Apre la Biennale di Venezia. Al centro i giovani e l’Africa
The Laboratory of the Future a cura di Lesley Lokko apre i battenti al pubblico da sabato 20 maggio a domenica 26 novembre 2023, ai Giardini, all’Arsenale e a Forte Marghera. Polemica per i visti negati a tre collaboratori ghanesi della curatrice
di Paola Pierotti
3' di lettura
Il laboratorio del Futuro, la Biennale delle idee, l’architettura come riflessione e come soluzione per lo sviluppo dell’umanità. L’Africa al centro del dibattito, l’interconnessione tra decarbonizzazione e decolonizzazione come tema di approfondimento. Questa è la 18esima Mostra Internazionale di Architettura dal titolo The Laboratory of the Future a cura di Lesley Lokko, organizzata dalla Biennale di Venezia che apre i battenti al pubblico da sabato 20 maggio a domenica 26 novembre 2023, ai Giardini, all’Arsenale e a Forte Marghera.
Quella di Lesley Lokko, la curatrice scelta dal presidente Roberto Cicutto – che ieri ha denunciato, in conferenza stampa, anche il visto d’ingresso in Italia negato dalla nostra ambasciata ad Accra a tre suoi collaboratori ghanesi – è effettivamente una storia inedita. Non nuova per molti, ma un racconto da parte di una voce che viene dall’esterno del mondo nord-occidentale, e soprattutto da una persona che si occupa di architettura più in sintonia con i tempi e in progressione rispetto all’impostazione data da Hashim Sarkis nella sua 17esima Mostra “How will we live together?”.Camminando lungo le Corderie dell’Arsenale di Venezia si intrecciano volti e storie, si struttura un nuovo indice, si delinea una mappa «che è l’immagine di quel continente e dei suoi abitanti che abbiamo perpetuato per secoli, quella di un’Africa vista più come un problema (migranti, povertà, fame, conflitti...) o solo come un paese da aiutare. Questo cambio di prospettiva nell'incontrare un continente che anagraficamente è il più giovane della terra, e oggi diviene per molti paesi un interlocutore alla pari per accordi economici sul piano dell’approvvigionamento energetico o degli investimenti infrastrutturali, porta con sé una grande rivoluzione». Questo il commento del presidente della Biennale.
Con Lesley Lokko l’architettura si intreccia con il tema della produzione, delle risorse e della rappresentazione. Si va dal racconto dell'industria dell'abbigliamento, «potente portale di accesso alla manodopera, alla migrazione e alla catena di approvvigionamento che hanno conseguenze intercontinentali. Gli acquirenti occidentali, con specifico riferimento al fast fashion, sembrano del tutto estraniati dai luoghi di produzione che permettono il loro vorace consumo».
Ancora, con il progetto Xholobeni Yards si porta all’attenzione il tema dell’architettura high-end di New York, prodotta con materiali, corpi e conoscenze che vengono da lontano. Sottratte agli ecosistemi locali per diventare risorse, queste merci circolano in un’economia contemporanea fondata sull’accumulazione globale. Un esempio? La facciata inossidabile di Hudson Yards è possibile grazie al massiccio sfruttamento delle cromite estratte dalla terra del Great Dyje in Zimbabwe; la sua brillantezza è prodotta dalla proprietà abrasiva dell’ilmenite proveniente dalla miniera di Xholobeni in Sudafrica; ancora, l'unico modo per disporre del terreno su cui oggi sorge questa parte di New York era costruire sopra la ferrovia, e non sarebbe stato possibile senza il cobalto estratto dai giacimenti di Nyungu nello Zambia.
«Hudson Yards a New York – dice Andrés Jaque, Office for Political Innovation – è quindi essenzialmente fondato sull’estrattivismo transnazionale. Estrazione equivale a segregazione». L’architettura quindi come denuncia, come co-partecipazione allo sviluppo dell’umanità, alla cura (e non cura) dell’ambiente e delle comunità. Decine i casi raccontati, storie che svelano nuove geografie mondiali. E non mancano le storie di stretta relazione tra il giornalismo investigativo e l'architettura com’è per il progetto Xinjiang’s Network of Detention Camps: qui gli strumenti dell'analisi architettonica e spaziale si sono rivelati fondamentali, consentendo di svolgere indagini che prima non sarebbero state possibili. Il risultato è una ricerca sulla rete dei campi di detenzione costruiti dal governo cinese nello Xinjiang per la reclusione di massa dei musulmani.Il cambiamento parte da una serie di racconti in grado di riflettere l’affascinante, splendido caleidoscopio di idee, contesti, aspirazioni e significati che ogni voce esprime in risposta ai problemi del proprio tempo. La Mostra come spazio di liberazione, ma anche di spettacolo e intrattenimento, dove i protagonisti sono i politici, i policy-makers, i poeti, o registi, i documentaristi, gli scrittori, gli attivisti, gli organizzatori di comunità e gli intellettuali pubblici, insieme con architetti, accademici e studenti. «All’architettura si chiede di uscire dai ranghi della scienza delle costruzioni – commenta Cicutto – per dare risposta ai bisogni delle persone. In mostra non mancano esempi di come sono sono le case del futuro, ma la cosa più importante è chiedersi a cosa devono servire». Quella di Lokko è una mostra informativa ed esperienziale, «che propone una definizione non convenzionale dell’architettura, aumentata, espansa». Una mostra che è un manifesto politico e programmatico per il futuro del Pianeta e di tutti i suoi abitanti.
Brand connect
Newsletter RealEstate+
La newsletter premium dedicata al mondo del mercato immobiliare con inchieste esclusive, notizie, analisi ed approfondimenti
Abbonati
loading...