Apertura verso la Grecia: Uk negozia e Italia restituisce
Dopo decenni di contese finalmente il Regno Unito ha acconsentito ad aprire un tavolo di negoziazione in vista di una possibile restituzione dei Marmi del Partenone di Atene oggi al British Museum di Londra
di Giuditta Giardini
I punti chiave
5' di lettura
Pensavamo che questo momento non sarebbe mai arrivato e invece, il 29 aprile scorso, il Ministro della cultura britannico, Stephen Parkinson, ha ufficializzato l'apertura di un dialogo tra Londra e Atene per la restituzione dei cosiddetti Marmi del Partenone dell'Acropoli di Atene. La notizia sarebbe stata poi ufficializzata dall'Unesco il 17 maggio 2022.
Quando, il 12 marzo 2021, il Primo Ministro britannico, Boris Johnson aveva dichiarato che i marmi fossero «di proprietà dei membri del Trust del British Museum» e che «non sarebbero mai tornati in Grecia» ogni speranza sembrava perduta. Poi nel settembre 2021, l'Unesco aveva chiesto al Regno Unito di “riconsiderare la propria posizione e procedere ad un dialogo in buona fede con la Grecia” anche in vista del nuovo trend diffuso tra i paesi ex colonizzatori (Francia e Belgio), sempre più inclini a restituire i bottini delle passate occupazioni.
Il 50% degli elementi architettonici e marmi del Partenone di Atene sopravvissuti fino ai giorni nostri sono al British Museum di Londra, mentre il 45% si trova ad Atene. Per essere ancora più precisi: il restante 5% è disperso tra collezioni pubbliche e private europee, come i musei di Copenaghen, Wurzburg, Monaco di Baviera, Città del Vaticano, Palermo, Vienna, e Cambridge. Ad oggi, soltanto il fregio dell'Università di Heidelberg in Germania, è stato restituito.
Le vicissitudini dei Marmi del Partenone, noti nel Regno Unito come Elgin Marbles, dal nome del Lord inglese che ne fece bottino, le ha spiegate per Arteconomy24 Elena Korka, archeologa, con dottorato presso l'Εθνικό και Καποδιστριακό Πανεπιστήμιο Αθηνών (National and Kapodistrian University of Athens): “Lord Elgin è stato ambasciatore inglese a Costantinopoli dal 1799 al 1803; gli inglesi a quel tempo godevano del favore del Sultano per l'aiuto che avevano dato contro Napoleone, ma Lord Elgin sapeva che di lì a poco la Grecia sarebbe insorta contro gli Ottomani e avrebbe ottenuto l'indipendenza. Lord Elgin, desiderando sfruttare il poco tempo che aveva per portare nella sua villa inglese alcuni souvenir, nel 1800 si fece raggiungere dal suo architetto Thomas Harrison e da una squadra di dieci disegnatori e carpentieri capitanata dall'artista italiano Giovanni Battista Lusieri per far copie e calchi delle opere greche e raccogliere qualche marmo. Lord Elgin sapeva che per poter accedere all'Acropoli necessitava dell'ordine del Sultano, pertanto si rivolse al suo intimo amico, Seyid Abdullah Kaimmakam Pasha, che sostituiva il Gran Visir, al tempo in Egitto. Da Kaimmakam ottenne una prima lettera informale, non un firman, l'ordine del Sultano, con autorizzazione a fare calchi, sketch e raccogliere qualche frammento di pietra sparso («coll'estrarre sulla calcina (osia sul gesso) gl'istessi ornamenti misurare gli avvanzi d'altre fabriche diroccate, ... scavare secondo il bisogno, le fondamenti per trovar i matton ' inscritti, che fossero restati dentro le ghiaja, … e quando volessero portar via qualche pezzi di pietra con vechie inscrizioni, e figure, non sia fattà lor'oposizione», estratto della lettera conservata nella sua - unica - traduzione italiana al British Museum).
