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Attrarre talenti per la crescita delle imprese

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In una economia globale sempre più incentrata sugli asset dell’innovazione e delle competenze, l’attrazione del capitale umano - e, in particolare, dei talenti - è uno degli ambiti di maggior competizione fra i territori. Il tema è ancor più urgente a Milano: il progressivo invecchiamento che, nel prossimo decennio, interesserà la popolazione italiana riguarderà, infatti, anche quella milanese. Al 1° gennaio 2023 gli under 15 rappresentano, del resto, solo il 12,4% dei residenti del Comune; una quota ben più bassa del 22,7% degli over 65. Secondo le proiezioni Istat, l’incidenza dei giovanissimi nel 2031 scenderà all’11,5%, mentre quella degli anziani salirà al 24,4%. Rispetto a Londra, Parigi, Berlino, Barcellona, ma anche in confronto con New York e Chicago, il capoluogo lombardo risulta già oggi la città più vecchia. E, tra meno di dieci, potrebbe anche essere la meno giovane. «Siamo consapevoli che una parte importante della competizione su scala globale si gioca, oggi, in campo universitario: sono circa 230mila gli studenti nella città metropolitana, di cui ben 15.700 provenienti dall’estero, a testimonianza di un sistema di formazione accademica di prestigio e vitale, tra i più performanti su scala nazionale - ha dichiarato il vicepresidente di Assolombarda con delega a Università, Ricerca e Capitale Umano, Monica Poggio -. Occorre, tuttavia, costruire le condizioni per trattenere gli studenti nel nostro sistema produttivo al termine degli studi, soprattutto in considerazione dello squilibrio demografico atteso. Ricordo, infatti, che la disponibilità di capitale umano è oggi più che mai fondamentale per consentire la crescita competitiva di un’impresa». Ma nel confronto internazionale Milano fatica, innanzitutto, a farsi percepire come meta attrattiva per i talenti: se guardiamo ai ranking globali che misurano questa dimensione, Milano risulta mediamente 56esima, mentre città come Monaco, Berlino, Amsterdam, Parigi si posizionano decisamente meglio, sopra al 30esimo posto.

Minore è anche l’incidenza degli studenti universitari internazionali: i 15.700 giovani esteri citati rappresentano il 6,8% del totale iscritti alle università milanesi; una quota solo in lenta progressione nell’ultimo periodo (dal 6,7% e 6,5% nei due anni precedenti) e, soprattutto, largamente inferiore ai benchmark. L’incidenza è, infatti, meno della metà che a Parigi (15,1% nel 2021/2022) e Amsterdam (16,9%), addirittura circa un terzo che a Berlino (19,4%) e Monaco di Baviera (20,5%). Il divario diventa poi superiore se consideriamo centri come New York e Londra (rispettivamente con quote pari a 37,2% e 35,4% nell’a.a. 2021/2022), che tuttavia sono facilitate dall’essere anglofone. «Sono numeri che mettono in evidenza come la qualità del sistema formativo milanese non sia di per sé una condizione sufficiente per migliorare l’attrattività - ha aggiunto Poggio -. L’eccellenza delle nostre università è certificata anche dalle classifiche di comparazione su scala globale, in cui più atenei locali continuano a scalare posizioni. Per competere a livello internazionale serve un lavoro in rete tra più attori nell’ecosistema milanese, per incidere su fattori quali disponibilità di studentati, burocrazia e mindset». Approfondendo i dati di Milano, il 45,1% degli studenti esteri dell’anno accademico 2021/2022 giunge dal continente asiatico, seguito dal 37,3% dell’Europa. In particolare, circa un terzo degli universitari stranieri proviene da Cina, India o Iran ma è ampio anche il numero di coloro che arrivano dalla Turchia. Le iscrizioni degli studenti internazionali, inoltre, sono concentrate nei corsi Stem, scelti dal 45% degli studenti esteri e sono rilevanti anche nelle discipline artistiche (5,2%), segno che chi sceglie la città ne riconosce il ruolo di hub tecnologico e creativo.

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