Analisi

Argentina e Fondo monetario internazionale ai ferri corti: in arrivo un nuovo default?

Stavolta ad essere in bilico è il pagamento di una tranche di 3,5 miliardi di $ al Fondo monetario internazionale il prossimo marzo

di Marcello Minenna

Fmi, boom del debito globale: vola a 226.000 miliardi

7' di lettura

Appena 18 mesi dopo l’ultimo default da parte del governo argentino, potremmo assistere a breve ad un altro terremoto finanziario localizzato a Buenos Aires. Stavolta ad essere in bilico è il pagamento di una tranche di 3,5 miliardi di $ al Fondo Monetario Internazionale (FMI) il prossimo marzo; si tratta di parte del prestito monstre di 57 miliardi ottenuto nel 2018 per contrastare la crisi valutaria ed evitare un default su tutto il debito estero che ammontava al tempo a quasi 170 miliardi.
Purtroppo il profilo degli esborsi dovuti dal governo argentino nei prossimi 12 mesi non lascia molti margini di manovra. I 3,5 miliardi sono solo una piccola parte dei 75 miliardi di debito da rimborsare, di cui 33 in valuta estera, non solo nei confronti del FMI ma anche di altri organismi internazionali (cfr. Figura 1).

SERVIZIO DEL DEBITO GOVERNATIVO A BREVE TERMINE
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Se sul rimborso del debito in valuta nazionale il governo può contare sugli anticipi di cassa della banca centrale di fresca stampa, per quanto riguarda il debito in valuta estera (leggi: in Dollari) la solvibilità può essere garantita solo dalle riserve valutarie del Paese, che allo stato attuale sono al di sotto dei 40 miliardi di $, in un allarmante trend discendente (cfr. Figura 2) nonostante gli stringenti controlli dei capitali in essere oramai da più di 2 anni.

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TASSO DI CAMBIO PESO ARGENTINO
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Un’emorragia inarrestabile di dollari dall’economia argentina

Infatti, sebbene i cittadini e le imprese argentine siano soggette ad una rigidissima normativa per quanto riguarda l’esportazione di valuta estera, la fuga di capitali verso l’estero prosegue ininterrotta con altri mezzi. Negli ultimi mesi è proliferato l’utilizzo di nuovi meccanismi (i c.d. Contado con liquidacion) che prevedono l’acquisto di asset finanziari in pesos argentini e la loro liquidazione in Dollari su mercati esteri da parte di società di brokeraggio specializzate che aggirano le restrizioni in essere.
Il risultato è uno scollamento sempre più evidente tra il tasso di cambio ufficiale Peso/Dollaro (area rosa, Figura 2) ed il tasso di cambio parallelo (area azzurra) utilizzato nelle transazioni reali, che risulta svalutato quasi del doppio. Ovviamente un tasso di cambio in caduta libera accresce la bolletta energetica ed il costo delle importazioni, rinfocolando le pressioni inflazionistiche all’interno del paese (il rialzo dei prezzi è al 50% annuo) in un momento in cui l’inflazione peraltro è in crescita in tutte le principali macro-aree economiche.
Per capire meglio la natura della fuga di capitali verso l’estero che contraddistingue da sempre l’economia argentina, occorre dare un’occhiata approfondita ai flussi cumulati di liquidità in entrata/uscita dal Paese (cfr. Figura 3).

I FLUSSI CUMULATI DI CAPITALE
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Dall’analisi dei dati si nota con un notevole colpo d’occhio la presenza di due macro-fenomeni che hanno drenato dal Paese oltre 200 miliardi di $ negli ultimi 8 anni. Da un lato un persistente deficit delle partite correnti (barre viola, -101,8 miliardi) e dall’altro un continuo deflusso di capitali verso investimenti finanziari esteri da parte del settore privato non finanziario (barre rosa, -102,8 miliardi).
Gli afflussi di capitale sono prevalentemente costituiti da: 1) investimenti nei titoli del settore pubblico (barre verdi, +62 miliardi), aumentati dopo il vasto programma di emissione di debito in valuta estera da parte del governo neoliberista di Macri; 2) investimenti diretti nell’economia da parte di grandi multinazionali estere (barre rosse, +51,9 miliardi) e 3) a partire dal 2018, prestiti in valuta forte al governo argentino (barre azzurre, +53,8 miliardi), essenzialmente riconducibili nell’ambito del programma del FMI.
Appare limitatissima l’influenza di un sistema bancario piccolo e sottocapitalizzato (barre gialle), mentre si può affermare de facto che l’economia argentina si struttura intorno ad una redistribuzione dei flussi tra il settore pubblico e quello privato non finanziario, caratteristica di un Paese in via di sviluppo e non proprio indicativa di uno stato di salute florido.

