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Arte al femminile. VALIE EXPORT all'Albertina di Vienna

L’istituzione dedica all’artista di Linz un'efficace retrospettiva che con oltre 160 lavori ripercorre gli snodi principali della sua carriera

di Flavia Foradini

3' di lettura

Un importante tassello per capire la produzione artistica austriaca dei decenni successivi al secondo conflitto mondiale è il fitto velo steso fin dalla metà degli anni '40 su ciò che era stato il nazismo, con la sua ideologia malata, le sue vessazioni, i suoi crimini. A dispiegarlo come un'impenetrabile cappa era stata la generazione che la guerra l'aveva combattuta o subìta. Aiutata anche dall'improvvida considerazione dell'Austria come “prima vittima” del nazionalsocialismo, un'intera collettività con ancora in mano le leve del potere attuò una condivisa, capillare rimozione che si protrasse fin dentro agli anni '80, allorché una nuova generazione di dirigenti, di storici, di operatori culturali e artistici poté accedere alle centrali di comando e prese a immergersi sistematicamente negli abissi del Terzo Reich.

Thomas Bernhard, Elfriede Jelinek

I figli di quella generazione coinvolta, o connivente, o indifferente, o vittima del nazismo, sperimentarono un'infanzia e un'adolescenza segnate da un silenzio omertoso, da muri di gomma famigliari e sociali che nessuna richiesta di dialogo riusciva a penetrare e da istituzioni scolastiche ancora improntate a ferrei metodi autoritari. Pochi gli spiragli che di tanto in tanto si aprivano, lasciando emergere fatti indicibili. Da qui una rabbia estrema, un frustrante senso di impotenza, e la travolgente voglia di infrangere tutto per poter ricominciare. E' questo bisogno di rivolta contro il mondo creato dalla generazione precedente, ad aver contribuito a produrre un Thomas Bernhard, una Elfriede Jelinek, un gruppo come gli Azionisti Viennesi, un Gottfried Helnwein, e una femminista a tutto campo come VALIE EXPORT.

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Nata a Linz nel 1940 e giunta a Vienna nel 1960, l'oggi 83enne artista si era subito prodotta in performance provocatorie e dissacranti, ben in anticipo sui tempi. Lei, educata in un severo collegio di suore, aveva deciso che le regole apprese a scuola non potevano essere le sue e le infrangeva pubblicamente, andando in giro per Vienna con il fidanzato e futuro affermato artista Peter Weibel a gattoni e docilmente al guinzaglio (Aus der Mappe der Hundigkeit, 1968); tagliando il cavallo dei propri pantaloni, e seduta a gambe larghe lasciando libero lo sguardo dell'osservatore sul pube, e però imbracciando allo stesso tempo un mitra: una sfida al mondo e una derisione dell'inconscia paura maschile del sesso femminile (Genitalpanik, 1969); tatuandosi sulla coscia un fermaglio da reggicalze (Body Sign Action, 1970); ma anche letteralmente spalmando il proprio corpo lungo linee e forme di monumenti, edifici, scale, cordoli di marciapiedi, quasi a voler sottolineare una volontà di contatto con l'esistente, senza però una possibilità di fusione (Körperkonfigurationen, anni '70).

Messaggi stratificati

Messaggi stratificati, che esplicitavano decise istanze femministe. Ma c'erano anche dure critiche all'establishment, che sfociavano in performance autolesionistiche, focalizzate sugli effetti di una situazione sociale soffocante e apparentemente senza vie d'uscita: come in Hyperbulie (1973), in cui l'artista passava nuda attraverso uno stretto percorso delimitato da fili elettrici, che se toccati rilasciavano scariche: “i fili rappresentano le leggi, la società. E più entri in contatto con essi, più ricevi colpi e ti indebolisci: per non prendere scosse alla fine ne usciamo tutti docili come animali addomesticati. Ed è ancor oggi così”, ci spiega l'artista.A lungo poco riconosciuta in patria, i suoi successi li incontrò presto all'estero, in Germania come negli Stati Uniti, dove fra l'altro insegnò a lungo. Da un paio di decenni anche in Austria la sua arte pionieristica è riconosciuta e inserita in quel vasto movimento artistico soprattutto viennese sorto negli anni '60, e ora l'Albertina di Vienna le dedica un'efficace retrospettiva che con oltre 160 lavori ripercorre gli snodi principali della sua carriera.Disegni, fotografie, video e installazioni narrano di un'evoluzione da opere ancora sotto l'influsso dei mondi onirici di Alfred Kubin (“mi affascinava”) via via fino ad una contiguità, ma non identità, con gli Azionisti Viennesi, e quindi a una completa libertà da influssi: un discorso originale quanto influente, che con il suo incrollabile rifiuto di compromessi ha ispirato le successive generazioni di artiste, esortate da VALIE EXPORT a farsi avanti con coraggio e determinazione, perché in arte come nella società, “l'equiparazione delle donne è ancora di là da venire”.

VALIE EXPORTa cura di Walter Moser, Albertina, Vienna, fino al primo ottobre, catalogo edito da Prestel


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