ripieni di baccalà, taro e limone.
Anche Fabrizio Carta, sardo 28enne, è partito lavorando fianco a fianco con i cinesi della sua generazione. Oggi cucina bao e dumplings da Bob, secondo locale dei fratelli Hu del Chinese Box. L'idea è offrire grandi cocktail, senza il tocco asiatico a tutti i costi, insieme a una selezione di bao e dim sum dove Carta esprime l' anima italiana con mix inaspettati di ingredienti. Ad esempio il Bao al wasabi farcito con le sarde o i dumpling Edamame, con edamame e pecorino romano cotti al vapore. Caso a parte, l'originale Shimokita, l' ultimo progetto di Luca Guelfi, già proprietario in città del Canteen, locale messicano supercool presente anche a Courmayeur e in Costa Smeralda; del Petit Bistro e di Saigon, ristorante vietnamita.
Shimokita propone tapas giapponesi - tarate sul gusto di un pubblico europeo e ricche di contaminazioni a 360° - e mixology studiata ad hoc. Ai fornelli ci sono uno chef italiano e uno giapponese, Marco Fossati e Atsushi Okuda mentre per la carta dei dolci Guelfi si è affidato invece al talento della bresciana Ilaria Forlani, una delle pastry-chef emergenti. Per Shimokita ha pensato a un'edizione limitata dei suoi Glacé, tra cui l'Ice stone e il Sushi gelato. Immaginare una cosa del genere, una decina di anni era fantacucina.
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