Assegno unico, Bruxelles formalizza l’infrazione: due mesi di tempo all’Italia
L’Italia è stata formalmente contestata dall’Unione europea per la normativa sull’assegno unico. La Commissione ritiene che la richiesta di due anni di residenza e il requisito della “vivenza a carico” siano discriminatorie. Il Governo italiano ha due mesi per rispondere e adottare le misure necessarie
di Michela Finizio
4' di lettura
L’assegno unico universale resta sotto infrazione a livello europeo. Bruxelles formalizza, con l’invio di un parere motivato all’Italia, la contestazione mossa contro la principale misura di sostegno per le famiglie, entrata in vigore a marzo 2022. L’ultimo osservatorio Inps ricorda che, tra gennaio e settembre di quest’anno, la prestazione sociale ha raggiunto con almeno una mensilità 6,3 milioni di famiglie per 9,8 milioni di figli, erogando complessivamente 13,4 miliardi di euro.
La procedura d’infrazione
La Commissione europea aveva aperto la procedura di infrazione sull’assegno unico lo scorso febbraio. La lettera allora inviata al Governo italiano spiegava che la richiesta di due anni di residenza e il requisito della «vivenza a carico» - necessari per l’ottenimento dell’assegno unico - «violano il diritto dell’Ue in quanto non trattano i cittadini dell’UE in modo paritario, il che si qualifica come discriminazione. Inoltre, il regolamento sul coordinamento della sicurezza sociale vieta qualsiasi requisito di residenza per ricevere prestazioni di sicurezza sociale come gli assegni familiari».
Il confronto tra i tecnici del Governo e quelli di Bruxelles, che in questi mesi hanno cercato un accordo sul punto, si conclude con il nuovo scatto odierno dell’iter della procedura di infrazione, con l’invio del parere motivato che fissa una scadenza (due mesi) entro la quale lo Stato membro ha il dovere di conformarsi al diritto dell’Unione europea.
La Commissione, che è ancora del parere che la violazione delle norme dell’Unione persista, sostiene che la normativa sull’assegno unico (Dlgs 230/2021, attuativo della legge delega 46/2021) violi in particolare la legge comunitaria sul coordinamento della sicurezza sociale e sulla libera circolazione dei lavoratori.
Roma aveva risposto nel giugno scorso, ma per la Commissione la risposta non risponde in modo «soddisfacente» alle sue preoccupazioni. L’Italia ha due mesi per rispondere e adottare le misure necessarie. In caso contrario, la Commissione potrà decidere di deferire il caso alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.
La contestazione sulla residenza
Tra gli altri requisiti, la legge italiana istitutiva dell’assegno unico prevede che abbiano il diritto di riceverlo solo le persone che risiedono da almeno due anni in Italia, e solo se vivono nella stessa famiglia dei loro figli. Secondo la Commissione, questa legislazione non tratta i cittadini comunitari in modo equo. Inoltre, il regolamento sul coordinamento della sicurezza sociale «vieta qualsiasi requisito di residenza per ricevere prestazioni di sicurezza sociale come gli assegni familiari».
Il contenzioso potrebbe riaprire il tema degli assegni familiari per figli residenti all’estero. La Corte di Giustizia dell’Unione europea, a seguito di un contenzioso strategico avviato dall’ Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, aveva dichiarato discriminatoria l’esclusione dei cittadini stranieri dal diritto al contributo per i figli se residenti all’estero. Dal 1° marzo 2022, infatti, questi cittadini non ricevono più alcun beneficio per i figli residenti all’estero (per i quali invece, precedentemente, percepivano le detrazioni per i figli a carico). Inoltre, basandosi sull’Isee, l’assegno unico richiede il requisito della convivenza. Tale previsione esclude così gli stranieri che frequentemente mantengono figli residenti in patria e viceversa, fenomeno che - tra l’altro - si materializza più spesso tra i cosiddetti frontalieri.
Il futuro dell’assegno unico
La procedura europea contro l’assegno unico è una delle motivazioni per cui il Governo italiano ha scelto di non potenziare la misura di sostegno per le famiglie con figli con la prossima legge di Bilancio. «Concentrare tutte le risorse disponibili per la natalità su una misura oggetto di infrazione a livello comunitario potrebbe essere rischioso». Con queste parole la ministra per la famiglia, Eugenia Roccella, qualche settimana fa aveva commentato la critica di non aver inserito in manovra un potenziamento dell’assegno unico. La scelta invece è stata quella di utilizzare il risparmi della misura - pari circa un miliardo di euro nel 2022 a causa del mancato raggiungimento dell’intera platea di potenziali beneficiari - su altri aiuti per le famiglie, in particolare per chi ha almeno due figli, introdotti in legge di Bilancio. Tra questi, ad esempio, lo sgravio per le madri lavoratrici con almeno due figli, la mensilità in più di congedo parentale al 60% e il potenziamento del bonus nido per il secondo figlio. Misure in alcuni casi non strutturali (quindi da rinnovare negli anni successivi) e capaci di raggiungere una platea più ristretta rispetto a quella dell’assegno unico, ma su cui non pende la spada di Damocle dell’infrazione europea.
A confermare la scelta del Governo di non potenziare ulteriormente l’assegno unico c’è poi la decisione, già presa, di dirottare altrove 350 milioni di fondi, inizialmente stanziati per il contributo strutturale in vigore, finora rimasti inutilizzati: oltre al previsto scostamento di bilancio, il decreto Anticipi (Dl 145/2023) – che libera quasi 28 miliardi, di cui 15 per il superbonus – pesca 350 milioni dal fondo per la disabilità (creato dalla manovra per il 2020, aumentato da quella per il 2022, ma evidentemente non speso) e altri 350 milioni di risparmi da quello per l’assegno unico.
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