«Andare per mare ti offre insegnamenti utili anche nel mondo degli affari»
Carlo Cimbri, 57 anni, è da tempo l’uomo nuovo della finanza italiana
di Paolo Bricco
I punti chiave
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«Nel 1951 il piccolo paese di Gairo Sant’Elena, nell’Ogliastra, venne distrutto da un nubifragio. Fu ricostruito a ottocento metri di altitudine. La strada principale era sterrata. Le case non avevano l’impianto di riscaldamento. La stazione dei carabinieri si trovava all’ingresso di Gairo. Una notte, nel 1969, misero una bomba sulla finestra dell’alloggio del comandante. Il comandante era mio padre Giuseppe. Io avevo quattro anni. Vivevamo in quell’appartamento io, lui, mia mamma Paola e mia sorella Daniela, che è più piccola di me. Nessuno si fece male. Anche se lo spavento fu grande. Il Gennargentu era un posto complicato. C’erano faide. Si praticava l’abigeato, il furto dei capi di bestiame. L’Anonima Sequestri aveva potere e il banditismo era aggressivo verso le forze dell’ordine e i rappresentanti dello Stato».
A pranzo a Cagliari
Carlo Cimbri, 57 anni, è da tempo l’uomo nuovo della finanza italiana. Siamo al ristorante Calamosca. Da questa terrazza ombreggiata l’affaccio sull’omonima spiaggia è stordente: colori meravigliosi e odori intensi a pochi chilometri dal centro di Cagliari, in uno degli ultimi giorni prima che la piena estate porti nel sud della Sardegna un calore, quest’anno, molesto e moltitudini di turisti. Nella luce del primo pomeriggio, i camerieri servono antipasti di pesce crudo: tartare di tonno e di salmone, gamberi e scampi. Cimbri è una personalità complessa, pur nella semplicità dei tratti e dei modi: «Sono stato un impiegato e poi un dirigente normalissimo della Unipol, i miei genitori erano persone umili, non mi hanno lasciato né ricchezza né relazioni».
L’era Consorte
Cimbri ha evitato il collasso di Unipol, dopo la stagione – perdente – di Gianni Consorte, che da esponente della finanza e della cooperazione di derivazione comunista provò nel 2005 ad acquisire la Banca Nazionale del Lavoro, cercando di costituire un blocco finanziario-strategico-politico alternativo al sistema della finanza cattolica, della finanza laica e del trasversale partito della spesa pubblica che ha segnato, dal Secondo dopoguerra alla Seconda repubblica, la storia italiana: «Unipol aveva, allora, sei manager di prima linea. Ero uno di questi. Ho fatto io l’ingegnerizzazione tecnica dell’Opa. Il disegno era naturalmente di Consorte e del vicepresidente Ivano Sacchetti. Al di là di ogni tema di potere puro, l’operazione in sé era industrialmente e strategicamente sbagliata. Assicurazione e banca non possono essere gemelle siamesi. La banca ha dei dipendenti e l’assicurazione ha degli agenti. L’organizzazione è diversa. Le sinergie sui costi sono poca cosa. E, poi, il problema del rischio è differente per una banca e per una assicurazione: in un organismo nato dalla piena fusione fra due entità così diverse, lo sviluppo sui ricavi avrebbe una contraddizione interna assoluta e controproducente».
Le acquisizioni
Cimbri ha evitato che la debolezza finanziaria, l’isolamento politico e la gracilità giudiziaria di Unipol – la magistratura ha seguito con molta attenzione l’epoca Consorte e quella successiva – portassero la compagnia a essere una preda da smembrare. Con una strategia in cui, negli anni, ha miscelato elementi di ortodossia (il rapporto con la Mediobanca di Alberto Nagel, la permanenza nel Cda di Rcs e la presidenza dello Ieo) ed elementi di rottura (la valutazione che le azioni magari ancora un poco si pesano, ma ormai soprattutto si contano, perfino in Italia), è diventato sempre più essenziale nel gioco italiano della finanza. La prima operazione significativa è stata, nel 2012, l’acquisizione di Fonsai. Poi Unipol è diventata azionista di controllo di Bper, con la quale ha comprato sportelli da Ubi e ha preso Carige, creando il terzo polo bancario dopo UniCredit e Intesa Sanpaolo. Quindi, ha rilevato il 10% della Popolare di Sondrio.
Vino e primo
I camerieri suggeriscono una serie di vini. Alla fine, prendiamo un Weindorf Gewürztraminer, un vino del Trentino-Alto Adige. Racconta Cimbri: «Mia madre Paola era una maestra elementare. I miei nonni materni abitavano a Cagliari. Mio nonno Alfredo era elettricista e idraulico. Mia nonna Tonina era casalinga. La loro casa non era distante dal porto. Io e mia mamma trascorrevamo lunghi periodi a Cagliari ospiti dei miei nonni. Gairo era isolata e distante da tutto». I camerieri portano un primo. Carlo prende la pasta Calamosca: spaghetti freschi all’uovo alla chitarra saltati con il pomodoro, aglio e olio, bottarga, calamari, cozze e arselle. Io, invece, vado sui culurgiones: i ravioli sardi patata e menta, con burro e salsa di pomodoro.
