Apple, così fa i soldi: dall’iPhone (che pesa troppo) ai servizi fino all’intelligenza artificiale
Lo smartphone ha trainato il business negli anni. Il telefonino, però, nonostante la diversificazione, ha un alto peso sui ricavi. L’incognita della Cina
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I numeri mai raccontano l’intera storia di un’azienda. Aiutano, però, a comprenderne alcuni aspetti. Così è anche per Apple. La casa della “mela morsicata” ha nell’iPhone la fonte di maggiore ricavo.
E, tuttavia, il peso del melafonino sul giro d’affari - unitamente a quello delle altre categorie di prodotti e servizi - è mutato con il susseguirsi dei vari esercizi (la società chiude l’anno fiscale a settembre). Di conseguenza, analizzare l’evoluzione dei numeri - le percentuali - dell’incidenza delle varie voci contabili permette di cogliere alcuni perché della strategia di Cupertino.
Ebbene: nel 2010-11 l’iPhone valeva il 42,5% delle vendite nette totali. Poi, tra il 2014-15 e il 2017-18, il peso ha oltrepassato il 60% per, successivamente, arrivare ad assestarsi al 53,4% nei primi nove mesi del 2022-23 (48,5% nell’ultimo trimestre).
A fronte di questa dinamica, si sono concretizzati alcuni altri importanti trend. In primis l’incidenza di Mac e iPad si è di fatto dimezzata: i primi sono passati dal 20,1% delle vendite (2010-11) al 10,2% del 2021-22 (7,4% nei primi nove mesi del 2022-23); i secondi. invece, generavano (sempre nel 2010-11) il 17,7% del fatturato e adesso valgono il 7,4% dei ricavi.
Non solo. Negli anni più recenti, contestualmente alle dinamiche descritte, c’è stata l’espansione dei cosiddetti “Wearables, Home and Accessories” (ad esempio Apple Watch o AirPods) e dei servizi i quali valgono (alla fine dei primi nove mesi del 2022-23) rispettivamente il 10,4 e 21,4% delle vendite. Insomma: il gruppo di Cupertino, negli ultimi 13 anni, ha diversificato, riducendo così la stessa rischiosità dell’attività.
Il melafonino
Sennonché, l’iPhone ha mantenuto un’alta rilevanza sul business. Certo: le percentuali elevate testimoniano l’indubbio successo del melafonino. Inoltre la società negli anni - oltre ad avere superato per un po’ 3.000 miliardi di dollari di capitalizzazione - è molto cresciuta (nonostante la frenata nell’attuale esercizio) grazie allo stesso iPhone. Nel 2010-11 il fatturato era di 108,249 miliardi di dollari mentre, nei soli primi nove mesi del 2022-23, il giro d’affari è arrivato a 293,787 miliardi. L’utile netto, dal canto suo, era di 25,9 miliardi (2010-11) e adesso viaggia sui 74 miliardi di dollari (98,8 miliardi nell’ultimo esercizio).
Ciò detto però resta, per l’appunto, l’elevata importanza dell’iPhone. Tanto che, per dirla con le parole di Umberto Bertelé, professore emerito di strategia del PoliMi, «la società è obbligata al successo dello smartphone».
Può obiettarsi: dov’è il rischio? In effetti, a detta di diversi esperti, quello della dipendenza di Apple dal melafonino è un “non problema”. «L’evoluzione delle imprese tecnologiche avviene attraverso lo sviluppo incrementale», sottolinea Nicoletta Corrocher, docente di economia dell’innovazione alla Bocconi. «Non è essenziale creare sempre dei punti di svolta, bensì essere “best in class” nella gestione ed evoluzione delle soluzioni che già si hanno». Non solo. Khaveen Investments ricorda che «continua il dominio di Apple nel mercato», a più alta marginalità, «dei premium smartphone (da 800 dollari in sù, ndr)». Una condizione la quale, seppure il settore globale dei telefonini nel 2023 sia previsto da Idc in calo del 4,7%, da un lato posiziona il gruppo in una situazione di vantaggio sui competitor; e, dall’altro, rende meno problematico l’elevato peso delle vendite dell’ iPhone sul giro d’affari complessivo.
Questioni di rischio
Ciononostante, c’è chi segnala il rischio. Anche perché, proprio il mese scorso, si è avuto un esempio concreto di cosa potrebbe accadere se un’importante fetta delle vendite del melafonino venisse meno. È il caso della minaccia, poi smentita, da parte di Pechino di vietare l’uso dello smartphone agli impiegati delle società statali.
La notizia ha impattato il titolo in Borsa. Apple, in poche sedute ha perso circa 200 miliardi di capitalizzazione. Vero! Gli investitori hanno sfruttato l’informazione per vendere e realizzare la plusvalenza. Inoltre, nelle settimane successive, le azioni hanno ripreso quota. Detto ciò, l’evento mostra come sia rilevante l’iPhone per l’intero business della Apple. «Anche se il peso di quest’ultimo sui ricavi è calato -conferma Giacomo Calef, country manager Italia di NS Partners -, lo smartphone può rivelarsi un’arma a doppio taglio». È capace «di trainare il giro d’affari complessivo, come di affossarlo. Per quanto, come ha dimostrato l’evento in Cina, il rischio maggiore è meno legato all’iPhone in sé e più alle dinamiche globali dell’economia o della geopolitica».
