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Ancora alta tensione tra Salvini e Meloni, mentre Letta teme il flop del campo largo

Il test di domenica 12 giugno è destinato a pesare anche sugli equilibri delle coalizioni. Il leader della Lega accusa Fratellli d’Italia di aver diviso il centrodestra. La replica: «È lui che è strabico»

di Barbara Fiammeri e Emilia Patta

 Domenica 12 giugno si vota per amministrative e referendum dalle 7 alle 23

4' di lettura

Nonostante le forti divisioni interne al centrodestra e tra il Pd e il M5s sulla questione della guerra in Ucraina, lo schema bipolare sembra prevalere nelle imminenti comunali del 12 giugno: virtù della legge maggioritaria con ballottaggio nei Comuni sopra i 15mila abitanti. I numeri dicono infatti che su 26 Comuni capoluoghi di provincia chiamati al voto il centrodestra si presenta unito in 20, mentre il cosiddetto campo progressista (Pd, M5s e sinistra) in 18. Ma i numeri non dicono tutto.

Il braccio di ferro tra Salvini e Meloni

Il tentativo di nascondere la guerra in corso tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni, derubricando i distinguo a «soli 4 o 5 Comuni», non convince. Questa tornata elettorale si appresta a diventare una nuova resa dei conti interna per il centrodestra. Lo conferma anche l’ultimo botta e risposta tra i due leader. Con il segretario della Lega che accusa la presidente di Fdi di aver «scelto in qualche comune di dividere il centrodestra e andare da solo» e Meloni che replica dura dandogli dello «strabico». In realtà è difficile attribuire a una sola forza politica della coalizione la responsabilità della divisione.

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Verona

A Verona a voler andare da soli sono stati i forzisti, che appoggiano l’ex leghista Flavio Tosi assieme ai renziani di Iv mentre il partito di Salvini insieme a Fdi sostengono il sindaco uscente Federico Sboarina. Una guerra tutta interna al centrodestra che potrebbe favorire il candidato di Pd, M5s e partiti della sinistra Damiano Tommasi.

Messina

A Messina invece la corsa in solitaria la fa la Lega, appoggiando il candidato dell’ex sindaco Cateno De Luca che vuole sfidare alle prossime regionali in autunno Nello Musumeci, ovvero l’attuale Governatore di cui Meloni chiede la conferma.

Palermo

L’accordo raggiunto faticosamente a Palermo, dove il centrodestra sostiene unito l’ex rettore ed ex assessore regionale Roberto Lagalla contro il candidato comune di Pd e M5s Franco Miceli, presidente dell’ordine degli architetti, non risolve dunque i problemi tra gli alleati sull’isola (e non solo). Un caos, quello siciliano, che si riflette anche sull’altro fronte, dove i centristi a Palermo vanno in ordine sparso: se Carlo Calenda con la sua Azione appoggia l’ex orlandiano Fabrizio Ferrandelli, i renziani di Iv hanno deciso invece di non sostenere ufficialmente Lagalla ma di permettere ad alcuni dei loro esponenti locali di candidarsi nella lista civica dell’aspirante sindaco di centrodestra.

Parma e Viterbo

A Parma e Viterbo invece Fdi si presenterà con i suoi candidati. Nella cittadina laziale il centrodestra si è di fatto frantumato. Basti pensare che il sindaco uscente di centrodestra, Giovanni Arena, sfiduciato dagli alleati, ora sostiene la candidata Pd Alessandra Troncarelli, mentre Fi e la Lega hanno indicato Claudio Ubertini e Fdi scommette sulla civica Laura Allegrini.

Antipasto per le politiche

Lunedì 13 giugno, a spoglio consumato, si tireranno le somme. Questo è solo l’antipasto di quel che accadrà con le politiche. In ballo c’è sempre la leadership del centrodestra. I toni rassicuranti, tanto di Salvini che di Meloni, all’insegna del “chi ha un voto in più indica il premier”, lasceranno spazio alle reazioni post voto, soprattutto se dovesse emergere un nuovo exploit di Fdi al Nord. Stavolta più che in passato i voti di lista peseranno assai di più della vittoria o della sconfitta del candidato di coalizione.

Il fronte giallorosso

Sul fronte giallorosso il risultato di 18 accordi su 26 tra Pd e M5s è tutto sommato un buon viatico per il costituendo “campo largo” in vista delle prossime politiche, nonostante le divisioni a livello nazionale sulla guerra in Ucraina e il termovalorizzatore di Roma, visto che l’alleanza cinque anni fa non esisteva. Il problema è semmai l’evaporazione del M5s sul territorio: clamoroso il caso di Parma, dove i 5 stelle hanno rinunciato a presentare il simbolo mentre il Pd appoggia il candidato pizzarottiano Michele Guerra. Se si allarga lo sguardo oltre Parma il quadro resta desolante: in Sicilia, storico granaio di voti per il movimento, i 5 Stelle presentano la lista in coalizione con il Pd solo in 3 Comuni su 120 (Palermo, Messina e Scordia in provincia di Catania). In totale il M5s presenta il simbolo in 64 Comuni su 971: il 6%. Per il resto è tutto un proliferare di candidature nelle liste civiche in appoggio ai candidati sindaci del Pd, come nelle venete Padova e Verona.

M5s contro tutti

Da soli contro tutti i 5 Stelle si presentano solo in poche realtà come Cuneo, Lucca e Piacenza (qui si tenterà un esperimento di sinistra radicale, con il M5s assieme a Sinistra italiana e Verdi in competizione con il Pd). Per di più, dove il M5s è in coalizione con il Pd non lo è mai con un candidato proprio. Eppure in casa democratica l’attenzione è alta: «L’obiettivo è dimostrare che il campo largo è meglio dell’autosufficienza», ripete il segretario dem Enrico Letta. Ma, certo, se la performance dei 5 Stelle sarà ininfluente, o addirittura a somma negativa, tra i dem crescerà il pressing di chi mal sopporta l’alleanza con il “populista” Giuseppe Conte e spinge a guardare piuttosto all’area centrista e draghiana che va da Calenda e Renzi passando per i radicali di Più Europa. Ad ogni modo il Pd stavolta gioca fuori casa, come ricorda il responsabile enti locali Francesco Boccia: «Si parte da 20 Comuni amministrati dal centrodestra e 5 dal centrosinistra, ogni Comune in più per noi è una vittoria»

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