Dove vanno a finire i dollari in fuga: un’analisi di dettaglio

Generalmente il saldo delle partite correnti di un’economia sviluppata è dominato dal saldo della bilancia commerciale, ossia dalla differenza tra importazioni ed esportazioni di beni/servizi. Il saldo dei redditi primari, che descrive i flussi derivanti da redditi da lavoro e capitale (interessi/dividendi in investimenti diretti) ha un impatto residuale.
L’Argentina tuttavia è un caso peculiare: se andiamo a decomporre il saldo del conto corrente (cfr. Figura 4), si nota una sostanziale equivalenza tra saldo commerciale e saldo dei redditi primari. A dispetto delle apparenze, la bilancia commerciale argentina è stata quasi sempre positiva negli ultimi 15 anni (barre blu), ma il saldo delle partite correnti si è mantenuto dapprima neutro, e poi è passato in territorio profondamente negativo per via del costante deflusso di capitali verso l’estero dovuto al deficit dei redditi primari (barre rosse). In particolare per l’economia argentina questa grandezza è guidata dall’erogazione di dividendi ed interessi sulla significativa mole di investimenti diretti, a dimostrazione del fatto che questi non rappresentano necessariamente solo un plus per le economie riceventi.

ARGENTINA - DECOMPOSIZIONE DEL SALDO DEL CONTO CORRENTE
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Spostando il focus sugli investimenti di portafoglio del settore privato argentino (cfr. Figura 5), si nota un trend fortemente crescente a partire dalla rimozione dei controlli sui capitali varata dal governo Macri nel 2016. In particolare è evidente come imprese e risparmiatori abbiano quasi sempre “dollarizzato” i propri risparmi in conti di deposito/prestiti (barre grigie), in una tipica mossa difensiva a fronte di una valuta locale in costante deprezzamento. Dopo la re-introduzione dei controlli di capitale a settembre 2019, il flusso si è ridotto in intensità ma non si è arrestato, essendo possibile l’elusione dei controlli attraverso sistemi alternativi (come l’acquisto di asset finanziari ad immediata cessione).

INVESTIMENTI ALL’ESTERO DEL SETTORE PRIVATO NON FINANZIARIO ARGENTINO
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Gli errori del programma di salvataggio del Fmi

Guardando i dati nel complesso, emerge chiaramente come gli aiuti del FMI non abbiano portato dei benefici apprezzabili all’equilibrio dei conti con l’estero dell’economia argentina. Gli obiettivi primari imposti dai funzionari del Fondo sono stati inizialmente rispettati: austerity fiscale con tagli al settore pubblico e blocco della crescita della base monetaria da parte della banca centrale. Nonostante ciò le riserve valutarie hanno continuato a declinare, l’inflazione a crescere ed il tasso di cambio a deprezzarsi, mentre de facto i flussi finanziari in ingresso hanno rapidamente lasciato il Paese sotto forma di interessi/dividendi e depositi in banche estere effettuati da una classe privilegiata di investitori nazionali.
Lo stesso FMI ha riconosciuto gli errori del programma in un recente paper di valutazione ex-post, unico nel suo genere. Secondo gli analisti, il Fondo ha accettato per buone (dietro forti pressioni politiche di Washington, N.d.A) le stime ottimistiche del governo neoliberista di Macri su deficit, inflazione e crescita. I tagli alle spese pubblicizzati dall’esecutivo Macri si sono rivelati una tantum ed hanno influenzato solo marginalmente l’andamento dei conti pubblici. Il prestito è stato poi erogato in maniera accelerata, senza condizionare l’esborso di ulteriori tranches ad una verifica simultanea delle performance.
Tutto ciò è indubbiamente vero, ma perde di vista un punto fondamentale: la ricetta del FMI si è concentrata sugli obiettivi fiscali del governo, ignorando l’equilibrio complessivo del settore pubblico, che comprende anche la banca centrale. Nel bilancio di questa è proliferato inosservato un problema rilevante.

