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Attenzione ai “Libri pericolosi”

Il volume di Giorgio Caravale “Libri pericolosi. Censura e cultura italiana in età moderna” è in libreria per i tipi di Laterza

di Lina Bolzoni

4' di lettura

Libri pericolosi è un bel titolo, e promette bene in tempi e luoghi come i nostri dove poco si legge e i libri non godono di grande considerazione. Mi ha fatto venire in mente quando anni fa abbiamo presentato a Firenze, con l'autrice e Massimo Firpo, il bel libro di Gigliola Fragnito, La Bibbia al rogo. La censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della Scrittura (1471-1605). Ricordo di aver detto che in fondo, con il distacco che il tempo ci permette, dovevamo essere grati ai censori che con tanto accanimento ci mostravano la pericolosità dei testi letterari e così ci facevano riflettere proprio sul potere e la forza della letteratura, che spesso la critica accademica tende a dimenticare.

Archivi romani del Sant'Uffizio

Della ricerca di Gigliola Fragnito e di tantissime altre che in questi anni sono state dedicate al tema della censura ecclesiastica in età moderna questo libro fa tesoro impegnandosi nello stesso tempo ad allargare e arricchire il campo dell'analisi. Vi si trovano fra l'altro i risultati di periodi di insegnamento e di ricerca svolti negli Stati Uniti, oltre che di una lunga frequentazione dell'Archivio della Congregazione per la dottrina della fede; preziosi si rivelano inoltre i nuovi materiali che l'apertura degli Archivi romani del Sant'Uffizio, nel 1998, ha messo a disposizione degli studiosi.

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Al centro della ricerca sta la storia del libro, questo oggetto fragile, a lungo non tutelato, spesso sottratto al controllo di chi l'ha scritto, che chiama sulla scena una serie di soggetti: gli autori, gli stampatori, i censori, i lettori, i librai, i predicatori, ma anche chi diffonde fogli volanti, “piccole scritture”, immagini infamanti, “avvisi” ,chi plagia e riscrive testi altrui, chi comunica oralmente a “semplici et indotti” i frutti delle sue letture. E anche chi interiorizza la censura e rivede e riscrive e mutila la propria opera, come è il caso angoscioso di Torquato Tasso.

L'Indice dei libri proibiti

L'Indice dei libri proibiti ma anche più in generale le pratiche della censura sono in fondo l'altra faccia, scrive Caravale, di uno dei miti della cultura del Cinque e del Seicento, e cioè dell'idea che tutto il sapere si possa afferrare e controllare, di quella ricerca enciclopedica che produce teatri della memoria e biblioteche universali. E fra le pagine più interessanti del libro ci sono proprio quelle dedicate alla fatica che per il censore comporta cercare di star dietro a tutta la produzione libraria. Per questo, paradossalmente ma non troppo, si rivelano utili opere prodotte nel mondo protestante, come la Bibliotheca universalis che Conrad Gesner pubblica nel 1554, un prezioso strumento bibliografico.La preoccupazione per la pericolosità dei libri si fa particolarmente forte nei confronti dei ceti sociali più bassi e delle donne. Menocchio, il mugnaio friulano reso celebre da Carlo Ginzburg, è un esempio di come le questioni religiose venissero discusse ben al di là dei confini controllati dalla Chiesa: il domenicano Ambrogio Salvo da Bagnoli nota che la questione dell'eucarestia viene discussa “insino dalle donne alla finestra”; a metà 500 Pietro Nelli scrive che “il fachin, la fantesca e lo schiavone / fan del libro arbitrio anathomia / e torta della predestinazione”, mentre nelle suppliche delle prostitute si trovano tracce dei dibattiti sulla salvezza garantita dalla fede o dalle opere.

Machiavelli

La condanna di Machiavelli è al centro di una parte del libro. Si ricorda che nel 1539 il cardinale Reginald Pole afferma che il Principe è “scritto col dito del diavolo” e si mostra come la polemica contro le sue idee rientra nell'azione che la censura ecclesiastica svolge per ampliare la propria giurisdizione, ben al di là della distinzione fra potere ecclesiastico e potere civile. Giovanni Botero, con il titolo provocatorio di Ragion di stato, cerca di fornire un antidoto, “una nuova ragion di stato che non fosse in contraddizione con gli interessi della Chiesa e con i principi della pietà religiosa, una dottrina che riconoscesse la religione quale suo ineludibile fondamento”.

Ben al di là del campo propriamente religioso si mostra come la censura investa la scienza, la letteratura, la filosofia e come anche qui entri in gioco quella diffidenza verso il volgare che riguarda in primo luogo la Bibbia e i testi religiosi. Indicativo è il caso di Lucrezio, del suo poema empio che viene pubblicato in latino senza grandi difficoltà, solo accompagnandolo con qualche avvertenza contro i pericoli presenti nella sua dottrina. Il clima cambia quando Alessandro Marchetti a metà Seicento traduce il poema in volgare, in endecasillabi sciolti. L'opera circola manoscritta (verrà pubblicata postuma a Londra nel 1717) e nel 1693 l'arcivescovo di Napoli tuona dal pulpito contro “l'empio Lucrezio traslato per arte del demonio in metro italiano”.L'immagine che emerge da questa lunga ricerca è quella di una ristretta élite sociale e culturale che maneggia il libro con una certa libertà, che anche nei momenti di più dura censura potrà usufruire delle licenze di lettura, una élite che conosce il latino e si può dunque difendere dalla proibizione di leggere i testi sacri in volgare, mentre d'altro lato si crea una vasta maggioranza diffidente verso il libro e la lettura. Sono queste, si chiede l'autore, le radici della difficoltà che tutt'oggi il libro e la lettura incontrano nel nostro paese? Può darsi, ma tanto più allora ci possiamo interrogare su come nel passato e ancor più nel presente reagiamo a questa pesante eredità.

Giorgio Caravale, Libri pericolosi. Censura e cultura italiana in età moderna, Bari, Laterza, pp.533, euro 30

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