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Arabia Saudita alla conquista dei minerali verdi: primo investimento con Vale

Riad rileva il 10% della divisione metalli non ferrosi del gigante brasiliano: operazione da 2,6 miliardi di dollari, cui potrebbero seguirne molte altre. Il regno punta ad affiancare al petrolio anche le materie prime del futuro

di Sissi Bellomo

(Afp)

3' di lettura

Dal petrolio ai metalli per la transizione energetica. L’Arabia Saudita aveva annunciato di voler diversificare anche in questa direzione. Ed ecco il primo passo nell’arena internazionale: un investimento da 2,6 miliardi di dollari in contanti per rilevare il 10% di una società in cui Vale, gigante brasiliano del ferro, ha conferito importanti miniere di rame, nickel e altri metalli, in parte situate in Canada e Indonesia. I capitali freschi apportati da nuovi soci agevoleranno un rapido sviluppo delle risorse.

Riad entra con Manara Minerals, joint venture costituita a gennaio 2023 tra il fondo sovrano Pif e la mineraria statale Ma’aden. Vale ha inoltre ceduto contestualmente (per 800 milioni) un altro 3% della società al fondo attivista Engine No.1, balzato agli onori delle cronache un paio d’anni fa per la battaglia in ExxonMobil a favore di un maggiore impegno a tutela del clima, culminata nella conquista di tre posti nel board.

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L’investimento saudita è in linea con la strategia del regno, che appare deciso a conservare anche in futuro un ruolo da protagonista come fornitore di materie prime: l’obiettivo dichiarato è affiancare agli idrocarburi i minerali green, litio compreso, e l’idrogeno (verde pure quello), per cui ha già avviata la costruzione di uno dei maggiori impianti di produzione al mondo, alimentato da energia solare.

«Questo è il nostro primo investimento rilevante nel settore minerario globale», ha commentato Robert Wilt, executive director di Manara Minerals, lasciando intendere che ci sono ulteriori operazioni nel radar.

Ma’aden di recente ha costituito una joint venture anche con Ivanhoe Electric per sviluppare progetti minerari in Arabia Saudita e ha annunciato una partnership con Barrick Gold per cercare ulteriori risorse adiacenti alla miniera saudita di rame Jabal Sayid.

Vale, un colosso da 67 miliardi di dollari di capitalizzazione, oggi deriva dal minerale di ferro circa tre quarti delle entrate. I forti ribassi di prezzo della materia prima impiegata nell’acciaio hanno lasciato il segno sul bilancio del secondo trimestre, comunicato giovedì 27: l’utile netto è crollato di quasi l’80% a 892 milioni di dollari.

Il management ora è deciso a puntare in modo crescente sui metalli non ferrosi, in vista di consumi destinati ad esplodere con la decarbonizzazione. «Siamo posizionati in modo unico per soddisfare la domanda crescente di metalli verdi, essenziali per la transizione energetica globale», ha dichiarato ieri il ceo di Vale Eduardo Bartolomeo.

In passato lo stesso Bartolomeo aveva ipotizzato uno sviluppo così importante in futuro per la divisione metalli di base da renderla forse addirittura più importante di quella dedicata al ferro.

Annunciando l’ingresso dei nuovi soci – operazione che conta di chiudere entro i primi mesi del 2024 – Vale ha dichiarato che la divisione attualmente ha un valore implicito di 26 miliardi di dollari.

Insieme ai nuovi partner la mineraria punta a investire 25-30 miliardi di dollari nel prossimo decennio, con l’obiettivo di aumentare «in modo significativo» la produzione di rame – dalle attuali 350mila tonnellate l’anno a circa 900mila – e di nickel, da 175mila a 300mila tonnellate l’anno.

Vale ha già firmato contratti di fornitura con Tesla e General Motors. Ed erano circolate indiscrezioni su un possibile ingresso di quest’ultima nel capitale della divisione metalli non ferrosi. I brasiliani hanno effettuato un’accurata selezione dei potenziali soci, che è durata per mesi. Alla fine la scelta è caduta sui sauditi e su Engine No.1, mentre secondo indiscrezioni di stampa sarebbero rimasti esclusi (almeno per ora) la giapponese Mitsui & Co. e la Qatar Investment Authority, fondo sovrano del Qatar.

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