Atlantia, più del rebus autostrade ora conta il cantiere aperto di Edizione
Abertis, Alitalia, la morte di Gilberto Benetton: tutto è cambiato intorno al gruppo. La dinastia si è data un anno di tempo per capire se si possono ricomporre equilibri messi a dura prova dal passaggio generazionale
di Marigia Mangano
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A distanza di un anno dalla tragedia del crollo del Ponte Morandi, il destino della storia imprenditoriale della famiglia Benetton è appeso a due importanti decisioni. La prima è interna alla dinastia che deve scegliere se e in che misura mantenere lo status quo o, in alternativa, se sia giunto il momento di procedere alla divisione delle attività tra i quattro rami famigliari. La seconda è esterna a Treviso ed è nelle mani di chi siederà a Palazzo Chigi, chiamato a definire una volta per tutte il nodo della minacciata revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia. Dalle risposte che famiglia e politica matureranno si capirà quanto del vecchio impero di Ponzano Veneto resterà in piedi. Un patrimonio che vale oltre dieci miliardi di euro in termini di net asset value e che nell’ultimo anno ha aggiunto le torri di Cellnex e l’impegno in Alitalia alle storiche attività delle autostrade (Atlantia e Abertis), ristorazione (Autogrill) e abbigliamento (Benetton) .
Per il gruppo di Treviso, la tragedia di Genova rappresenta sotto diversi punti di vista uno spartiacque con un prima e un dopo. Prima di quel 14 agosto c’era Gilberto Benetton, punto di riferimento di una numerosa dinastia, Atlantia aveva appena conquistato la spagnola Abertis, un traguardo che l’imprenditore di Treviso inseguiva dal 2006, e nella capogruppo Edizione si guardava ad altri business, a una nuova fase di diversificazione per impiegare la liquidità. Gli eventi hanno poi avuto il sopravvento e il gruppo, già alle prese con l’emergenza ligure, dopo pochi mesi si è ritrovato a gestire la scomparsa di Gilberto Benetton e una successione assai complessa. Gilberto era l’uomo, in famiglia, demandato a gestire tutti i dossier e ad avere l’ultima parola sulle scelte che contano, avendo già a monte la piena fiducia della numerosa dinastia. Naturale che il sistema collegiale, scelta obbligata nei mesi immediatamente successivi alla morte del manager, abbia fallito prima ancora di essere testato sul campo.
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La dinastia si è così data un anno di tempo per capire se si possono ricomporre equilibri messi a dura prova dal passaggio generazionale. Gianni Mion, richiamato a Ponzano Veneto con il ruolo di presidente della holding , è ora al lavoro per studiare le soluzioni possibili. Ma ricomporre il puzzle è complicato. La stessa nomina di Mion è stata sotto alcuni aspetti una prova di forza tutta interna ai fondatori dell’impero con i rami rappresentati da Sabrina Benetton (Gilberto), Christian (Carlo Benetton) e Franca Bertagnin (Giuliana) che hanno proposto lo storico manager mettendo in minoranza Luciano Benetton ed il figlio Alessandro, obbligati ad allinearsi a una volontà sovrana a cui lo statuto di Edizione affida le scelte che contano. Naturale che gli equilibri effettivi interni alla dinastia ne abbiano risentito con Luciano, simbolo della vecchia generazione, rimasto improvvisamente isolato.
Sta così maturando per alcuni rappresentanti della famiglia la necessità di rivedere una governance diventata troppo stretta e con essa anche una struttura che concede pochi margini di manovra a chi volesse valutare una sorta di scissione di Edizione, entrando in possesso della quota parte del tesoretto accumulato nella holding. Nessun tema è stato posto formalmente da rappresentanti della famiglia, ma c’è chi inizia a parlarne negli ambienti finanziari. Secondo quanto si apprende sarebbero sul tavolo diverse soluzioni, che ruotano intorno a Edizione e alle sue controllate. Ma i tempi, sigillati in un mandato a Mion di appena un anno, si preannunciano più lunghi. «È una fase di transizione, ma una transizione può durare anche anni», racconta una fonte vicina a Ponzano Veneto. È altrettanto vero, però, si fa notare, che gli eventi potrebbero accelerare un percorso ancora non tracciato. Il riferimento è evidentemente a come si svilupperà il confronto in atto sul tema della revoca delle concessioni.
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Tra perizie e iter avviati dal ministero delle infrastrutture, la revoca della concessione, minacciata a più riprese dai Cinquestelle e dal vicepremier Luigi Di Maio, resta un tema irrisolto. E questo nonostante in un certo senso si sia registrato un allentamento delle tensioni con la politica con la discesa in campo di Atlantia nella partita per il salvataggio di Alitalia, non foss’altro perché l’interlocutore dei due dossier è lo stesso. Anzi, era: la crisi di governo nei fatti è destinata a rimescolare le carte. Il punto è che per Aspi, che nel frattempo ha ridisegnato il vertice, con l’uscita di del presidente Fabio Cerchiai e del ceo Giovanni Castellucci (che ha mantenuto la guida di Atlantia), manca per forze di cose una progettualità, impensabile in presenza di un rischio di revoca della concessione stessa. Il piano avviato da Giovanni Castellucci di cessione di quote di minoranze della controllata autostradale è fermo. Inoltre le autostrade italiane, che sulla carta rappresentavano e rappresentano tutt’ora un mercato chiave nell’ambito del disegno strategico Atlantia-Abertis , potrebbero uscire dal perimetro del nuovo polo nel caso in cui passasse la linea della revoca. Con l’aggravante che proprio l’alleanza con Acs e Hochtief nel gruppo spagnolo, a distanza di un anno dal lancio dell’Opa, inizia a dover fare i conti con una convivenza con gli uomini di Florentino Perez che non manca di criticità e nell’ambito della quale l’indebolimento dell’anima italiana non gioca a favore.
Insomma pedaggi e autostrade, che nel sistema Atlantia contribuiscono al 54,7% delle entrate, al 64,2% del margine operativo netto e con 622 milioni, al 57% dell’utile netto, da forza trainante del bilancio rappresentano in questo momento la più grande preoccupazione a Treviso. E così se in passato la strategicità delle stesse è stata sempre un punto fermo per l’azionista, oggi il quadro appare mutato con la famiglia, profondamente segnata dagli eventi di Genova, che secondo alcuni osservatori non avrebbe più le stesse certezze di un anno fa.
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