I punti chiave
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Disegnatore di architetture per microprocessori. Così può riassumersi l’attività di Advanced RISC Machine Holding. Cioè: Arm, l’azienda britannica che il 14 settembre scorso è sbarcata al Nasdaq. Il debutto, con un prezzo di collocamento di 51 dollari per azione – livello massimo della forchetta tra 47 e 51 dollari presentata – è stato contraddistinto dal positivo andamento nella prima seduta: il titolo, nell’intraday, è arrivato oltre i 67 dollari. Successivamente, però, le azioni sono cadute, scivolando per un po’, in fine settimama, sotto il prezzo dell’Ipo.
Oggetto sociale
Al di là della dinamica dei prezzi, è essenziale comprendere l’oggetto sociale dell’azienda. Il gruppo, per l’appunto, non realizza microprocessori, bensì ne disegna l’architettura. Cioè produce lo schema logico del loro funzionamento: dalle istruzioni su come elaborare i dati alla modalità della formattazione dell’input/output fino al meccanismo attraverso cui il chip interagisce con la memoria del prodotto in cui è inserito. Nel corso degli anni la società ha assunto un ruolo centrale a monte della filiera produttiva globale dei semiconduttori: nel 2022 più di 250 miliardi di chip sono stati realizzati in base alle sue istruzioni. Tra le più importanti soluzioni – divenuta anche standard per l’industria – c’è l’Arm Cpu Architecture. Vale a dire un’unità centrale di elaborazione del calcolatore, caratterizzata da minore potenza ma con una più alta semplicità ed efficienza energetica. «Si basa sulla cosiddetta architettura RISC – spiega Alessandro Piva, direttore dell’Osservatorio d’intelligenza artificiale del PoliMi –. Un approccio il quale da una parte, richiedendo minore consumo di energia, è molto adatto ad esempio al mondo degli smartphone»; e che dall’altro, comportando «più bassi costi operativi in capo a chi costruisce materialmente il chip», è apprezzato dai clienti/produttori. A fronte di un simile scenario Arm ha avuto successo soprattutto nel settore dei telefonini. Nell’ambito dei processori avanzati sugli smartphone il gruppo vanta una quota di mercato oltre il 99%. Il risultato, a ben vedere, è stato raggiunto anche attraverso una strategia precisa: mantenere la rigorosa neutralità – la società è definita la “Svizzera” dei microchip –nei confronti dei clienti (tra di loro forti concorrenti). Quest’ultimi, dietro il pagamento di commissioni fisse e royalty variabili, accedono al brevetto di Arm e producono il chip che finisce nel prodotto elettronico.
La diversificazione
Sennonché, qui c’è una prima incognita. Alcuni esperti, rispetto al comparto dei cellulari, fanno notare che, seppure rimanga rilevante ed essenziale, questo è piuttosto maturo. Di conseguenza è necessaria la crescita su altri fronti. La stessa Arm ne è consapevole. Il gruppo, che già ha una quota di mercato sostanziosa nell’Internet delle cose (64,5% a fine 2022) o negli apparecchi per le reti informatiche (25,5%), indica la volontà di diversificare il business. Dove? Ad esempio nel cloud computing (10% la market share a fine 2022). Ebbene: la perplessità di alcuni analisti è che il focus del gruppo su specifiche tecnologie – l’architettura RISC tanto vincente nel mobile – non agevoli l’ulteriore articolazione. Nella nuvola informatica, ad esempio, vengono usati processori a più alta potenza che non sono tra i “best seller” dell’azienda britannica. Non tutti, però, condividono la preoccupazione. «In realtà – riprende Piva – il gruppo, nel cloud computing, ha già come clienti aziende quali Amazon. Quindi i dubbi indicati su questo fronte non paiono leciti».
Ma non è solo una questione di cloud. Attualmente il gruppo offre in licenza il design dei chip ai clienti/produttori, che pagano una commissione fissa per l’uso del brevetto e poi versano una royalty per ogni microprocessore venduto, basata sul prezzo del chip stesso. «Proprio in sede di Ipo – spiega Carlo De Luca, capo dell’AM Italia di Gamma Capital Markets – la società ha indicato di volere cambiare il meccanismo». Arm prevede di dare molta più importanza alle royalty, che «saranno calcolate in base al prezzo del dispositivo finale in cui vengono inseriti i chip, e non sul valore di quest’ultimo». Ovvio che, così facendo, si moltiplicano i ricavi aziendali. La mossa, tuttavia, ha molteplici rischi. In primis, il rialzo dei prezzi aumenta il già esistente problema della concorrenza delle architetture elaborate in open source. Si tratta della cosiddetta RISC V che da un lato, proprio perché sviluppata in un sistema aperto e collaborativo, ha costi inferiori; e che, dall’altro, viene sostenuta da diversi clienti della stessa Arm. Di più. «Nella sostanza – riprende De Luca – la società, sebbene preveda nuovi servizi e differenti accordi di utilizzo, chiede di pagare di più per il medesimo prodotto». Di conseguenza, «la risposta del mercato potrebbe non essere così favorevole».
