Idee

“Artivisti”, artisti militanti alla conquista del mondo dell'arte

Vincenzo Trione racconta la nouvelle vague dell'arte contemporanea, tra attivismo politico, fascinazione per la scienza, ecologismo e multidisciplinarietà

di Riccardo Piaggio

(IMAGOECONOMICA)

3' di lettura

Nel mondo dell'arte contemporanea, la situazione è grave, ma non (ancora) seria. Nell'Età dell'umanesimo, dunque all'apice del Medioevo, filosofi e scienziati, artisti e uomini di lettere, tecnici e artigiani non erano per forza - anzi, quasi mai - esploratori di sentieri distinti. L'Età moderna ha portato un nuovo paradigma, quello della specializzazione, che ha relegato ciascuno nella propria confortevole cuccia. Per una curiosa eterogenesi dei fini, anche gli artisti contemporanei, non più al servizio di prìncipi e Papi (ma del mercato e dei suoi rapaci avvoltoi) hanno cominciato a guardare il proprio ombelico con la certezza che corrisponda a quello, ben più ampio, del mondo.

Torre d'avorio dell'autocompiacimento

E a parlare a sé stessi e ai propri simili, in quel salotto dell'effimero che sono i vernissages e conseguenti finissages, tra salatini, macarons e prosecco o champagne, a seconda della latitudine. L'arte, confinatasi da sola nella Torre d'avorio dell'autocompiacimento, ha bisogno di un nuovo vocabolario, con cui ripresentarsi al mondo. E di una nuova alleanza con la società. Con “Artivismo. Arte, politica, impegno” (Einaudi, le Vele, pp.232, €13,00), Vincenzo Trione, storico e critico dell'arte, arricchisce il discorso sull'arte contemporanea con una nuova e agile mappa culturale e critica.

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Gli artivisti

Chi sono gli artivisti? Sono la nuova, grande comunità dell'arte contemporanea, non una semplice corrente. L'arte contemporanea ha fatto, nei primi due decenni del nuovo secolo, una necessaria psicoterapia e ha compreso che rischiava semplicemente di scomparire dal mondo, passando dall'isola deserta dei salotti e delle gallerie all'oblio di quella che non c'è.

Sulla scorta di Camus: non più disertori ma attivisti

L'artista, che si è isolato volontariamente dal mondo che cercava di raccontare, ora cerca la chiave per rientrarvi, come attivista o come testimone. In pratica, come autore. Ma quando e come si è creata la frattura tra intellettuale e artista? «La cesura» dice Trione, «risale almeno agli anni '80, quando sono prevalse due grandi inclinazioni nel mondo dell'arte, un orientamento di stampo neo-dadaista (il piacere per la boutade) e quello post-modernista con il gusto per la “rottura” e la citazione. Dal 2000 alcuni artisti hanno sentito l'esigenza di riaffermare il bisogno di comportarsi come intellettuali, seguendo due traiettorie: farsi testimoni delle esigenze territoriali, ecologiche, urbanistiche oppure farsi intellettuali, sulla scorta di Camus: non più disertori ma attivisti»; teste, mani e cuori al servizio della società, contro le sue contraddizioni e ingiustizie. Ma bisogna fare in fretta: “si rischia che l'avanguardia, la grande categoria del XX° secolo, da scorribanda si trasformi in una passeggiata in un parco giochi, ma sono convinto che le fasi di declino preludano ad un ritorno dell'arte fuori dalle secche: gli esempi sono fecondi, da Kieker a Boltansky.

A cosa serve l'arte?

La finalità dell'arte, secondo il filosofo Arthur Danto, è estetica ed etica allo stesso tempo. Solo dopo è politica, concettuale. Gli artivisti dove e come si collocano all'interno di questo orizzonte? «L'Arte sta tornando ad essere multidisciplinare: nel precedente L'Opera Interminabile (Einaudi, 2019), ho provato a raccontare alcuni artisti, come William Kentrige, che si impegnano in pratiche diverse. Si sta sviluppando in questi anni un grande indirizzo contemporaneo che sta portando alla nascita di collettivi che cercano una nuova sintesi tra arte, scienza e cultura, come nel Bauhaus, ad esempio l'Officina berlinese di Olafur Eliasson». Resta un nodo, che Trione affronta con ampi esempi, quello relativo al rapporto dell'arte con la bellezza. L'arte classica, rappresentativa, è costitutivamente legata al paradigma etico di bellezza; quella del novecento è invece connessa al concetto di scandalo, di dissonanza, di ricerca del nuovo. Di tabula rasa, meglio se non leggibile da tutti. Con alcune eccezioni, dal realismo magico di Cattelan all'arte documentaria di Aleksievich. Lo scandalo è conseguenza, non presupposto dell'arte socialmente e pure ontologicamente rivoluzionaria.

Artivisti sono gli artisti che vengono al mondo per rappresentare esigenze politiche, sociali, ciascuno attraverso la propria militanza, sia essa ideologica, territoriale, esistenziale. “Ma, forse”, scrive l'autore nell'epilogo a questa cartografia dell'arte politica del XXI° secolo, “il senso più alto dell'esperienza della testimonianza è altrove. E abita lo spazio della contraddizione”.

Vincenzo Trione, “Artivismo. Arte, politica, impegno” (Einaudi, le Vele, pp.232, €13,00)


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