Il debito “ombra” della Banca centrale

Per capire, bisogna allargare l’analisi al bilancio della banca centrale (Banco Central de la Republica Argentina – BCRA), da anni impegnata in un’operatività non convenzionale che ha portato ad accumulare ulteriori 47 miliardi di $ di debito “atipico” molto costoso a brevissimo termine.
Storicamente la BCRA ha sempre finanziato il deficit governativo attraverso la creazione di base monetaria (cfr. Figura 6, barre gialle) e l’utilizzo di anticipi di cassa e trasferimenti al governo dei profitti (contabili) (barre arancioni).
Dal 2015 l’amministrazione Macri, nel tentativo di porre sotto controllo l’alto tasso di inflazione, aveva incentivato un’ulteriore operatività atipica della banca centrale. In sostanza la BCRA riduceva il tasso di crescita della base monetaria attraverso operazioni di sterilizzazione, cioè emettendo titoli di debito a brevissimo termine (LEBAC - Letras del Banco Central) sottoscrivibili da tutti gli operatori, financo retail, che ottenevano un tasso di interesse – teoricamente – privo di rischio. In questa maniera la BCRA ritirava dal mercato la liquidità immessa nel sistema per garantire il finanziamento monetario del deficit. Naturalmente le LEBAC dovevano essere periodicamente rinnovate, ad un tasso di interesse ancorato al tasso di inflazione per garantire il ricollocamento.
In difetto di risorse di capitale adeguate, la BCRA era costretta a finanziare il costo degli interessi sui LEBAC tramite monetizzazione, la cui sterilizzazione a sua volta incrementava la necessità di ricorrere a maggiori emissioni di LEBAC.
Lo stock di LEBAC nel bilancio della BCRA è cresciuto esponenzialmente, raggiungendo il 100% della base monetaria a metà 2018, nel momento in cui esplodeva la crisi valutaria che avrebbe portato all’intervento del FMI.

ARGENTINA -PRINCIPALI VOCI DELL’ATTIVO E PASSIVO PATRIMONIALE DELLA BANCA CENTRALE
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L'intervento del FMI nel 2018 ha imposto la liquidazione progressiva dei LEBAC insieme ad un obiettivo di crescita zero della base monetaria, ammettendo l’utilizzo più limitato di uno strumento simile, i LELIQ (Letras de Liquidez, barre rosse), che però avevano durata di 1 settimana e potevano essere collocati soltanto alle banche.
Tuttavia, nel corso del programma di aggiustamento del FMI la mancata risoluzione degli squilibri macro-economici e la sostanziale somiglianza in termini di ingegneria finanziaria dei LELIQ con i LEBAC hanno generato – con effetti più dirompenti – gli stessi problemi emersi con l’uso dei LEBAC. La svalutazione del cambio e la crescita del tasso di inflazione hanno imposto un tasso di interesse sui LELIQ rapidamente in aumento: dal 25% annuo del 2017, al 72% del 2018 fino all’85% di fine agosto 2019.
A fine 2019 il FMI ha imposto una formalizzazione nel bilancio federale di parte del debito atipico in LELIQ tramite la ricapitalizzazione della banca centrale attraverso il conferimento di titoli governativi a lungo termine (barre azzurre). Il debito pubblico argentino è salito sopra il 100%, ma il costo crescente degli interessi da monetizzare e il blocco contestuale della base monetaria hanno continuato ad alimentare la crescita disfunzionale delle emissioni LELIQ.
In definitiva, da un lato le riserve valutarie argentine appaiono ancora più fragili, a fronte di un passivo della banca centrale fuori controllo. Dall’altro il debito governativo è più massiccio di quello che sembra. Sono carte pessime da mostrare al mercato, mentre il negoziato con il FMI sulla ristrutturazione del prestito si avvia verso la fase più delicata. Le buone intenzioni tra entrambe le parti ci sono, ma potrebbero non bastare.

Marcello Minenna, Direttore Generale dell’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli@MarcelloMinennaLe opinioni espresse sono strettamente personali

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