la polemica con il «new Yorker».Il parere dei lettori

Architettura fascista: stile che supera qualsiasi ideologia

di Redazione Domenica

Roma, Palazzo della Civiltà Italiana (Agf)

7' di lettura

«Perché così tanti monumenti fascisti sono ancora in piedi in Italia?» è il titolo dell’articolo pubblicato recentemente sul sito del magazine del «New Yorker», a firma di Ruth Ben-Ghiat, docente di Storia e Studi italiani presso la New York University. Il «New Yorker» è stupito che in Italia siano rimasti diversi simboli di era fascista, da monumenti a scritte a opere architettoniche. Una provocazione che rientra nella polemica in corso negli Usa su statue e simboli del passato confederato. Con gli articoli di Emilio Gentile il 10 ottobre, e di Fulvio Irace il 9 ottobre, la «Domenica» del Sole 24 Ore online ha avviato un dibattito sull’argomento, chiedendo un parere ai lettori. Ecco una selezione delle risposte arrivate in redazione.


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Fascismo e razzismo si contrastano in altri modi

Ho letto l’articolo di Ruth Ben-Ghiat, lei si chiede perché in Italia la gente non si sente a disagio di fronte a monumenti ed edifici costruiti durante il periodo fascista, simboli di valori che dovrebbero essere rigettati. Inoltre lei trova che per combattere il fascismo e il razzismo sia un bene eliminare i simboli che li rappresentano. Io non sono per niente d’accordo con lei perché fascismo e razzismo si contrastano in altri modi e perché i monumenti e gli edifici di cui parla sono parte della storia del nostro Paese. L’approccio di Ruth Ben-Ghiat mi fa venire in mente quello che nella Russia sovietica veniva fatto agli oppositori politici: non solo venivano perseguitati o anche uccisi, ma dovevano scomparire persino nelle foto del regime, le loro immagini venivano cancellate, l’originale veniva contraffatto. Questo è successo, per esempio, all’immagine di Trotski, che in qualche foto si trovava accanto a importanti dirigenti di partito. Per concludere: in Italia è nato e si è affermato il Fascismo, ovviamente ci sono tracce di quel periodo in tutto il territorio nazionale, se qualcuno si sente offeso da questo non ha mica il diritto di distruggere tutto quello che non gli piace, fosse anche il più schizzinoso sostenitore del politicamente corretto. La prossima volta buttiamo giù anche il Colosseo, visto che era un simbolo dell'impero romano? Assurdo.

Daniele Falcinelli

No a obsolete letture ideologiche

La recente inclusione di Asmara fra i patrimoni dell’Unesco certifica che l’architettura degli anni Trenta ha ormai assunto indiscutibile valore storico. Ciò che appare ingiustificato e anche grossolano, di certi articoli e di certe affermazioni, è la confusione (deliberata?) che viene fatta fra monumenti celebrativi e opere di architettura civile.
Città come Sabaudia, o la stessa Latina, ma anche quartieri cittadini come la Garbatella di Roma, o la Passeggiata lungomare di Viareggio, solo per fare alcuni esempi, hanno valore e funzione prima di tutto urbanistico-architettonica. Testimoniano uno studio e una ricerca di soluzioni per le nuove esigenze della società in rapida evoluzione, e non la costruzione di una civiltà fascista. Forse la studiosa americana dovrebbe riflettere sugli articoli di Giuseppe Pagano o di Luigi Piccinato, sfogliare le annate di Domus e La Casa Bella del periodo in questione, invece di lasciarsi ingabbiare da una mera lettura ideologica ormai francamente obsoleta e pericolosa.