La controversia
Questa lettera però è invalida sotto due profili. Secondo il diritto amministrativo ottomano del tempo, soltanto il Sultano poteva emettere firman o comunque autorizzare la rimozione di beni che oggi diremmo del “demanio pubblico”. Pertanto l'atto di Kaimmakam è nullo per incompetenza dell'organo emittente, ma anche sotto il profilo formale è mancante perché privo del sigillo ufficiale. L'invalidità dell'atto rileva anche dall'atteggiamento di Lord Elgin che diceva di non essere tranquillo e sua moglie Lady Elgin, a proposito della rimozione dei marmi, scrisse in una lettera «ho cominciato a spargere voce tra la gente del posto che abbiamo un firman». Il motivo? “Perché la squadra di Lord Elgin cominciò ad appropriarsi delle sculture che trovò nell'Acropoli andando oltre quanto inizialmente concesso dalla lettera di Kaimmakam. - prosegue Korka -. Per chiudere entrambi gli occhi, il Dizdar ottomano di stanza alla fortezza di Atene ricevette da Lord Elgin una somma pari a 35 volte il suo salario annuale. Nonostante vari alt e minacce, gli uomini di Lord Elgin continuarono i lavori alla bell'e meglio: Lusieri scrisse a Lord Elgin di aver spaccato le cornici del Tempio di Atene per prendere i fregi. I problemi arrivarono al momento del trasferimento via mare della collezione. Lord Elgin dovette richiedere al Gran Visir del tempo il permesso di trasportare le opere. Il British Museum ha, per lungo tempo, basato le sue tesi su queste lettere andate perdute, da loro definite erroneamente firman, in cui, secondo loro, si legalizzava ex post la situazione. Ho trovato una traduzione in italiano di una delle due lettere: non ci fu nessuna legalizzazione di pregressi illeciti compiuti. È una lettera cordiale in cui si chiede che Lusieri e i suoi uomini possano continuare a fare disegni sull'Acropoli. Nel 1808, quattro anni dopo l'inizio dei lavori, Lord Elgin scrisse al suo successore Sir Robert Adair, chiedendo di aiutarlo a farle arrivare l'intera collezione nel Regno Unito. Emerge dalla lettera che Lord Elgin non ebbe mai un'autorizzazione alla rimozione dei marmi. Il Voivode di Atene del tempo chiedeva un firman (valido) del Sultano per far partire il carico dal Pireo, ma gli uffici di Costantinopoli sostenevano che Lord Elgin non aveva nessun diritto di proprietà su quei beni. Sir Adair offrì 1.480 piastre e 100 sterline inglesi e un regalo a Kaimmakam per ottenere una lettera vaga in cui si acconsentiva al trasporto delle pietre ‘acquistate' da Lord Elgin ad Atene, ma Lord Elgin non acquistò mai nulla”.
La Sicilia sdemanializza
Anche l'Italia apre alla restituzione. Nel dicembre 2021, Arteconomy24 si era occupato della vicenda del prestito di quattro anno rinnovabili del fregio di Palermo negoziato dalla Regione Sicilia e il ministro della Cultura greco, Lina Mendoni che vedeva coinvolto il museo di Palermo.
ArtEconomy24 aveva criticato la decisione del Governo italiano e della Regione Sicilia di procedere ad un prestito per un totale di otto anni e non restituire definitivamente il frammento facente parte del patrimonio archeologico greco: “con tutte le opere italiane che, in questi giorni, stanno ritornando a casa da molte parti del mondo, ci si sarebbe attesi una maggiore sensibilità verso uno stato anch'esso vittima di saccheggi che si poteva concretizzare in uno spoglio concreto dei diritti di proprietà sull'opera” – si affermava – “Un gesto simbolico, un'eccezione alla ferrea regola del i beni del demanio culturale non si toccano, che in questo contesto avrebbe avuto un valore contrario, affermando il diritto di uno stato-vittima alla restituzione dei propri beni”. Qualche giorno fa una delibera della giunta regionale della Sicilia ha dato l'autorizzazione alla “sdemanializzazione” del bene. Il Museo Archeologico Antonio Salinas Palermo potrà così spogliarsi della proprietà del Frammento ancora appartenente al demanio culturale dello Stato.
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