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Anno Ue delle competenze: all’estero per migliorare lingue, human e soft skills

Studio dell’Inapp “Gli effetti della mobilità transnazionale”, che ha preso in esame alcuni progetti Erasmus+: emerge una “generazione Erasmus-millennium” che ha interiorizzato il valore del “viaggiare” in Europa

di Claudio Tucci

AdobeStock

4' di lettura

Lingue, human e soft skills. Sono queste le competenze che si migliorano da un’esperienza di formazione all’estero. A certificarlo è un recente studio dell’Inapp “Gli effetti della mobilità transnazionale”, che ha preso in esame alcuni progetti Erasmus+ e dal quale è emerso il profilo di una “generazione Erasmus-millennium” che ha interiorizzato il valore del “viaggiare” in Europa come opportunità di sviluppo delle proprie competenze sociali, trasversali e professionali (per il 67,2% di loro la mobilità Erasmus è stata la prima esperienza di viaggio, in quanto, precedentemente, essi erano usciti dai confini nazionali più di una volta, per motivi di studio, lavoro, svago). Per i discenti (tra i 18 e i 20 anni) infatti l’esperienza fuori dall’Italia ha migliorato le competenze linguistiche (28,73%), per il 14,12% ha fatto acquisire o migliorare le “soft” skills (le competenze trasversali), per l’11,41% ha fatto acquisire nuove competenze professionali.

L’importanza della mobilità

I partecipanti, secondo lo studio, hanno manifestato un alto livello di gradimento dell’esperienza Erasmus realizzata (l’82,7% ha dichiarato di aver ottenuto notevoli benefici e il 98,2% la consiglierebbe ad un amico), poiché è riuscita a soddisfare ampiamente (“molto” per il 47,1% e “abbastanza” per il 45,7%) le aspettative pre-partenza, rivelandosi abbastanza efficace per l’acquisizione di competenze professionali specifiche, immediatamente spendibili nel mercato del lavoro, e particolarmente utile rispetto allo sviluppo di soft skill. La rilevanza della dimensione cognitiva rispetto all’ambito dell’occupabilità e professionalità, nella percezione dei partecipanti, è evidenziata anche dai dati sui risultati conseguiti a seguito dell’esperienza transnazionale realizzata, laddove nella valutazione “molto” si è registrato, soprattutto, lo sviluppo delle competenze comunicative/relazionali e organizzative/gestionali, mentre nel grado “abbastanza”, l’acquisizione delle competenze tecnico professionali.
E se da una parte il periodo trascorso all’estero ha reso più attivo durante le attività formative circa il 74,4% dei partecipanti, convincendo a proseguire gli studi una buona parte degli intervistati (56,6%), dall’altra parte ha permesso non solo di trovare un lavoro adeguato al proprio profilo al 35% dei discenti, ma ha anche offerto l’opportunità di lavorare all’estero a circa il 40,3% degli intervistati.

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La durata del soggiorno all’estero

Una delle variabili per il raggiungimento dei risultati e dei benefici, evidenziati dal focus Inapp, è la durata dell’esperienza della formazione e/o del tirocinio all’estero. Se da una parte si conferma che, complessivamente, nella maggior parte dei casi (74,6%), il soggiorno nel Paese ospitante è di breve-medio periodo (da due settimane ad un mese nel 44,8% delle risposte, da un mese a due mesi nel 29,7% dei casi), dall’altra, tuttavia, lo studio ha evidenziato anche che gli effetti sull’occupabilità (in termini di sviluppo di competenze professionali specifiche e linguistiche, di inserimento nel mondo del lavoro, eccetera) sono percepiti in misura maggiore tra quanti hanno realizzato un soggiorno transnazionale di lunga durata (da più di due mesi ad un massimo di sei mesi), rispetto a coloro che hanno usufruito di una mobilità di breve durata (da due settimane a un massimo di due mesi), laddove è più avvertito, infatti, l’aspetto orientativo e formativo.

L’anno europeo delle competenze

Insomma studiare e formarsi all’estero serve. E in attesa di capire se capitale umano e investimento (continuo) sulle competenze siano il “nuovo articolo 18” per giovani e lavoratori, l’Unione europea un passo avanti l’ha fatto, tanto da “ribattezzare” il 2023 “anno europeo delle competenze”, mettendo così al centro dell’agenda la formazione, più in particolare, la necessità di mettere le imprese – specie le pmi – nella condizione di ridurre il mismatch di competenze che c’è in Europa attraverso attività di upskilling e reskilling.
Del resto, digitale, globalizzazione, invecchiamento della popolazione, transizione ecologica e, da ultimo, l’emergenza sanitaria, stanno rapidamente cambiando il mondo nel quale giovani e meno giovani si troveranno a interagire, lavorare, produrre. Si tratta di fenomeni che hanno un impatto ampio sulle competenze richieste nel mercato del lavoro, e molte risorse faticano ad adattarsi al cambiamento. In media, più del 34% dei lavoratori delle economie europee possiede competenze e un livello di istruzione che non corrispondono a quelli richiesti dal loro lavoro. In Italia, questa percentuale è addirittura superiore (39%). Uno studio dell’Ocse suggerisce che aggredire questo squilibrio tra offerta e domanda di competenze potrebbe aumentare la produttività italiana del 10% (una panacea, vista la cronica bassa produttività del Paese registrata negli ultimi 20 anni).
L’altra faccia della medaglia sono le imprese che vorrebbero assumere, ma ormai in un caso su due non riescono a trovare le competenze giuste (si viaggia tra il 60-70% di “mismatch” per le professioni scientifico-tecnologiche, secondo gli ultimi dati Unioncamere-Anpal). Un paradosso nel paradosso, frutto di un dialogo spesso tra sordi tra scuola e mondo del lavoro, che si specchia in un tasso di disoccupazione giovanile al 22,1%, ultima rilevazione Istat (dicembre 2022), tra i peggiori a livello internazionale.
Ecco allora che una via per arricchire le competenze è fondamentale, e passa anche dall’esperienza all’estero. Sempre secondo lo studio Inapp, infatti, nella percezione dei giovani in merito al cambiamento ottenuto e all’utilità dell’esperienza all’estero, è evidenziato il ruolo giocato sia dalla preparazione pre-partenza (pedagogica, linguistica e culturale) sia dal riconoscimento dei risultati raggiunti.
Le attività preparatorie sono ritenute, complessivamente dalla maggior parte dei giovani intervistati, “molto” (26,4%) e “abbastanza” (56,9%) utili, soprattutto quelle riguardanti gli aspetti linguistici, culturali e pratico. Anche la percezione della spendibilità dell’esperienza transnazionale è centrale, visto che tirocinio e/o periodo di formazione, per quanto utile e qualitativamente elevato dal punto di vista dei contenuti e degli obiettivi formativi, rischia di risultare incompleto e difficilmente spendibile all’interno del sistema educativo e del mondo del lavoro se non viene debitamente riconosciuto e certificato. In tale ambito, è confermato l’utilizzo preponderante del dispositivo Europass Mobility (43,5%) accanto ai diversi attestati di registrazione delle conoscenze e competenze acquisite durante il soggiorno all’estero (30,6%) e al rilascio di lettere di referenze (7,6%).
A prescindere dal dispositivo adottato, la maggior parte degli intervistati (50,7%) ha dichiarato che l’esperienza all’estero si è tradotta in credito formativo e il 26,8% ha asserito che è stata riconosciuta in termini di valore aggiunto al proprio Cv, dimostrando, quindi, l’impegno degli organismi attuatori a consegnare ai partecipanti uno strumento il più possibile spendibile nello loro futuro formativo e professionale.

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