Arata, il pensiero giuridico al servizio del processo penale
di Umberto Ambrosoli
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«Grande avvocato!» è espressione che accompagna, dentro e fuori i corridoi del Palazzo di Giustizia di Milano (e non solo) la notizia della morte di Francesco Arata. Una malattia, veramente troppo rapida nella sua evoluzione, ha avuto la meglio portandolo via a 67 anni: marito di Anna, padre di quattro figli, nonno di otto nipoti.
Nel 1978, il giorno dopo la laurea, ha iniziato a imparare la professione presso lo Studio dell’avvocato Lodovico Isolabella della Croce, maestro di generazioni di penalisti, ove è stato per dieci anni prima di aprire un proprio Studio legale. Processi celebri lo hanno visto protagonista: a partire da quello del Banco Ambrosiano (difendeva uno dei collaboratori di Roberto Calvi), passando poi –negli anni di Mani Pulite – a quello Enimont, quindi Parmalat, Antonveneta e altri ancora negli anni più recenti.
Amante della montagna, aveva un legame speciale con il paese di Demonte, in Valle Stura (Cn) ove erano nati alcuni suoi avi. Quando parlava di quel territorio, tra le Alpi Marittime e le Alpi Cozie, confinante con la Francia, delle sue persone, dell’esigenza di reagire al lento morire di frazioni e borghi oramai quasi disabitati, trasmetteva una proiezione di futuro il cui pensiero oggi esalta il sentimento di malinconia. Sentiva la responsabilità di invertire la tendenza, consapevole della bellezza di quei luoghi, della forza delle loro tradizioni, del loro essere adatti a un turismo non invasivo ma pacificante. Negli ultimi anni, pur consapevole della fatica che avrebbe comportato per chi è titolare di uno Studio a centinaia di chilometri di distanza, ne era divenuto Sindaco, potendo così impegnarsi anche attraverso le istituzioni per dare alla vita di montagna un’attrattività concreta e sostenibile anche per le nuove generazioni.
La difesa nei procedimenti penali, tuttavia, è il contesto ove il suo impegno ha avuto più occasioni di affermazione, soprattutto in quelli concernenti reati economici e contro la pubblica amministrazione. Già nel processo per l’insolvenza del Banco Ambrosiano affermò i principali tratti caratteristici del suo modo di fare l’avvocato: «Difendere il cliente nel merito, nel processo e non dal processo – ricorda uno dei giudici di quel dibattimento – senza indulgenza alcuna al fenomeno delle cordate, così frequente invece nelle inchieste cumulative di quegli anni». Subito dopo assunse la difesa di Carlo Sama nelle numerose inchieste sul gruppo Ferruzzi: anche in questo caso rivolto a convincere i magistrati della bontà delle sue tesi «mai banali» e rifuggendo da questioni processuali. Moderato nei modi quanto determinato, era convinto assertore dell’utilità dei riti alternativi al processo ordinario anche per contenere nei tempi il trauma del processo per l’imputato. Difensore pure dell’immagine pubblica dei suoi assistiti, egli ha fatto della discrezione una cifra della sua professionalità sfuggendo alle interviste sui giornali o in tv anche in occasione dei successi più rilevanti.
Francesco Arata si era conquistato negli anni la stima di tanti colleghi e di altrettanti magistrati, al punto di ricevere da loro in numerose occasioni l’incarico di difenderli allorché indagati o imputati. Anche in questi ultimi mesi della sua vita.
L’impegno pratico nel processo non ha mai esaurito la vivacità del suo pensiero giuridico. In più occasioni, così, egli si è impegnato esercitando con intelligenza e passione il senso critico nell’ambito di approfondimenti e dibattiti che egli ha voluto promuovere, anche con il Centro Studi intitolato alla memoria di mio padre, Giorgio Ambrosoli, un “laboratorio di diritto applicato” del quale Arata è stato uno dei principali animatori. Tema sul quale aveva concentrato la sua attenzione negli ultimi dieci anni era quello della “fuga dalla Giurisidizione”. Francesco vedeva il pericolo di un legislatore teso a istituire alla bisogna nuove autorità che rifuggono dal controllo istituzionale o che limitano, appunto, la giurisdizione e quindi anche il diritto del cittadino di confrontarsi, rispetto a una “accusa”, con un giudice terzo. Pochi mesi fa ha partecipato alla Commissione Lattanzi per la riforma del processo penale.
Ha insegnato ai praticanti e agli avvocati del suo Studio; presso il Csm ha contribuito alla formazione permanente dei magistrati; presso l’Università Bocconi ha insegnato alla Scuola di specializzazione per le professioni legali. Un grande avvocato trasmette il suo sapere, la sua passione e tramanda
la sua esperienza.
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