Arco Madrid: il contagio non spaventa e trionfa l’arte ai tempi del Metoo
Pochi i collezionisti italiani e leggera contrazione di visitatori. Motore degli acquisti i ricchi collezionisti sudamericani
di Sara Dolfi Agostini
5' di lettura
Arco , la fiera spagnola in scena dal 26 febbraio al 1° marzo negli spazi di Ifema Madrid , non si è fermata per il coronavirus, anche se i galleristi intervistati hanno concordato sulla quasi assenza di collezionisti italiani tra gli stand, di solito una presenza costante per l'evento fieristico. Registrata anche una minima contrazione di pubblico, che si è fermato a 93mila contro il record di 100mila dell'anno scorso, a fronte di sporadiche mascherine tra i corridoi e qualche bottiglia di gel antibatterico sui tavoli dei galleristi. Ma la fiera, specializzata in arte spagnola e latinoamericana, non ha concorrenti sul piano internazionale, e con le crisi brasiliana e venezuelana, da due anni è diventata il parterre privilegiato di ricchi collezionisti sudamericani che hanno fatto appello alla propria genealogia spagnola per ottenere passaporto e residenza a Madrid. E la città ha risposto, con prezzi immobiliari del lusso in pieno boom (3-6% all'anno di crescita secondo i dati riportati dal quotidiano El País ) e l'apertura del primo Four Season Hotel in calendario per il 15 maggio prossimo. Mentre sul fronte artistico è arrivata anche la signora dell'arte italiana, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo , che nella settimana di Arco Madrid ha inaugurato la programmazione della sua fondazione torinese nella sede temporanea della Fundacion Fernando De Castro , con una mostra di Ian Cheng curata da Hans Ulrich Obrist, e il lancio della prima edizione della Residenza per giovani curatori stranieri. Intanto in fiera non ci sono stati forfait dell'ultimo minuto, e questa 39ª edizione ha aperto come previsto con 209 gallerie da 30 paesi, delle quali 33% spagnole e 22% latinoamericane.
La sezione principale
Come d'abitudine le 171 gallerie della sezione principale e, soprattutto, quelle locali e regionali includendo il Portogallo hanno puntato su stand collettivi, con una presenza a tratti frastagliata dei lavori degli artisti rappresentati e livelli qualitativi più o meno elevati. Di fatto, spazi e display hanno confermato gli equilibri di sistema fuori dalla fiera che vedono tra i galleristi più rispettati e interessanti nomi come Pedro Cera, Cristina Guerra e Filomena Soares di Lisbona e a Madrid, invece, Elba Benitez, Traversìa Quatro, Fundacion Helga de Alvear, Juana de Aizpuru, Maisterravalbuena, Garcìa Galeria e Nogueras Blanchard . Ad aggiungere interesse le 32 gallerie che hanno scelto stand monografici o doppie personali, come la potente Hauser & Wirth , che ha presentato lo scultore modernista spagnolo Eduardo Chillida (1942-2002) con acqueforti e disegni a partire da 15mila e una scultura da esterno destinata al mercato istituzionale da 5 milioni di euro. Le sue indagini materiali al confine tra natura, architettura e civilizzazione sono conservate al museo dell'artista a San Sebastián, aperto quando era ancora in vita, chiuso per la crisi nel 2011 e inaugurato di nuovo grazie al sostegno della galleria l'estate scorsa.
Madragoa di Lisbona, invece, ha proposto un dialogo transgenerazionale tra l'ecuadoriano Adrián Balseca, classe 1989, e il maestro della Transavanguardia Enzo Cucchi, del 1949. A unirli è la ricerca sul paesaggio – sociopolitico per Balseca, che sceglie materiali poveri carichi di riferimenti postcoloniali come il legno di eucalipto e i materiali per estrarre il caucciù, e onirico, a tratti apocalittico, nei dipinti e nella scultura di una «Madonnina» di Cucchi, che rivelano un artista ancora in grado di comunicare. Prezzi da 3.000 euro fino a 75mila. Poi, sempre nella sezione principale, c’erano i progetti speciali situati accanto allo stand della galleria proponente, e negli spazi di Forsblom spiccava lo zodiaco di Ai Weiwei, originariamente concepito come scultura per la Biennale di San Paolo e qui ripensato in versione bidimensionale e mattoncini lego, con prezzi a partire da 150.000 dollari. L'opera, ispirata a un monumento della tradizione cinese in realtà di fattura occidentale, distrutto e parzialmente disperso nel conflitto tra Cina, Francia ed Inghilterra, attrae il pubblico con la sua apparenza ludica ma mantiene la sua carica critica alla politica internazionale.
