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Annullata la maximulta per il secondary ticketing: piattaforme «neutrali»

Nel 2020 Stubhub.Inc fu sanzionata per agevolare il bagarinaggio online

di Alessandro Galimberti

(md3d - stock.adobe.com)

2' di lettura

La piattaforma di secondary ticketing non è un hosting attivo per definizione; al contrario, la messa a disposizione di servizi “tecnici” per la conclusione di contratti di vendita di biglietti configura un hosting passivo tutti gli effetti, almeno fino a prova contraria.

Con una motivazione tanto articolata quanto tranciante, il Consiglio di Stato (Sesta sezione, sentenza 7949/2022 pubblicata il 13 settembre) chiude definitivamente le polemiche dell’estate del 2020 sul cosiddetto bagarinaggio online delle piattaforme di rivendita dei biglietti dei maxiconcerti, annullando in un sol colpo la sentenza del Tar Lazio 4335/21 e la maximulta sottostante dell’Agcom di 1,75 milioni di euro.

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A beneficiare del colpo di spugna è la società americana Stubhub.Inc - rappresentata da Marco Berliri/Hogan Lovells - che aveva impugnato la decisione con cui il Tar, lo scorso anno, aveva avallato la ricostruzione e la sanzione inflitta dall’Agcom. Ricostruzione che i giudici di Palazzo Spada (presidente De Felice, estensore Toschei) hanno confutato sia sotto l’aspetto delle risultanze dell’istruttoria dell’Authority, sia per l’erronea applicazione dei principi delle direttive europee sul commercio elettronico e sul copyright.

A cominciare dall’identificazione di Stubhub.it - il sito italiano di rivendita - come diretta emanazione della società Usa sanzionata: prova non raggiunta secondo il Cds, che poi però si concentra sui principi sostanziali e giurisprudenziali dell’esenzione di responsabilità per i fornitori dei servizi di rete, distinguendo in questo caso la figura dell’hosting passivo (semplice messa a disposizione del servizio tecnico) da quello “attivo”, che invece produce una «manipolazione» dell’informazione trasportata. Partendo dal principio generale che vieta (anche) all’hosting il monitoraggio/sorveglianza generale del flusso di info trasportate (violerebbe i diritti costituzionali dei navigatori) Il Cds si spinge a sostenere che «la mera circostanza che il gestore sia al corrente, in via generale, della disponibilità illecita di contenuti protetti sulla sua piattaforma (i biglietti bagarinati, ndr) «non è sufficiente per ritenere che esso intervenga allo scopo di dare agli internauti l'accesso a tali contenuti», facendo scattare la sua responsabilità. Non solo, ammesso che nei 35 casi contestati Stubhub avesse anche intercettato una differenza di prezzo sensibile nella rivendita secondaria sulla sua piattaforma, non va da sè «che da tale comportamento detto gestore abbia consapevolmente voluto trarre vantaggio, elementi entrambi indispensabili per poter configurare la fattispecie di punibilità».

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