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Anche noi “vi mandiamo in Siberia”, ma quella vera

Una regione sconfinata, conosciuta più per luoghi comuni che per una lettura aderente alla realtà. Di certo c’è che esattamente come al tempo dei Romanov ancora oggi non si governa la Russia senza governare questo caveau inesauribile: il 70 per cento dei giacimenti russi si trova sotto le nevi siberiane

di Anna Zafesova

Oggi conta poco più di 30 milioni di abitanti, circa un quinto della popolazione russa (Credit: Kirill Kukhmar\TASS via Getty Images)

5' di lettura

Un ministro dello zar dell'Ottocento diceva di ignorare dove fosse la Siberia, e di non sapere come fosse, tranne che ci facesse molto freddo. Forse è un apocrifo, ma rende l'idea. Da quattro secoli, il concetto “venire mandati in Siberia” è qualcosa che va ben oltre lo spostamento fisico (spesso contro la volontà dell'interessato) in un punto geografico. “Andare in Siberia”, nell'immaginario russo come europeo, significa venire puniti, non tornare mai più, sparire.

La fantasia dipinge distese innevate sterminate, e quando i media a fine maggio hanno riportato la notizia sullo sversamento di 20mila tonnellate di gasolio da una cisterna di una centrale di riscaldamento nella città di Noril'sk (il più grave disastro ecologico della storia dell'Artico, paragonato da Greenpeace all'incidente della petroliera Exxon Valdez in Alaska, nel 1989), le immagini di fiumi diventati rossi per l'inquinamento e di impianti industriali sembravano stridere con il sogno di una natura selvaggia e incontaminata abitata da tigri cacciate da Dersu Uzala.

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Norilsk, l'impresa principale della città è la divisione polare di MMC Norilsk Nickel, il più grande produttore mondiale di palladio, uno dei principali produttori mondiali di nichel, platino e rame (Credit: Kirill Kukhmar\TASS via Getty Images)

Uno stereotipo che aiuta a vendere (basti pensare a successi di marketing come il romanzo Educazione siberiana di Nicolai Lilin, che nonostante il titolo èambientato in Moldova, alla stessa latitudine di Milano, o al brand russo di cosmetici organici Natura Siberica, prodotto con erbe siberiane in Estonia, in vendita all'Esselunga e su Amazon), ma che sta alla Siberia come la balalaika suonata dal dottor Zivago nel classico di David Lean sta al tormentato intellettuale descritto da Pasternak.

L'idea che la Siberia possa essere romantica stupisce immancabilmente i russi quando incontrano gli italiani che sognano un viaggio sulla Transiberiana, che per un moscovita è romantica quanto un regionale della Pianura padana. Il ministro dello zar potrebbe non essere mai esistito, ma come tutti gli aneddoti riassume una verità: dove sia la Siberia, e quanta sia, resta ancora materia di dibattito. In passato, era tutto quello che si trovava tra gli Urali e il Pacifico: in altre parole, appena si abbandonava il continente europeo iniziava la Siberia. Oggi a livello geografico si tende a distinguere tra Urali, Siberia Occidentale e Orientale ed Estremo Oriente, mentre le divisioni amministrative la suddividono in decine di regioni e repubbliche autonome.

Insomma, non si sa bene dove inizi e dove finisca la Siberia, anche perché è infinita: se si decide che corrisponda a tutta la parte asiatica della Russia, occupa il 77 per cento del territorio del Paese, una superficie più grande del Canada. Il ministro aveva ragione anche a dire che pochi vogliono andare in Siberia di propria volontà, e buona parte di quelli che la abitano sono discendenti di chi ci era stato spedito, dai forzati di Dostoevskij ai detenuti di Arcipelago Gulag di Solženicyn.

Una memoria ancora in buona parte sepolta sotto il permafrost, come ha mostrato Yuri Dud', giornalista e videoblogger da un miliardo di visualizzazioni, che nel suo documentario Kolyma – Dove nasce la nostra paura ha raccontato su YouTube il suo viaggio di duemila chilometri nel deserto gelato della terra dei lager. Oltre ai detenuti, il Partito ci mandava i giovani comunisti che dovevano costruire centrali elettriche e fabbriche. Molti però si arruolavano volontariamente, attratti dall'avventura e dai salari più alti che sulla “terraferma”, come nel Nord russo chiamano la parte europea della Russia, in una chiara percezione di una civiltà lontana e distinta, dove ora cercano di ritornare: negli ultimi vent'anni, dalla Siberia sono emigrate più di due milioni di persone.

