Archeo-bike tra storia e natura nella Maremma tosco-laziale
Dal promontorio di Ansedonia al porto di Pyrgi vicino a Santa Severa un itinerario non semplice e non del tutto tracciato, adatto a ciclisti esperti
di Manlio Pisu
5' di lettura
Archeo-bike tra natura e storia, pedalando nelle macchie della Maremma tosco-laziale sulle orme del passato. Dalle rovine di Cosa, antica città romana del III secolo a.C. edificata sul promontorio di Ansedonia a presidio di un'area strappata militarmente agli Etruschi, fino al porto etrusco di Pyrgi accanto al castello sul mare di quella che è oggi Santa Severa, località balneare ai piedi dei Monti della Tolfa.
Sono circa 150 km di sentieri, strade sterrate, a tratti mulattiere, attraverso un'area per secoli al confine tra Stato Pontificio e Granducato di Toscana. Terra di frontiera, in cui la splendida e selvaggia valle del fiume Fiora segna ancor oggi il confine tra Toscana e Lazio.
Terra di briganti e di butteri
Terra di briganti, che negli anfratti remoti dei boschi e delle forre hanno trovato qui a fine Ottocento riparo dalla legge, prima di essere sopraffatti dal potere costituito. Nel cimitero di Capalbio riposa Domenico Tiburzi, brigante amatissimo dalla popolazione, ucciso nel 1896 in uno scontro a fuoco con i Carabinieri.
Ma anche terra di butteri, di vacche e di cavalli, dove 130 anni fa Buffalo Bill, sbarcato dagli Stati Uniti, gareggiava con i mandriani locali nei rodei itineranti.
Vip e cinghiali
Questa fascia costiera dell'Etruria meridionale, tra colline e paludi bonificate, è oggi meta ambita di vacanzieri e di vip. Ma basta allontanarsi di poche centinaia di metri dagli stabilimenti balneari e dalle strade asfaltate, per ritrovarsi nella Maremma di un tempo, aspra e selvaggia, tra cinghiali, fagiani, greggi e cani maremmani.
L'idea di coniugare archeologia e mountain bike è nata vent'anni fa da un'iniziativa di Ennio Soldini, tarquiniese Doc con una passione per il mondo antico, la bici e le perlustrazioni palmo a palmo nel suo territorio, fino a diventare maestro indiscusso di archeo-bike. L'itinerario è pensato nella formula treno + bici dalla stazione di Orbetello – Monte Argentario a quella di Santa Severa.
Un divertimento per ciclisti esperti
I 2.200 m di dislivello in salita distribuiti su 150 km, per lo più fuori strada, fanno di questo bellissimo percorso un divertimento non per tutti. Servono allenamento, una buona mountain bike, padronanza delle tecniche di guida, dimestichezza con le tracce Gpx, attitudine a gestire situazioni impreviste, ad es. incontri ravvicinati con animali selvatici o cani.
Se i presupposti ci sono, il piacere della pedalata è garantito, condito con un mix di fatica e avventura. Non troverete segnaletica, piste ciclabili né punti di ristoro. In mezzo alle macchie sarete soli con voi stessi. Unico riferimento: la traccia Gpx (disponibile a richiesta, scrivendo a pisumanlio@gmail.com). Spesso il cellulare non prende. Se avrete un problema, dovrete cavarvela con le vostre forze.
“Mangia e bevi” tra le macchie
Il cicloviaggio, da due a quattro giorni, parte da Orbetello scalo. Una stradina tra la ferrovia tirrenica e i fenicotteri rosa della laguna porta ai piedi di Ansedonia. Qui, con una breve deviazione, si può entrare nel santuario della pineta della Feniglia, tombolo di sabbia tra mare e laguna, che unisce Ansedonia all'Argentario, la “Gibilterra del Tirreno” nella descrizione dei viaggiatori inglesi di Sette – Ottocento.
Sulla collina di Ansedonia si ergono le rovine di Cosa, con le sue mura ciclopiche e i resti dell'acropoli. Il sito ospita un piccolo Museo archeologico nazionale. Sotto la collina la monumentale “tagliata” etrusca.