Il dna sardo
Nella sua dimensione insieme di ordine e di rottura, nella sua ricerca di rimanere costantemente all’ombra anche se la luce gli piace e lo diverte, nel suo evitare con le unghie e con i denti che Unipol fosse inghiottita dalla fine di un mondo riuscendo a diventare un operatore sia di sistema sia di mercato, Cimbri sembra in qualche maniera riecheggiare la dimensione duplice della Sardegna, che è allo stesso tempo terra di istituzioni e di ribellioni, di giuristi classici e di codici barbaricini, di Antonio Gramsci e Francesco Cossiga e di Pietro Mamia (nel 1802 fautore della ribellione ai Savoia a favore della Repubblica sardo-corsa) e di Samuele Stochino (bandito e allo stesso tempo primo sergente della Brigata Sassari, medaglia d’argento nella Prima guerra mondiale).
Il periodo bolognese
Nel 1975, la famiglia di Cimbri lascia la Sardegna: «Allora era possibile per i carabinieri passare in un altro ramo della pubblica amministrazione. Mio padre scelse le Ferrovie dello Stato. Divenne funzionario dello snodo di Bologna. Io arrivai a Bologna con lo sguardo dell’emigrante. La lingua era diversa. La città era un corpo molto coeso. Il Partito Comunista aveva uno stile amministrativo basato sulla fornitura di servizi sociali per tutti, di ottimo livello: i quartieri popolari avevano molto verde e gli autobus erano gratuiti. Quando mi iscrissi al liceo scientifico Fermi, incominciai a giocare a basket, lo sport più diffuso nei campetti e nelle scuole, più del calcio. Scoprii la rivalità fra la Virtus e la Fortitudo, che a Bologna hanno lo stesso rapporto che hanno nel calcio la Juventus e il Torino».
Dopo la laurea l’offerta di Unipol
L’adesione di Cimbri a Bologna non è totale. Nel senso che Cimbri, a differenza di tanti altri, non ha una biografia politica: né di partito – anzi, di partito - né di sindacato né di cooperativa. Una realtà di cui la vecchia Unipol era un architrave. Racconta Carlo: «C’erano scioperi, assemblee, picchettaggi. Mi sono diplomato nel 1983. Bologna viveva la coda del '77, quando la città era stata incendiata dall’omicidio del militante di Lotta Continua Francesco Lorusso, dall’attivismo della Autonomia, dalle esperienze libertarie degli Indiani Metropolitani. Ma non mi hanno mai attratto né il ribellismo e la creatività degli extra-parlamentari né la legge e l’ordine del Pci e della Cgil. Guardavo con distacco quel tipo di dimensione pubblica. Ero molto più interessato allo sport, alle ragazze e agli amici. Ho fatto bene le superiori, anche se le ho trovate omologanti. Ho frequentato con soddisfazione l’università, la facoltà di Economia e commercio che a Bologna, insieme a scienze politiche, offriva una formazione di cultura economica molto solida. La mia è una generazione fortunata, perché ha potuto scegliere il lavoro: io, appena laureato, ho ricevuto l’offerta di Unipol e quella di una società di revisione. In estate, a Natale e a Pasqua sono sempre venuto qui in Sardegna, a Cagliari, a trascorrere le vacanze. Sono molto legato a questa città».
Il look
Questa doppia radice – la sardità esiste, come anche la bolognesità – ha conferito a Cimbri un profilo impermeabile rispetto alla tentazione, che ha riguardato chiunque fosse in quei tempi “totus bolognensis”, di entrare ed uscire con spregiudicatezza dal Partito e dalla cooperazione rossa (lavori pubblici e supermercati, servizi sociali e appunto assicurazioni), dai sindacati e dalle aziende pubbliche.
Perfino nella fisiognomica, nel vestire e nel taglio di capelli, Cimbri ha una estetica che non ricorda né lo standard azzimato e tardo globalizzato della finanza milanese né l’orologio da 10mila euro al polso dei dirigenti pubblici romani e neppure i sorrisi rotondi da preti laici che avevano i dirigenti delle coop rosse emiliane e romagnole fino agli anni Novanta e fino appunto ai primi anni Duemila, quando erano ancora più bonari e aggressivi perché più importanti della vecchia struttura Pci-Pds-Ds.
I secondi - La Uno Bianca
Di secondo, io prendo un branzino. Lui, invece, un rombo in guazzetto. La compresenza della normalità e dell’alterità segna non poco Cimbri: «Ho imparato tanto nell’anno del militare. Da carabiniere, in servizio a Bologna facevo, fra l’altro, il terzo uomo sulla gazzella. Fui tra i primi ad arrivare al quartiere del Pilastro la notte del 4 gennaio 1991, dopo che la banda della Uno Bianca, quella dei fratelli Savi, aveva ucciso tre giovani carabinieri. La Bologna che ho conosciuto io era quella dei campi rom, delle carceri minorili, del servizio d’ordine allo stadio, della notte. Quell’anno mi ha insegnato che esiste sempre un’altra visuale sulle cose».
Il Poetto
Bologna è altrove. Qui vicino, invece, c’è il Poetto, la grande spiaggia frequentata dai cagliaritani. «Mio zio Luigi abitava al Poetto. Al porticciolo aveva un otto metri. Ho imparato con lui ad andare in barca. Mi è stato utile, perché il mare ti offre insegnamenti utili negli affari: la strada più corta non è la più semplice, puoi morire in un secondo, non si va mai controvento e, per virare, bisogna trovare l’attimo giusto per passare davanti al vento. La storia di Unipol in qualche maniera lo dimostra», conclude Cimbri, sorseggiando il caffè e facendo il sorriso di chi, anche grazie alla scuola del mare e non alla scuola del partito, guida una compagnia di assicurazione che esiste ancora ed è più centrale di prima.
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