Antonella Serafini

Tutelare la memoria di 20 anni di storia italiana

Cosa significa realmente mantenere le opere architettoniche del fascismo? Nient’altro che mantenere viva la memoria di vent’anni di storia italiana. Fare in modo che un domani i miei figli, i nostri figli, possano alzare lo sguardo e dopo aver letto Mussolini Dux domandarci chi fosse, cosa abbia fatto, ma soprattutto perché l’abbia fatto. Distruggere monumenti che sono riusciti a sopravvivere a cinque anni di guerra e a una vera e propria “guerra civile” non può e non deve accadere. Detto questo, parlando di monumenti fascisti non prendo nemmeno in considerazione l’intero quartiere dell’Eur. Sarebbe una barbarie distruggere o anche semplicemente eliminare i segni inconfondibili di un patriottismo esasperato e tanto esaltato da Mussolini, come le frasi presenti sul Palazzo della Civiltà. Nell'articolo 3 della Costituzione italiana, parlando di uguaglianza, viene usata la parola “razza”. Oggi sarebbe politicamente scorretto e scandaloso l’uso di una tale parola in un testo istituzionale. In quella parola, però, è racchiuso un valore storico di un contesto sociale di un’epoca che ha visto le leggi razziali e il mostro dell’antisemitismo (estraneo alla maggior parte degli stessi italiani fascisti). È mortificante sentire un docente di un certo prestigio, specializzata in storia italiana, paragonare una dittatura come quella fascista con i suoi simboli a quella nazista in Germania. Entrambe sono state una parte terribile e vergognosa della storia, ma significherebbe alterare la realtà e il passato posizionarle sullo stesso piano per il ruolo che hanno avuto e per quello che hanno e non hanno fatto, a incominciare dalle stesse opere architettoniche. Forse la professoressa non ha mai visitato la Germania, ma è errato sostenere la totale assenza di opere architettoniche naziste...

Manfredi Latini

Monumenti da aprire al pubblico per fare conoscere il passato

Secondo il mio modesto parere è giusto mantenere i monumenti e le strutture architettoniche dell’epoca fascista, perché come tutti i monumenti storici insegnano e ricordano. Non è mai stata fatta una proposta per abbattere monumenti di epoca romana, egizia, ecc. che si trovano nel nostro bel Paese… e non è che i Romani o gli Egizi siano sempre stati esempio di principi positivi nel corso della loro storia. Penso che privandocene ci priveremmo anche di un pezzo della nostra storia, che ci ha portato fin dove siamo oggi. Come in tutte le epoche, anche durante il Fascismo sono state fatte molte cose positive per l’Italia e gli Italiani. Alcuni dei palazzi di epoca fascista sono ancor oggi utilizzati per svariate attività. Cosi come gli edifici di epoca nazista, non mi sembra che in Germania siano stati tutti demoliti o abbattuti. Per me i monumenti non vanno toccati, ma casomai rivisitati e aperti al pubblico per far conoscere meglio un recente passato che ha segnato la nostra storia e influito sul nostro presente.

Alberto Pisoni

Il valore degli architetti italiani va oltre le ideologie

Possibile che non si sia ancora riusciti a scindere il concetto di fascismo da quello di architettura razionalista italiana? La concomitanza storica dei due concetti non innalza l’uno e non degrada l’altro. Inoltre lo stile razionalista italiano ha rappresentato il punto più alto dell’architettura italiana del secolo scorso, eccezion fatta per Carlo Scarpa, comunque conseguente storicamente. Gli stessi Eisenman e/o molti architetti giapponesi si sono ispirati ai vari Libera, Terragni eccetera, venendo in Italia a studiarne le opere, per carpirne gli stilemi e i linguaggi architettonici, innalzando quindi ulteriormente il valore di tali opere e di tali linguaggi. Dovremmo analizzare e capire per apprezzare di più ciò che di buono è stato fatto in casa nostra, andando oltre le ideologie, che generano di per sè una visione di parte e condizionata.

