Societa

Arte, memoria, riparazione. L’accidentato cammino dei Principi di Washington

di Arianna Visconti

4' di lettura

Poche settimane fa i Carabinieri del Nucleo per la Tutela del Patrimonio Culturale di Monza hanno recuperato presso un antiquario milanese un dipinto di Nicolas Poussin, Loth avec ses deux filles lui servant à boire, consentendone la restituzione ai legittimi proprietari, eredi della famiglia ebraica spossessata dai nazisti durante l'occupazione tedesca di Poitiers nel 1944. La vicenda è emblematica di quanto siano ancora attuali le questioni di recupero e restituzione di opere d'arte sequestrate a perseguitati, razziali o politici, sotto il dominio nazifascista. Delle vicissitudini del dipinto tra il 1944 e il 2017 nulla si sa, malgrado le vittime ne avessero segnalato la sottrazione al Commission de Récupération Artistique già nel 1946. La tela è riemersa sul mercato internazionale, a Maastricht, nel 2019, quando è stata fortunosamente identificata da un esperto d'arte e si sono quindi potute avviare le indagini per il suo recupero.
Le opere sottratte nel corso delle persecuzioni nazifasciste e della seconda guerra mondiale e mai recuperate sono ancora decine di migliaia. Furti e saccheggi non interessarono solo musei, gallerie, chiese e istituzioni culturali di varia natura, ma presero di mira con particolare ferocia la popolazione ebraica d'Europa, nel quadro di quella più generale sistematica privazione dei diritti culminata nella privazione della vita stessa, con lo sterminio di massa. Proprio queste vittime e (ormai) i loro discendenti si trovano nella posizione più difficile, quando si tratti di recuperare beni culturali oggetto di vendita forzata o spoliazione violenta. Oltre a doversi confrontare con la storia tragica che lega questi oggetti alla persecuzione, e quasi sempre alla perdita, dei propri congiunti, costoro si trovano infatti di fronte a molteplici ostacoli. Gli sconvolgimenti del periodo bellico e il passaggio inesorabile del tempo pongono enormi problemi probatori, e la circolazione delle opere sul mercato internazionale, con molteplici passaggi di mano e l'applicazione di differenti regimi legali, rendono la proposizione di azioni giudiziali per il recupero onerosa, complessa, e fortemente incerta quanto all'esito.
Proprio per questo nel 1998 vennero adottati, in esito alla Conferenza di Washington sull'arte confiscata dai nazisti, una serie di principi che dovrebbero ispirare l'azione degli Stati nel favorire e sostenere la ricerca e restituzione di queste opere. Si tratta di indicazioni non vincolanti, concepite con l'obiettivo di promuovere proattivamente le restituzioni e favorire soluzioni quanto più possibile eque, anche attraverso il ricorso ad accordi stragiudiziali basati sul riconoscimento delle drammatiche circostanze di questi spossessamenti e di tutte le difficoltà collegate. Esempi di spontanea applicazione di questi principi li troviamo anche in Italia, come nel recente caso della Collezione Cerruti di Rivoli la cui Fondazione, una volta scoperto che la Madonna col Bambino, san Giovannino e due angeli di Jacopo del Sellaio, acquisita in buona fede nel 1987, era in realtà stata oggetto di requisizione durante la guerra, si è attivata per rintracciare e contattare la famiglia, con cui è poi stato raggiunto un accordo di acquisto del dipinto e donazione ai discendenti delle vittime di alcune stampe di alta qualità riproducenti l'opera.
Ma dal punto di vista dell'azione istituzionale e legislativa il nostro paese è ancora molto indietro. Pressoché nulla si è fatto dopo la chiusura dei lavori, nel 2001, della ‘commissione Anselmi', incaricata nel 1998 di indagare sulle spoliazioni subite dagli ebrei in Italia, incluse quelle di opere d'arte e beni culturali, a seguito della promulgazione delle leggi razziali nel 1938 e fino alla fine della guerra. A differenza che in Germania, Austria, Olanda, Francia e Regno Unito, non esistono linee guida strutturate e organismi incaricati di investigare sistematicamente sulla provenienza delle opere, alla ricerca di possibili legittimati alla restituzione, e di fornire pareri, improntati ad equità e giustizia, sulle eventuali domande presentate. Solo nel luglio 2020 è stato finalmente costituito, presso il Comitato per il recupero e la restituzione dei beni culturali del MiBAC, un tavolo di lavoro per lo studio e la ricerca sui beni culturali sottratti in Italia agli ebrei tra il 1938 e il 1945, composto da sette membri incaricati di «svolgere attività di ricognizione, ricerca e individuazione dei beni culturali sottratti alla comunità ebraica e ai singoli cittadini ebrei nel periodo delle persecuzioni razziali» e aventi facoltà di consultare esperti esterni, ma senza dotazione di fondi. C'è quindi ancora molta strada da percorrere, da noi, per rispondere adeguatamente a questa fondamentale domanda di giustizia, che del resto la stessa opinione pubblica italiana ha assai meno presente di quella di altri paesi.
A queste esigenze si propone di rispondere il convegno ‘Questo è stato': arte, memoria, riparazione. L'accidentato cammino di attuazione dei Principi di Washington in Europa organizzato dall'Università Cattolica del Sacro Cuore il 6 maggio, che vedrà la partecipazione di numerosi esperti internazionali. Oltre ad affrontare questioni più tecniche – giuridiche e non solo – legate alle ricerche sulla provenienza delle opere e alle questioni di restituzione, l'evento mira a sensibilizzare professionisti e pubblico sul più ampio tema della riparazione di ingiustizie che, come la Shoah, per la loro immensa portata esigono uno sforzo di comprensione, ricordo e riconciliazione che va molto al di là delle pur necessarie riparazioni materiali, e che proprio in ambito culturale implica una riflessione sul valore dell'arte stessa come forma di testimonianza e restituzione.

Docente di Diritto penale e Law & the Arts
Università Cattolica del Sacro Cuore

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