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Api della Valle d’Aosta in campo per la nuova stagione del miele

Si parte con acacia e tarassaco, si finisce con fiori di montagna e rododendro in quotaStevenin (Consorzio apistico): 2022 ottima annata ma ora c’è l’incognita legata della mancanza d’acqua

di Carlo Andrea Finotto

 Arnie posizionate in quota per sfruttare la fioritura estiva e produrre i ricercati mieli di tarassaco, millefiori e rododendro

4' di lettura

La stagione lavorativa delle api valdostane è cominciata. Da qualche settimana gli apicoltori che producono miele di acacia hanno trasferito tutte o una buona parte delle loro arnie in Piemonte, per sfruttare questa fioritura. Tra questi c’è anche Patrick Stevenin, presidente del Consorzio apistico Valle d’Aosta.

Il miele è uno dei prodotti di punta del settore agricolo valdostano, con un parterre di 580 produttori per circa 8.300 alveari, anche se poi le realtà strutturate, con più di cento arnie, sono una ventina: la maggioranza sta sotto le 35 arnie, che è una dimensione soglia oltre la quale sono previste tutta una serie di prescrizioni e regole che fanno lievitare i costi e li rendono sostenibili solo per chi affronta l’apicoltura come professione.

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«Una stima ufficiale sulla produzione regionale non esiste», precisa Stevenin, ma, gli ultimi dati diffusi dall’assessorato all’Agricoltura della Regione parlano di una produzione annua di circa 130 tonnellate che, per circa il 70% è commercializzata in loco direttamente dai produttori e, per la restante parte, è ceduta alla grande distribuzione.

«Il 2022 è stato un anno buono – sottolinea il presidente del Consorzio – che ha fatto seguito a una stagione pessima come quella del 2021». Ora è presto per fare previsioni sull’annata in corso, ma le premesse non sembrano essere buonissime: «In montagna ha nevicato pochissimo durante l’inverno e c’era poca acqua – dice Patrick Stevenin –. Ora c’è stata la pioggia ma andrà verificato se la fioritura sarà in grado di sostenere un buon raccolto. C’è ancora un po’ di tempo prima di cominciare a preoccuparsi».

Con il mese di aprile comincia un periodo decisamente intenso per gli apicoltori che fanno “nomadismo”, vale a dire escono dal territorio per portare gli alveari nelle zone di fioritura. Dopo i mesi invernali nel corso dei quali le famiglie di api si sono ridotte a circa 10mila unità, «più o meno da metà gennaio le famiglie di api ricominciano l’attività: le regine cominciano a deporre le uova e verso la metà o la fine di aprile famiglie si sono ingrandite fino a 30-50mila esemplari e le nuove api sono pronte per sfruttare il primo raccolto» spiega Stevenin. Da quando viene deposto l’uovo a quando l’ape esce dall’alveare per andare a bottinare trascorrono circa 40 giorni.

Dopo aver riposato – si fa per dire – durante l’inverno, quando l’impegno dell’apicoltore si limita a un controllo periodico delle arnie, l’attività riprende da gennaio con la somministrazione del “candito” (una pasta solida a base di zucchero) che ha lo scopo di sostenere le api durante il periodo freddo. Con le prime fioriture di marzo si passa a un sostegno a base di sciroppo liquido, «che svolge anche una funzione di stimolo per la deposizione delle uova da parte della regina» racconta il presidente del Consorzio valdostano. Quando il clima è favorevole ed è accompagnato da una buona fioritura di meli e ciliegi il nutrimento agli alveari viene ridotto, ma marzo e aprile sono stati abbastanza freddi e le api faticavano a trovare il nettare necessario.

Il lavoro delle api sui fiori di acacia dura da fine aprile fino al 20, 25 maggio, ma nello stesso periodo molti apicoltori che hanno un numero sufficiente di arnie ne spostano una parte in quota – a mille, 1.300 metri sul livello del mare – per sfruttare la fioritura del tarassaco. Dopo l’acacia è la volta del castagno, oppure apicoltori e api si trasferiscono, armi e bagagli, in quota «a circa 1.700 metri per produrre il miele millefiori e quello di rododendro».

In montagna le api restano fino all’inizio di agosto, poi vengono riportate a valle, dove, finalmente, cominciano a produrre per loro stesse in vista dei mesi invernali. Dentro l’arnia le api mantengono una temperatura di 23-25 gradi d’inverno e si nutrono con le scorte. Poi, quando la regina depone le uova, la temperatura arriva anche a 32 gradi. Insomma, quello delle api è un lavoro duro, condizionato anche dal clima che influisce sulle quotazioni del miele. Quello di acacia – spiega Stevenin – anche se è tra i più semplici da produrre è tra quelli che costano di più – circa 14,5 euro al kg all’ingrosso –, perché tra i più richiesti visto che rimane liquido e non solidifica. Le quotazioni maggiori si raggiungono però per il miele di tarassaco – fino a 18 euro al kg – perché le “giornate di lavoro” delle api sono più corte e il clima più rigido. Il millefiori di montagna si colloca sui 14 euro al kg, un po’ meno il miele di castagno, mentre quello di rododendro tra i 14 e i 14,5 euro al kg. E la produzione? In una stagione favorevole si va dalla ventina di chili (anche di più) ad alveare per il miele di acacia agli 8-10 kg per il millefiori di montagna e il rododendro.

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