L’intelligenza artificiale
Così come potrebbe non essere tutto rose e fiori riguardo all’Intelligenza artificiale. Certo: Arm, rimarcando l’uso delle sue architture in cellulari o data center che sfruttano l’Artificial Intelligence (Ai), rivendica il fatto di essere al centro della nuova trasformazione tecnologica. Ciò detto, però, la società d’investimento Bernstein sottolinea come l’idea «che Arm possa beneficiare della crescita dell’Ai dà un premium price al titolo». Tuttavia, «è troppo presto per affermare che l’azienda sia tra i vincitori nella gara dell’Intelligenza artificiale». Come dire, quindi, che l’investitore deve, soppesando con precisione le reali opportunità del gruppo sull’Artificial Intelligence, fare attenzione.
Il mondo cinese
Come deve fare attenzione, indica sempre Bernstein, al tema della Cina. Riguardo all’attività legata all’ex “Regno di Mezzo” può ricordarsi che il business fa capo ad Arm Technology China. Questa è una società che, da un lato, è partecipata da SoftBank (maggiore azionista di Arm) con circa il 48%; e che dall’altro, oltre ad essere il principale singolo cliente della stessa Arm (circa 25% dei ricavi totali nel 2022), opera in maniera indipendente. Ora: è palese come una simile mancanza di presa diretta sulla gestione sia un rischio. Soprattutto perché attualmente è in atto una dura guerra tecnologica tra Washington e Pechino. La stessa Arm, nel prospetto dell’Ipo, rimarca il pericolo: nell’esercizio fiscale concluso a Marzo 2023, per quanto il fatturato “made in China” sia salito, le royalty locali hanno decelerato a causa dei controlli sull’export e di questioni legate alla sicurezza nazionale. Insomma: analogamente ad altre imprese del settore (ad esempio Nvidia, che genera il 30% dei ricavi a Taiwan), Pechino ha, per Arm, una duplice valenza. È mercato con notevoli potenzialità ma esposto al rischio geopolitico.
I conti aziendali
Fin qui alcune suggestioni rispetto a modello di business, innovazione e aree geografiche. Il risparmiatore, tuttavia, guarda anche alle dinamiche di conto economico. Negli ultimi tre esercizi (l’anno fiscale chiude a marzo) ricavi e redditività reported hanno disegnato un parabola. Nel 2021-2022 il fatturato è salito, passando da 2,027 miliardi di dollari (2020-2021) a 2,703 miliardi. L’utile è aumentato da 544 a 676 milioni. Frenata, invece, nell’ultimo esercizio: nel 2022-2023 il giro d’affari è sceso a 2,679 miliardi di dollari e i profitti netti si sono assestati a 524 milioni. Costante, al contrario, l’incremento nei tre esercizi del margine operativo (Ebit in rapporto ai ricavi): valeva il 12% (2020 -2021) ed è arrivato al 25% a fine 2022-2023. Rispetto al primo quarter del 2023-2024, invece, l’Operating margin, analogamente a fatturato e profitti, è in frenata. Ma qui, come indicano gli esperti, un singolo trimestre non ha una valenza segnaletica sufficiente.
Ciò detto, Arm è da poco sbarcata al Nasdaq. Le azioni, dopo il boom del primo giorno, hanno ritracciato. «In questo momento – precisa De Luca – il risparmiatore deve fare molta attenzione. I dati storici sui prezzi sono inesistenti e i loro valori restano giocoforza soggetti ad importanti variazioni. Quindi ragionare, ad esempio, sui multipli ha poco senso». Inoltre, come per tutte le Ipo, «c’è il periodo di lock up». Di conseguenza fino alla sua scadenza «non si può sapere, tra le altre cose, quanto il management creda nell’azienda».
La società da un lato ha una buona redditività ed occupa un’indubbia posizione centrale nei semiconduttori; «ma, dall’altro, rispetto alla profittabilità in funzione degli stessi prezzi di Borsa, deve dimostrare tutta la sua abilità».
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