Alessandro Scipolo

Dibattere la Storia italiana, non abbatterla

Il Sole24 Ore dovrebbe scrivere alla New York University e chiedere di sostituire il professore di storia Italiana perché non conosce il valore della Storia e la sua importanza. Un grave danno per i suoi studenti e per l’Università prima ancora che per la Storia Italiana, che va dibattuta e non abbattuta. Se non lo farà il Sole lo farò io.

Riccardo Perrone

La furia iconoclasta del politicamente corretto

Se dalle facciate dei palazzi italiani facessero continuamente capolino fasci littori, busti di Mussolini e slogan del ventennio, ci troveremmo forse concordi con la spericolata tesi di Ruth Ben-Ghiat, apparsa il 5 ottobre sul New Yorker, riassunta dalla provocatoria domanda che campeggia nel titolo: «Perché così tanti monumenti fascisti sono ancora in piedi in Italia?».
Ben-Ghiat non mette sotto accusa solo le superstiti effigi mussoliniane, quanto l’intera architettura pubblica di quegli anni, per poi incautamente accusare l’Italia odierna di strisciante fascismo, come se utilizzare questi spazi contribuisse a tenere in vita lo spettro della dittatura, o equivalesse a convalidarne le peggiori nefandezze.
Non una parola viene spesa per spiegare il valore artistico e culturale intrinseco agli edifici razionalisti, che pure è riconosciuto a livello planetario; ammetterlo significherebbe in fondo concedere che una dittatura possa produrre bellezza o fare qualcosa di utile, e la furia iconoclasta del politicamente corretto non ammette sfumature puzzolenti di compromesso col “nemico”.
Ben-Ghiat rinfaccia al Belpaese di non aver mai davvero fatto i conti col proprio passato, eppure è proprio grazie ad anni di studi approfonditi e caute riflessioni sui nostri trascorsi più infelici se oggi siamo in grado di valutare con serenità l’edilizia razionalista, indipendentemente dal regime che l’ha finanziata.
Viceversa, cancellare gli errori del passato è il metodo migliore per ricascarci inesorabilmente, e in fondo la stessa Ben-Ghiat contribuisce a dimostrare questa tesi quando pretende di cancellare le espressioni culturali di un momento storico ritenuto intollerabile. Cos’è questo, se non puro fascismo?
I monaci medioevali hanno trascritto opere che giudicavano moralmente esecrabili, salvandole dall’oblio e regalandoci la possibilità di accedere a testi che sarebbero altrimenti andati perduti. Alla stessa stregua, possiamo solo ringraziare il Congresso di Vienna per non aver intrapreso la china che oggi ci indica Ben-Ghiat, altrimenti oggi non potremmo ammirare le formidabili tele di Jacques-Louis David (ritraenti il pericoloso dittatore dell’epoca, Bonaparte) e persino Il Cinque Maggio di Alessandro Manzoni sarebbe stato dato alle fiamme.
L’ardua sentenza dei posteri è possibile solo quando si tramanda il patrimonio artistico e culturale, il che è ben diverso dal difenderne tout court l’eredità morale. Non è forse vero che rimiriamo le splendide statue della Roma imperiale (oppure il Colosseo) senza celebrare la dittatura dei cesari e la barbarie dei giochi gladiatori?

Francesco Arrighi

Quando Ruth Ben-Ghiat visitò Cinecittà
Qualche anno fa ho accompagnato personalmente Ruth Ben-Ghiat ad una visita agli stabilimenti di Cinecittà, al Centro sperimentale di cinematografia e al palazzo a forma di M (storica sede dell’Istituto Luce), edifici piuttosto rilevanti, realizzati in un breve arco dI tempo dal deprecabile regime fascista, nel quartiere romano di Cinecittà, a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta. Non ho ricordo del disagio avvertito da Ruth Ben-Ghiat, ne’ per l’architettura ne’ per le finalità di quelle edificazioni. Forse la memoria mi inganna. O forse, più semplicemente, Ruth Ben-Ghiat ha cambiato parere.

Claudio Siniscalchi

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