Scendendo da Cosa, ci si addentra nelle campagne coltivate della Maremma. Qua e là altre emergenze archeologiche, come i resti della villa romana di Settefinestre. Poi inizia l'avventura nella macchia. Sali e scendi, “mangia e bevi”, come si dice in Toscana, seguendo stradelli e viottoli, che in parte ricalcano l'antica rete viaria.
Dopo Capalbiaccio si intravede il cucuzzolo di Capalbio, borgo noto alle cronache politico-mondane come luogo di ritrovo della sinistra radical chic. Il paese merita una tappa e una passeggiata sulle mura di cinta. Panoramicissima, con vista sull'isola di Giannutri e sull'Argentario, la discesa verso Pescia Fiorentina.
Da qui una deviazione di 3 km porta al Giardino dei Tarocchi, opera onirica dell'artista americana Niki de Saint Phalle, che tra gli ulivi di Garavicchio ha creato un parco di creature fantastiche, ispirato ai mostri rinascimentali di Bomarzo e a Gaudì.
Tappa a Vulci
Superata Pescia, si pedala sulla lunga strada sterrata dell'Abbadia tra i solchi profondi scavati dalle ruote dei trattori e qualche piccolo guado. Sullo sfondo i Monti Castrensi. D'un tratto appare la torre del castello della Badia a Vulci con il ponte del diavolo sul Fiora. È la tappa successiva.
Attraversato il fiume, si entra nel Lazio. Il castello ospita un Museo archeologico nazionale, dedicato agli Etruschi. Poco più sotto il Fiora forma il laghetto del Pellicone, nell'area del Parco archeologico di Vulci, antica città etrusco-romana nell'entroterra di Montalto di Castro. La visita è consigliata. Risaliti in sella, una campagna amena e pianeggiante accompagna i ciclisti. Qua e là tombe etrusche di rilievo, come la tomba François.
Fra terme e siti Unesco
Per chi voglia far riposare le membra, il piccolo stabilimento delle Terme di Vulci è manna dal cielo, raggiungibile con una brevissima deviazione. In alternativa lungo l'itinerario si trovano pozze d'acqua termale in mezzo ai campi per una sosta a bagnomaria a 36 gradi.
La meta successiva è Tarquinia, magnifica città etrusca su una rupe che domina l'agro circostante e il Tirreno. Anche qui mura ciclopiche e panorami su Giglio, Giannutri e Argentario. A poca distanza dall'abitato le tombe dipinte della necropoli dei Monterozzi, capolavoro dell'arte funeraria etrusca, sono una tappa obbligata oltre che Patrimonio dell'Umanità, riconosciuto dall'Unesco.
In città il Museo archeologico nazionale, tra i più importanti al mondo per la civiltà etrusca dopo il Museo di Villa Giulia a Roma, offre una collezione straordinaria.
Nel “Wyoming de' noantri”
Da Tarquinia la pedalata prosegue, salendo verso i Monti della Tolfa. Compare Cencelle, città medievale del IX secolo nell'entroterra di Civitavecchia, oggi abbandonata. Poi è la volta del borgo rurale sette-ottocentesco della Farnesiana con la sua chiesetta neo-gotica.
Ad Allumiere, 520 m sul mare, si tocca il punto più alto. Qui nel Cinquecento le cave di allume, in disuso, hanno portato una breve stagione di ricchezza. Con una piccola deviazione ci si può portare a Tolfa per lo shopping nelle botteghe degli artigiani del cuoio (ne sono rimaste tre), che negli anni Settanta fecero furore con le “catane”, le borse da caccia simbolo di una generazione ribelle.
Dalla Tolfa la discesa verso il mare è spettacolare. È il “Wyoming de' noantri” a un tiro di schioppo dalla Capitale, una delle aree meno popolate del Lazio, tra vacche maremmane e cavalli allo stato brado. Lo sguardo spazia all'infinito senza trovare segni di antropizzazione. Davanti a noi il Tirreno.
A fine corsa il premio: il castello di Santa Severa, restaurato di recente, sede di un ostello e di un Museo della navigazione nel mondo antico. Lì sotto i resti del porto di Pyrgi, dove le navi dei Fenici portavano agli Etruschi le loro mercanzie dal Vicino Oriente.
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