Aneri, l’imprenditore con la passione per il giornalismo
Autoritratto di imprenditore da bambino. «Mio padre Primo era capostazione a Legnago, mia madre Renata si è sempre occupata dei tre figli. Non giocavo a indiani e cowboy, a guardie e ladri, come facevano quasi tutti quelli della mia età. Preferivo giocare al negoziante con gli amici.
di Paolo Bricco
3' di lettura
Autoritratto di imprenditore da bambino. «Mio padre Primo era capostazione a Legnago, mia madre Renata si è sempre occupata dei tre figli. Non giocavo a indiani e cowboy, a guardie e ladri, come facevano quasi tutti quelli della mia età. Preferivo giocare al negoziante con gli amici. Compravo i cioccolatini Ferrero, quelli con le figurine, e li tagliavo in quattro. I miei amici, per giocare, dovevano comprarne un pezzo: io pagavo il cioccolatino 15 lire, loro pagavano 10 lire a pezzo. Insomma, 25 lire di margine a cioccolatino, niente male. Prima di diventare imprenditore vero, ho fatto il manager per 20 anni alla Ferrari di Trento ma già guardando avanti con una prospettiva internazionale, rivolta più verso Londra o Parigi che non verso Napoli o Palermo».
Giancarlo Aneri, classe 1948, ha aggiornato e ampliato il libro, già pubblicato in prima edizione nel 2017, È una storia italiana. Appunti di un lungo viaggio scritto insieme a Gabriele Tacchini. La sua storia lo accomuna e lo discosta dagli altri imprenditori che, dalla fine degli anni Sessanta, hanno partecipato alla modernizzazione dell’economia e della società italiane. Questa modernizzazione si è compiuta con l’ampliamento della nostra specializzazione produttiva, che dalla fine dell’Ottocento per un secolo si era basata solo sulla fabbrica, a nuovi comparti come il wine business. Aneri appartiene alla schiatta dei veneti, dei piemontesi e dei toscani che hanno reso l’Italia dei filari e dei vigneti un concorrente vero della Francia. Questa modernizzazione si è incarnata con originalità nella forza variopinta ed esplosiva che Giancarlo ha impresso alla sua attività, incentrata sul vino prima e poi in generale sul lusso del buon mangiare, del buon bere e del buon vivere: una attività trasformata in una bomba di comunicazione di prodotto e di relazioni con l’establishment politico, finanziario e industriale – non della piccola Italia, ma del grande Mondo - e con la società della cultura e dello spettacolo. Sono numerose le fotografie in cui lui e i suoi prodotti compaiono sui set cinematografici, negli eventi sportivi, negli appuntamenti della mondanità.
Il primo seme fertile è stata, però, la passione per il giornalismo: «A 11 anni, per la prima volta, ho comprato, da solo, un giornale, il “Corriere della Sera”. E ho capito che, leggendolo, riuscivo a percepire nitidamente le realtà del mondo. Mi apriva il cervello». Questa passione ha consentito ad Aneri di diventare amico dei tre maggiori giornalisti italiani del Novecento: Indro Montanelli, Giorgio Bocca e Enzo Biagi, coinvolti nel premio èGiornalismo: «Tre caratteri diversi, tre personalità diverse, tre modi diversi di vedere le cose con uno straordinario filo conduttore: la professionalità, l’essere estremamente per bene e aver sempre e soltanto fatto il giornalista regalando ai lettori il loro cuore».
Giancarlo ha sviluppato una intimità, basata sulla confidenza e sulla stima reciproche, con le élite di questo Paese. Quelle dotate di carismi fuori dal tempo, come i costruttori di automobili della Via Emilia capeggiati dal Drake, Enzo Ferrari. E quelle strutturalmente radicate nella meccanica del potere più solido e duro, come gli Agnelli, proprietari di quella Juventus per cui Aneri ha una passione profonda al limite della malattia. Aneri è un uomo del popolo, che senza complessi di inferiorità, desideri di rivalsa o servilismi inconsci costruisce rapporti simmetrici con chi fa parte dell’establishment o per nascita o per funzione. Fra le molte foto del libro, all’assegnazione nel 2007 del premio èGiornalismo a Francesco Giavazzi compare un Mario Draghi, allora governatore della Banca d’Italia, irritualmente sorridente e gioviale e con la cravatta leggermente spiegazzata e fuori linea.
Ma, leggendo questo volume agile e divertente aggiornato rispetto a quello di sei anni fa con le ultime iniziative imprenditoriali di Aneri e gli ultimi arrivi dei nipoti di lui come “nonno Giancarlo” (in una identificazione fra imprenditore, impresa e famiglia), ci si rende conto che gli elementi più variopinti della sua multiforme vita non vanno circoscritti all’aneddotica brillante, ma vanno inseriti in un preciso modello antropologico italiano in cui il lavoro e l’impresa, il senso teatrale della vita e un divertimento naturale sono fusi in una unica esperienza.
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