ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùOfferta formativa vicina al lavoro

Atenei non statali, crescono iscritti e corsi ma resta il rebus risorse

Un sistema in salute. Che guadagna iscritti e innova l’offerta formativa come e a volte anche più di quella pubblica. Ma che è stato praticamente ignorato dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). È la fotografia che emerge da una ricerca dell’Osservatorio Talents Venture.

di Eugenio Bruno

(IMAGOECONOMICA)

3' di lettura

Un sistema in salute. Che guadagna iscritti e innova l’offerta formativa come e a volte anche più di quella pubblica. Ma che è stato praticamente ignorato dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e che, senza contromisure a breve, rischia un contraccolpo finanziario. È la fotografia dell’insieme degli atenei non statali che emerge da una ricerca dell’Osservatorio Talents Venture presentata a Padova il 23 settembre scorso in occasione del Convegno nazionale dei direttori generali delle università (Codau).

Iscritti e corsi

In quella sede è stato evidenziato innanzitutto come, durante l’anno accademico 2020/21, gli atenei non statali detenessero il 7% degli iscritti nelle università tradizionali (cioè non telematiche) ed erogassero il 7% dei corsi. Impiegando il 12% del personale docente e il 7% di quello non docente. Più nel dettaglio - precisa Talents Venture - tra il 2010/2011 e il 2020/2021 il numero di iscritti alle università private è aumentato del 12% laddove le pubbliche hanno perso l’8% di iscritti. Inoltre, tra il 2012/2013 e il 2021/2022 gli atenei non statali hanno aggiunto 83 corsi (+29%) contro il +9% degli statali. Con scelte diverse anche sugli ambiti di studio: il 68% dei nuovi corsi erogati dai primi appartiene al gruppo economico, politico-sociale e comunicazione, medico-sanitario e farmaceutico, informatica e tecnologie Ict mentre è rimasto immutato il peso di architettura e ingegneria civile e si è ridotto quello dell’area giuridica, letterario-umanistica e scienze motorie. Senza dimenticare i ritorni occupazionali testimoniati dal grafico.

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IL QUADRO D’INSIEME
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Contributo pubblico fortemente ridotto

Ma il quadro non è tutto roseo. Lo studio di Talents Venture sottolinea come, eccetto la parentesi del Covid, il contributo pubblico alle non statali si sia fortemente ridotto. E difficilmente il Pnrr invertirà la rotta. A porre il tema delle risorse a Padova è stato Andrea Rossi, amministratore delegato nonché Dg del Campus biomedico di Roma e vicepresidente del Codau, che al Sole 24 Ore del Lunedì spiega: «Se il sistema universitario nel suo complesso ha avuto un forte impulso negli ultimi anni, le università non statali non hanno beneficiato di questo incremento di risorse, anzi hanno avuto una forte riduzione, oltre a rimanere escluse da iniziative importanti come, ad esempio, i Dipartimenti di eccellenza. Come direttori generali delle università non statali - aggiunge - siamo concordi nel rappresentare questa esigenza, che incide sulla nostra sostenibilità economica, da ultimo minata dall’aumento dei costi dell’energia». Un tema che verrà portato all’attenzione del nuovo governo perché è «fondamentale per il futuro delle università non statali, per tutti gli studenti e per lo sviluppo dell’intero sistema universitario italiano». Come dimostrano «le numerose sinergie nate in questi anni tra università non statali e statali nei progetti di ricerca, nella creazione di corsi congiunti, nell’ambito sempre più importante della terza missione e ancor di più nell’ultimo periodo con lo sviluppo di partnership nei progetti legati al Pnrr».

Link tra mondo accademico e imprese

La partnership con il mondo accademico sta a cuore anche alle imprese, come ha confermato la direttore generale di Confindustria, Francesca Mariotti, intervenendo all’evento del Codau. Nel ricordare che viale Astronomia ha dato vita nel 1977 alla Luiss e nel 1991 alla Liuc, Mariotti ribadisce che è stata una scelta dettata dalla «necessità», dal «bisogno di rispondere a dei bisogni formativi che il mondo del lavoro cercava ma la formazione e l’università vanno ben oltre le esigenze di coloro che le hanno fondate». Lo dice la storia. «Una volta si diceva: se vuoi rendere grande una città fonda un’università e attendi 200 anni». In questo contesto, le università statali possono rappresentare e hanno rappresentato dei fenomeni di eccellenza. Penso ad esempio- aggiunge - ai servizi di placement e di orientamento agli studi che sono stati avviati nelle università non statali e sono stati poi ripresi anche dalle statali». Da qui il suo auspicio a lavorare di «sinergia» in un sistema che sia «di mobilità e di permeazione, da un sistema all’altro, dall’impresa all’università statale o non statale» perché «la complessità della contemporaneità richiede interdisciplinarietà e una grande competenza soprattutto nelle soft skills».

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