Le sezioni curate
La curatela più riuscita è nelle sezioni Dialogues, affidata a Augustin Pérez Rubio e Lucìa Sanromàn, e «It's Just A Matter Of Time» dell'artista Alejandro Cesarco e Mason Leaver-Yap, che hanno scelto la pratica concettuale, intima e politica dell'artista di origini cubane Félix González-Torres (1957-1996) come elemento aggregante degli artisti presentati da 13 gallerie internazionali. Tra queste c'era Garcia Galeria con Pepe Espaliú (1955-1993), l'artista spagnolo che ruppe il silenzio sull'Aids e nel 1992 organizzò una marcia dalla Camera dei Deputati al Museo Reina Sofia con Pedro Almodóvar e la attrice Marisa Paredes per chiedere maggiore informazione e tutela sulla malattia. La galleria madrilena ha sottratto il suo lavoro all'oblio qualche anno fa, e ha presentato le sue sculture di oggetti del quotidiano assemblati a suggerire una forma alternativa di protezione, senza rinunciare alla sessualità. Le opere – di cui una acquistata dalla Fundación Maria Cristina Masaveu Peterson , erano in vendita a 48-55mila euro. Accanto, Barbara Weiss offriva uno stand dedicato a un work in progress di Maria Eichhorn, «Film Lexicon of Sexual Practices 1999/2005/2008/2014/2015», concepito per il Portikus di Francoforte nel '99 ed esteso nel corso degli anni. Un'opera rilevante del portfolio dell'artista, unica nella versione da venti film al prezzo di 140mila euro, e decisamente sfidante dal punto di vista del collezionismo, perché costituita da una lista di film in 16 mm riposti in una libreria-scultura accessibile solo attraverso una richiesta a un custode dell'opera, il cui compito è attivare la proiezione. I titoli dei film sono esplicitamente sessuali, e sono i visitatori a decidere cosa vedere, se fermarsi nello stand o procedere. Nella sezione Dialogues, poi, Chertludde esponeva un insolito ma riuscito incontro tra l'opera dell'italiano Franco Mazzucchelli e quella dell'argentino Gabriel Chaile calibrata su materiali dialettici – i gonfiabili di Mazzucchelli e le pesanti fornaci e pentole delle mense della solidarietà di Chaile – economia popolare e un reale impatto sociale dell'arte all'interno delle rispettive comunità. Le opere, da 4.500 a 45mila euro, hanno riscontrato successo di critica e vendite.
La rivincita delle donne in città
Arco proseguiva in città, con una proposta vivace di mostre, e dai musei alle gallerie spiccava l'opera di artiste rigorose e militanti. La galleria KOW ha inaugurato una personale di Candice Breitz che interroga il potere simbolico delle immagini in relazione al corpo della donna affrontando il tabù della nascita e la tendenza sempre più pressante dei nazionalismi internazionali a rimettere in discussione i diritti conquistati dalle donne in materia di aborto e autodeterminazione. Gli faceva eco Nogueras Blanchard , con una rilettura dell'opera di Ana Mendieta da parte dell'artista connazionale Wilfredo Prieto che svela rari disegni, cartoline e video dell'artista – prezzi da 20-65mila euro - dove il corpo di Mendieta si impone come strumento di trasmissione e resistenza. Infine, da Carlier Gebauer c'è l'artista egiziana Iman Issa con opere da 20-35mila euro: sculture essenziali, a tratti misteriose, che sfidano i canoni della storia e i preconcetti culturali della visione. A fare da sfondo a questa rivendicazione artistica al femminile delle gallerie madrilene ci sono i musei, dal Thyssen Bornemisza che in collaborazione con TBA21 di Francesca Thyssen affida all'americana Joan Jonas il compito di raccontare l'ecosistema marino al confine tra scienza, arte e mitologia, e infine il Museo Reina Sofia , con i drammatici dipinti che raccontano l'esperienza della deportazione nazista dell'artista autodidatta di origini gitane Ceija Stojka (1933–2013), e la monumentale mostra «Defiant Muses - Delphine Seyrig and the Feminist Video Collectives in France in the 1970s and 1980s» che racconta la storia movimento femminista francese fondato dall'attrice e musa di Alain Resnais in «L'anno scorso a Marienbad» (1961) all'intersezione tra cinema, video e politica.
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