Arriva dalla luce il super-wireless, con un chip che sarà 100 volte più potente
Ricerca coordinata dal Politecnico di Milano, in collaborazione con Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, l'Università di Stanford e quella di Glasgow, nell'ambito del progetto europeo Superpixel
di Redazione Scuola
2' di lettura
Dalle auto autonome ai dispositivi indossabili per la realtà aumentata, fino al campo biomedico, sono numerosi i campi che potranno risentire di connessioni wireless fino a cento volte più potenti perchè veicolate dalla luce. Dopo la rivoluzione che la fibra ottica ha portato nei collegamenti via cavo, adesso la luce si prepara a rendere il wireless fino a cento volte più veloce, grazie al chip frutto della ricerca coordinata dal Politecnico di Milano e condotta in collaborazione con la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, l'Università californiana di Stanford e quella britannica di Glasgow, nell'ambito del progetto europeo Superpixel.
Il chip
Descritto sulla rivista Light: Science & Applications, il chip permette di separare fasci di luce anche se sono sovrapposti fra loro e se la forma con cui arrivano a destinazione è cambiata e sconosciuta. Il chip in silicio, delle dimensioni di 5 millimetri, riesce a ricevere separatamente i fasci di luce grazie a una moltitudine di microscopiche antenne ottiche e li manipola, ordinandoli, grazie a una rete di interferometri integrati. Eliminando in questo modo le interferenze tra i fasci di luce, il chip permette di gestire una quantità di informazione almeno cento volte maggiore rispetto a quella degli attuali sistemi wireless ad alta capacità, di oltre 5000 GHz. Come avviene nelle fibre ottiche, anche nello spazio libero la luce può viaggiare sotto forma di fasci aventi forme diverse, chiamati “modi”, ognuno dei quali può trasportare un flusso di informazione. Generare, manipolare e ricevere più modi significa trasmettere più informazione. Il problema è che lo spazio libero è per la luce un ambiente molto più ostile, variabile e imprevedibile di una fibra ottica. Ostacoli, agenti atmosferici o più semplicemente il vento incontrato lungo il percorso, possono modificare la forma dei fasci di luce, mescolarli e renderli a prima vista irriconoscibili e inutilizzabili. «Una peculiarità del nostro processore fotonico è che può autoconfigurarsi molto semplicemente, senza necessità di complesse tecniche di controllo», osserva Francesco Morichetti responsabile del Photonic Devices Lab del Politecnico di Milano. Il chip è inoltre «in grado di adattarsi in tempo reale per compensare effetti introdotti da ostacoli in movimento o turbolenze atmosferiche, permettendo - rileva - di instaurare e mantenere collegamenti ottici sempre ottimali».
Le possibili applicazioni
« Le possibili applicazioni sono molteplici - dice Andrea Melloni, direttore di Polifab, il centro di micro e nanotecnologie del Politecnico di Milano - e comprendono sistemi di posizionamento e localizzazione ad elevata precisione per veicoli a guida autonoma, sensoristica e riconoscimento di oggetti a distanza, dispositivi portatili e indossabili per la realtà aumentata e nuove tecniche di indagine per applicazioni biomedicali». Grazie alla collaborazione che ha portato a questo risultato, l'Italia è in una posizione di leadership sulle tecnologie fotoniche per comunicazione, sensoristica e biomedicale, osserva Marc Sorel, docente di Elettronica dell'istituto TeCIP (Telecommunications, Computer Engineering, and Photonics Institute) della Scuola Superiore Sant'Anna.
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