Il mondo internazionale
Già, la geopolitica. È un tema che va tenuto in considerazione. Prima di tutto, pensando alla guerra tecnologica tra Stati Uniti e Cina. Sia ben chiaro: il fronte aperto riguarda tutte le aziende statunitensi (e non solo) - in particolare hi tech- presenti nell’ ex “Regno di Mezzo”. Ciò considerato, però, la Apple ne è coinvolta.
Il gruppo di Cupertino, nei primi nove mesi del 2022-23, ha realizzato nella Greater China un giro d’affari di 57,475 miliardi di dollari (19,5% dei ricavi totali) e un utile operativo di 24,175 miliardi. Certo: all’interno di quest’area, oltre alla Cina continentale, sono ricomprese Hong Kong e, soprattutto, Taiwan. Quest’ultima non è sotto il controllo di Pechino. E, però, la spada di Damocle delle mire della Cina sull’isola di Formosa è nota. «A ben vedere - riprende Bertelé - il caso della Cina si inserisce nel più ampio venire meno di una condizione che i colossi hi tech hanno sfruttato per la loro crescita».
Vale a dire? «Il mercato unificato dove le filiere globali di approvvigionamento e i flussi commerciali si sviluppano senza problemi». Il degradare, o complicarsi, «di questo scenario di fondo crea problemi». La società ne è consapevole. Così: non è un caso che, da una parte, il ceo Tim Cook abbia tenuto le relazioni con Pechino ai massimi livelli, incontrdando la scorsa primavera il presidente Xi Jinping; ma, dall’altra, sia stata rilanciata la notizia - seppure non confermata - del forte incremento degli investimenti di Apple in India.
Fin qui alcune suggestioni su iPhone, diversificazione del business e geopolitica. C’è però, immancabile, un altro tema che “incombe” sulle aziende tecnologiche: l’Artificial intelligence (Ai).
Su questo fronte la società della “mela morsicata”, nella call su dati dell’ultimo trimestre, ha sottolineato che «l’ Ai e il machine learning sono tecnologie centrali e parti integranti praticamente di ogni prodotto (...) Facciamo ricerca su un ampio raggio di Ai technologies», compresa quella generativa. «E continueremo a farlo (...)». Insomma: Apple rivendica l’impegno nell’Intelligenza artificiale. Il gruppo, ad esempio, ha puntato sulla creazione di suoi modelli di “large language” che sono alla alla base di soluzioni quali ChatGPT. Nello stesso iPhone 15 è montato il processore A17 Pro (progettato dalla medesima Apple) che garantisce maggiore potenza agli algoritmi di apprendimento automatico.
Tutte queste, e ad altre, innovazioni non sono però “gridate”. C’è una sorta di rivoluzione silenziosa che inevitabilmente - nel mondo ”drogato” dalla richiesta dell’effetti “wow” - ha creato (giuste o sbagliate) perplessità. «Apple sta indubbiamente investendo - riprende Calef-. Ciò detto, tuttavia, il gruppo pare più indietro nell’introduzione estensiva dell’Ai nei suoi dispositivi. Il che, con prodotti concorrenti quali lo smartphone Pixel 8 di Google, può costituire un’alea». «In realtà - precisa Bertelé - le aziende hi tech non sanno ancora bene come fare soldi con l’Ai». Certo: in alcuni settori specifici, «quali lo sviluppo dei software o l’efficientamento del marketing digitale, si vedono i primi risultati». Al di là di ciò, tuttavia, non «stupisce la prudenza di Apple». «La quale - fa da eco Calef -pare soprattutto puntare, invece, sul lancio, il prossimo anno, del visore Vision Pro nella realtà aumentata non solo per fini ludici, bensì anche nel mondo lavorativo. Magari addizionata dall’Ai».
Il nodo delle regole
Infine: il rischio regolamentare. «È un alea -spiega Carlo De Luca, capo dell’AM di Gamma Capital Markets - che, soprattutto in Europa, può impattare le big tech. Compresa Apple».
In tal senso, tra le altre cose, va ricordato «il Digital services act. Vale a dire: la proposta di regolamento Ue che mira a creare un quadro comune per la regolazione dei servizi digitali». Qui, ad esempio, deve sottolinearsi il cosiddetto “self- preferencing”, o auto preferenza, che può incidere sui conti della società.
«Secondo l’art. 6 - riprende De Luca - sarà preclusa la possibilità ad Apple di impedire la disinstallazione del proprio App Store e l’uso di app store di terze parti per effettuare gli acquisti».
Il che implica, molto probabilmente, una riduzione delle entrate annuali di Apple su questo fronte». In generale, e senza dimenticare le questioni dell’antitrust, viene messo in discussione «il modello chiuso della società di Cupertino».
Una caratteristica la quale - unitamente alla qualità tecnologica, efficienza e design dei suoi prodotti e servizi, «ha contribuito non poco a costruire l’ecosistema tecnologico della mela morsicata». Il tempo dirà se i discepoli della comunità di Apple resteranno fedeli al verbo di Steve Jobs, oppure no.
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