Oggi conta poco più di 30 milioni di abitanti, circa un quinto della popolazione russa, l'equivalente di appena un paio di megalopoli cinesi dall'altra parte del confine. Per l'Unione Sovietica, la Siberia non era soltanto un enorme gulag, ma anche un caveau inesauribile: oro, diamanti, legno, pellicce, metalli di ogni genere, ma soprattutto petrolio e gas: forniscono la metà delle entrate dello Stato e il 70 per cento dei giacimenti russi si trova sotto le nevi siberiane. Mikhail Lomonosov, il genio settecentesco che aveva di fatto fondato la scienza nazionale, aveva profetizzato che «le ricchezze della Russia si sarebbero accresciute dalla Siberia», una frase che veniva scritta sui manifesti della propaganda comunista accanto alle citazioni dei classici del marxismo.

Un uomo cammina su un ponte pedonale nella città di Norilsk. Situata all'interno del Circolo Polare, Norilsk è un importante centro industriale. A luglio, la temperatura media giornaliera è di circa +7 gradi Celsius. (Photo by Kirill Kukhmar\TASS via Getty Images)

Non si può governare la Russia senza la Siberia: per i Romanov e per Stalin, era la prigione di ghiaccio la cui sola menzione rendeva docili i sudditi (il dittatore lo sapeva per esperienza, essendo stato mandato dallo zar al confino in un villaggio sperduto), i regimi di Leonid Brežnev e Vladimir Putin hanno carburato a petrolio siberiano, consolidandosi o vacillando insieme alle oscillazioni del prezzo del barile.

Vista dall'aereo, la Siberia è una gigantesca distesa vuota, ma è anche tante altre cose: città milionarie con università e centri di ricerca all'avanguardia, campi di grano, fabbriche enormi come il Noril'sk Nickel, il gigante dei metalli al centro di polemiche per il recente disastro ecologico, e lotte politiche feroci. Lo spirito secessionista corre sempre sotto la pelle della Siberia, che invece del sentimento etnico – le popolazioni indigene sono una sparuta minoranza perfino nelle autonomie a loro intitolate, soverchiate da un melting pot di russi e ucraini, nipoti dei tedeschi e dei tartari deportati dal Volga (da leggere Zuleika apre gli occhi di Guzel' Jachina, Salani, che racconta la storia di una giovane tartara al confino siberiano) – si alimenta di un senso di eccezionalità di un territorio che si sente molto trascurato da Mosca.

I cinesi sono da vent'anni un incubo e una risorsa: al Cremlino per anni hanno temuto seriamente una invasione da parte del vicino infinitamente più ricco e popoloso, ma le nuove Chinatown sono anche il centro di floridi commerci e di una colonizzazione strisciante e pacifica che procede senza fretta. Dersu Uzala si è ritirato nella taigà, ma anche quella rischia di estinguersi. Perché – un altro luogo comune sfatato – in Siberia oggi fa caldo, molto, troppo. L'estate siberiana è sempre stata breve e rovente, ma quest'estate a Verchoyansk, la città più fredda del mondo, si sono registrate escursioni termiche di più di 100 gradi tra il record mondiale del gelo dei -69 °C e i mai visti 38 °C. Temperature che incendiano gli alberi, e nel 2019 a Krasnojarsk per settimane non si era visto il cielo per il fumo di centinaia di ettari di taigà.

Quest'anno, le macchie nere delle foreste bruciate sono già visibili dallo Spazio, e Vladimir Semenov dell'Accademia russa delle scienze dice che l'Artico è la regione dove le temperature medie stanno salendo più vertiginosamente: «La Yakuzia da una media invernale di -40 gradi è aumentata a -32, otto gradi sono un'enormità, anche se magari difficile da percepire». Il geografo Thomas Smith della London School of Economics descrive un pericolo ambientale globale: i roghi della taigà bruciano non solo gli alberi, ma anche gli strati di torba, lasciando chilometri di terra carbonizzata ed emettendo nell'atmosfera quantità gigantesche di emissioni di carbonio, che riscaldano ulteriormente il clima, in un circolo vizioso dalle conseguenze catastrofiche.

In molte zone della Siberia, il permafrost ha smesso di essere permanente: la terra non gela più, e probabilmente la cisterna che ha scaricato il gasolio nei fiumi siberiani si era incrinata proprio a causa dello scioglimento del suolo ghiacciato.

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