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Ancora troppi colli di bottiglia ostacolano i treni merci

In Italia l'integrazione tra la rete ferroviaria, i porti e il sistema degli interporti non è ancora sufficientemente sviluppata. Le proposte di Fermerci

di Marco Morino

4' di lettura

Il trasporto ferroviario delle merci, per molto tempo considerato la cenerentola dei trasporti, ha un disperato bisogno di crescere. E per farlo, spiegano le compagnie pubbliche e private attive in Italia, è indispensabile che gli standard europei previsti per l’infrastruttura ferroviaria (binari lunghi 740 metri) diventino quelli di riferimento nei porti marittimi, negli interporti, nei terminal di trasbordo e nei raccordi ferroviari, eliminando i numerosi i colli di bottiglia lungo la rete che costituiscono il principale ostacolo all’intermodalità nave+treno oppure Tir+treno.

Secondo le compagnie, per ottenere lo shift modale a favore del trasporto ferroviario merci e raggiungere gli obiettivi fissati dal legislatore europeo occorre un pacchetto di misure a sostegno della logistica ferroviaria. Ma andiamo con ordine.

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Oggi in Italia la quota di mercato del cargo ferroviario è ferma al 12% contro una media Ue del 17% (in Austria è al 30%, in Germania al 18%). Siamo lontanissimi dagli obiettivi indicati dall’Europa, che punta a trasferire dalla strada alla ferrovia il 30% delle merci su percorrenze superiori ai 300 chilometri. Sotto tale soglia non c’è partita: vince sempre il camion rispetto al treno. Un obiettivo da centrare in tempi brevissimi: entro il 2030. È altamente improbabile che, tra meno di 7 anni, il cargo ferroviario italiano centri questo risultato. Anche perché, in questo particolare momento, i prezzi dei trasporti su gomma risultano più concorrenziali rispetto a quelli dei treni merci.

In Italia, l’operatore dominante è Mercitalia, la società capofila del Polo logistico del Gruppo Ferrovie dello Stato (Fs), che controlla la metà del mercato. L’altra metà è suddivisa tra una ventina di compagnie private, frutto della liberalizzazione ferroviaria che ha aperto il settore alla concorrenza. Tra i privati, i due principali operatori sono: il gruppo Autobrennero, il concessionario dell’autostrada A22 del Brennero, a cui fanno capo ben tre compagnie ferroviarie merci (Rtc, Lokomotion e InRail); segue Cfi-Compagnia ferroviaria italiana, impresa controllata dal fondo F2i.

Il Gruppo Fs punta a raddoppiare, nel giro di 10 anni, la quota di merci trasportata con il treno. A tal fine è stato lanciato un piano di investimenti decennale da circa 3 miliardi di euro. Un valore mai registrato prima dalle Fs nelle attività cargo. Gli investimenti si concentrano su rinnovo della flotta, potenziamento dei terminal di trasbordo esistenti e nuovi terminal da acquisire o costruire ex novo. Nel 2022, il Polo logistica del Gruppo Fs ha chiuso l’esercizio con un volume d’affari in aumento sull’anno precedente, in larga parte attribuibile alla componente dei ricavi da trasporto internazionale, ma con perdite più consistenti (-144 milioni rispetto ai -19 milioni del 2021) per la crescita dei costi operativi. Il traffico nazionale in particolare ha risentito negativamente del calo della domanda dei settori automotive e siderurgico e dei lavori lungo la rete che hanno generato interruzioni alla circolazione. Nonostante le perdite in aumento, Fs conferma di credere nello sviluppo del business cargo.

Secondo Fermerci, l’associazione che riunisce le principali realtà attive in Italia (Gruppo Fs, gruppo Autobrennero, Hupac, Medway e Medlog del gruppo Msc, Gts Rail, Logtainer), il cargo ferroviario nel nostro Paese ha uno svantaggio: l’integrazione tra la ferrovia e il sistema dei porti marittimi e degli interporti (terminal interni) non ancora è sufficientemente sviluppata. Mancata integrazione tra le reti significa scarsa intermodalità. Secondo un’analisi di Fermerci, il traffico ferroviario di primo e ultimo miglio in Italia, presenta oggi un importante ritardo infrastrutturale che, unito alle limitazioni ampiamente diffuse sulla rete nazionale, determina l’impossibilità, per le imprese ferroviarie, di adottare economie di scala. Fermerci cita uno studio condotto dal Mit (ministero dei Trasporti) dal quale emerge come tra i 25 nodi interportuali di rilievo nazionale, soltanto 9 presentano binari a standard europeo di 740 metri.

In ambito portuale, invece, nessun terminal ferroviario possiede tali requisiti, escludendo, pertanto, l’intero traffico combinato marittimo dalla possibilità di operare secondo gli standard europei. Da tali limitazioni deriva una forte incidenza del costo legato alle operazioni di primo e ultimo miglio ferroviari.

Inoltre le imprese ferroviarie sono preoccupate per i cantieri del Pnrr, che causeranno ulteriori colli di bottiglia. Spiega Fermerci: «Ai numerosi interventi manutentivi ordinari e straordinari lungo la rete ferroviaria nazionale si aggiungono le opere di adeguamento strutturale previste dal Pnrr. Il complesso dei lavori programmati sulla rete produce un totale di 1.361 giorni di indisponibilità di linea. È urgente - continua Fermerci - intervenire sull’ultimo miglio ferroviario: rimuovere i colli di bottiglia infrastrutturali presenti, ma soprattutto aumentare i punti di accesso alla rete ferroviaria a favore delle imprese, tornare quindi ad avere una infrastruttura maggiormente ramificata sul territorio». In ultimo, è necessario favorire l’utilizzo del trasporto ferroviario merci da parte della grande industria.

Dice il presidente di Fermerci, Clemente Carta: «Proponiamo un patto con l’industria nazionale, comprese le aziende di Stato. È evidente che i nostri volumi di traffico sono direttamente proporzionali alla produzione industriale e se volgiamo raggiungere gli obiettivi europei occorre uno sforzo collettivo».

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