Anche per gli studi performance misurata con indici di allerta
Costi del personale, formazione, peso dei primi dieci clienti: i professionisti possono misurare la gestione con un set di indicatori ad hoc
di Andrea Cecchetto
4' di lettura
Il mondo professionale può imparare dalle aziende. Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ha introdotto l’obbligo per le imprese – con una gradazione al variare delle dimensioni aziendali ispirata a un criterio di proporzionalità – di dotarsi di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili per prevenire situazioni di crisi aziendali attraverso gli indici di allerta. Indici che restano centrali anche se nella versione finale del Codice della crisi d’impresa, entrato in vigore il 15 luglio scorso, non c’è più il sistema automatico dell’allerta: prima rinviato più volte e poi cancellato, vista la situazione di crisi, è stato sostituito dal meccanismo della composizione negoziata della crisi d’impresa.
Ma non è forse anche uno studio professionale un’azienda? Certamente, sotto molti punti di vista, eccezion fatta soltanto per quei piccoli studi incentrati totalmente sulla figura dei professionisti titolari.
Tralasciando queste microrealtà, gli studi dovrebbero avere una propria organizzazione autonoma, tesa a generare un avviamento e una prosecuzione slegati dalla durata della vita professionale degli associati o, addirittura, del dominus.
Il condizionale è d’obbligo visto l’evidente ritardo degli studi professionali italiani su queste tematiche, sulla scia dei ritardi accumulati dal nostro tessuto imprenditoriale.
Ma la pandemia prima e la guerra in Ucraina e i costi dell’energia poi impongono di accantonare il pericoloso stile di gestione del day by day per preferire uno stile razionale e anticipatorio, basato sulla programmazione. Anche il nuovo Codice della crisi va in questa direzione.
In un’ottica aziendalistica sarebbe dunque utile e auspicabile individuare un set di Kpi (Key performance indicators), ovvero di indici chiave per evidenziare in anticipo l’eventuale inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a dare una remunerazione allo studio e ai suoi titolari, senza dimenticare gli squilibri organizzativi e strategici che potrebbero minare la continuità degli studi.
Oltre ai tradizionali ambiti del controllo usati dalle imprese – sostenibilità ed equilibrio finanziario, adeguatezza patrimoniale, redditività, sviluppo – occorre saper individuare altre aree di intervento a seconda della tipologia dello studio (su tutti, location, dimensioni e servizi prestati), per poi individuare benchmark interni ed esterni tagliati su misura per ogni realtà professionale.
La «Guida alla gestione dei piccoli e medi studi professionali» dell’Ifac (International Federation of Accountants), pubblicata per la prima volta già nel 2011 (dalla quale sono ripresi due indicatori suggeriti nella scheda a fianco) ha avuto il merito di tracciare delle prime indicazioni per gli studi in modo strutturato elencando una serie di indicatori utilizzabili per il benchmarking interno ed esterno in cui, com’è logico aspettarsi, un ruolo fondamentale assumono gli indici di produttività del personale.
Ulteriori spunti nella costruzione di Kpi possono rinvenirsi in tre documenti liberamente scaricabili. Il documento «Crisi d’impresa. Gli indici dell’allerta», elaborato dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti a ottobre 2019 per fornire un supporto tecnico all’implementazione del Codice della crisi. Qui nell’elaborazione degli indicatori di allerta settoriali troviamo il comparto «Servizi alle imprese» che comprende le attività professionali per le quali le soglie di allerta sono così individuate:
Oneri finanziari/Ricavi: 1,8 per cent;
Patrimonio netto/Debiti totali: 5,2 per cento;
Attività a breve/Passività a breve: 95,4 per cento;
Cash flow/Attivo: 1,7 per cento;
Indebitamento previdenziale e tributario/Attivo: 11,9 per cento.
Occorre però esaminare le performance degli studi non solo nell’ottica della crisi. Il paper dell’Oibr (Organismo italiano di business reporting) «Il Reporting Integrato delle Pmi: linee guida operative e casi di studio», pubblicato a ottobre 2019, suggerisce un’ulteriore elencazione di indicatori destinati alle imprese, specie di piccola dimensione. Lo stesso Organismo, inoltre, ad aprile 2022 ha pubblicato il «Documento informazioni non finanziarie per gli adeguati assetti e per la previsione delle crisi nelle Pmi» che, richiamando l’importanza dell’utilizzo di indicatori non derivanti dai documenti contabili, presenta un interessante elenco di Kpi di natura qualitativa.
Agli studi non resta che raccogliere questa ennesima sfida. Per avvicinarsi a una cultura aziendalistica che, paradossalmente, su questi temi appare troppo spesso lontana.
I dieci indicatori
1 - Costo del personale/totale costi o totale ricavi
Un'indagine su vari studi strutturati del Nord-est ha evidenziato un'incidenza media fra il 40 e il 50% sul totale costi.
Va aggiunto il compenso figurativo per i professionisti
2 - Spese informatiche / totale costi o totale ricavi
Monitora l'aggiornamento tecnologico dello studio.
L'Osservatorio Professionisti e innovazione digitale del Politecnico di Milano ha evidenziato per il 2021 una spesa annuale media sopra ai 10mila euro
3 - N. ore per attività fatturabili/Ore totali disponibili
Misura la produttività dello studio.
Nella prassi uno studio mediamente efficiente registra una percentuale di impiego di tempo in attività fatturabili di circa l'80%
4 - Età media degli associati
Controlla la rischiosità di un passaggio generazionale non pianificato.
Per individuare la soglia-alert si può fare riferimento all'età minima pensionabile
5 - Tasso di turnover del personale
Può evidenziare situazioni patologiche a scapito della qualità della consulenza.
Nella prassi aziendale livelli superiori al 15% sono preoccupanti
6 - N. suggerimenti di nuovi servizi o di innovazione nei processi
Monitora la proattività del team. È utile un'analisi parametrata all'esercizio precedente
7 - N.clienti nuovi e clienti persi/totale clientela ad inizio anno
Evidenzia il grado di acquisizione e di perdita di clientela rispetto all'anno precedente, dato che andrà approfondito sulla base dell' attività prestata (specialistica o tradizionale, straordinaria o no)
8 - Ore di formazione
Suddiviso fra collaboratori, soci e dipendenti è un parametro per verificare l'impegno a mantenere adeguato aggiornamento
9 - Fatturato primi dieci clienti/ totale fatturato
Evidenzia la concentrazione del fatturato e segnala la presenza di maggiore o minore rischiosità, con la relativa dipendenza potenziale dalla clientela.
Da incrociare poi con l'analisi degli incassi
10 - Soddisfazione della clientela
Da costruire con l'invio di questionari ai propri clienti. Evidenzia la capacità dello studio di soddisfare i bisogni della clientela con un approccio proattivo
Numeri, indici e parametri da monitorare per valutare lo “stato di salute” dello studio professionale
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