ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùNello stato Victoria

Australia, nuovi incontri tra persone e natura

Un itinerario del gusto da Melbourne alla Mornington Peninsula portano a scoprire le origini aborigene della cultura gastronomica ma anche la filosofia che ispira i nuovi chef

di Sara Magro

4' di lettura

Benvenuti a Narrm. Non ne avete mai sentito parlare? In realtà, molto probabilmente sì: Narrm, infatti, è il nome aborigeno di Melbourne, capitale dello stato di Victoria, da poco apparso sulle mappe geografiche ufficiali dell’Australia insieme a quelli delle altre capitali: Warrane/Sydney, Boorloo/Perth e così via. La scelta del doppio nome non solo riconosce, opportunamente, 60mila anni di cultura aborigena, ma ne fa pronunciare la lingua a tutti. L’identità aborigena è sempre più sentita, manifestata e condivisa, anche grazie al lavoro di Bruce Pascoe, autore del best seller Dark Emu, pubblicato nel 2014 (con 41 ristampe), che ha capovolto il cliché degli aborigeni come uno sparuto popolo di raccoglitori e cacciatori nomadi: al contrario, erano divisi in circa 500 tribù, molte delle quali dedite all’allevamento e all’agricoltura.

L’identità aborigena di Melbourne

Già 6500 anni fa, per esempio, i Gunditjmara allevavano anguille nel lago Tae Rak con un complesso sistema di acquacoltura, considerato il più antico al mondo. Non poteva che essere una tribù stanziale, come dimostrano le fondamenta in pietra delle capanne sulle sponde del lago e i reperti di reti e strumenti di pesca. E la loro terra – Budj Bim – può essere considerata il primo sito archeologico australiano, riconosciuto come Patrimonio dell’Umanità nel 2019. Un traguardo straordinario per la comunità che può finalmente raccontare ai visitatori la sua storia. Negli ultimi anni, la cultura indigena è sempre più considerata un imprescindibile contributo all’identità nazionale. A Melbourne c’è una nuova generazione orgogliosa delle sue origini aborigene, di cui fa parte Kieran Stewart, che fa la guida al Koorie Heritage Trust, un centro di ricerca nella frequentatissima Federation Square, e come Norne, la chef del ristorante Mabu Mabu, che prepara ricette ispirate alla sua tribù, i Komet, e alla sua isola di origine, nell’arcipelago di Torres Strait. Con un po’ di aiuto (e di curiosità) si ordinano nugget di coccodrillo con la maionese, sfiziosi come quelli di pollo.

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L’alta cucina made in Australia

Erbe e aromi selvatici, cacciagione e cotture alla brace sono il filo conduttore della gastronomia australiana contemporanea, anche nell’alta cucina: da Matilda159, nel quartiere chic di South Yarra davanti a un parco botanico e ai grattacieli del distretto finanziario, si comincia con una tartare di canguro e un tenerissimo cavolo cotto sulla griglia. Gli ingredienti sono sempre di alta qualità, perché la terra è generosa, si coltiva in modo sostenibile e quasi tutti hanno un orto. Mangiare bene è scontato, che si tratti di un take away o del ristorante fine dining, come il Doot Doot Doot, all’interno del Jackalope, un hotel-galleria d’arte tra i vigneti della Mornington Peninsula, gli «Hamptons» del Victoria. Lo stile dello chef Simon Tarlington rispecchia quello della struttura, con piatti contemporanei a base di verdure e fiori coltivati a qualche metro dai fornelli. Da Wickens l’orto è diffuso, dietro il ristorante e sparso ai piedi delle Grampians Mountains, un parco nazionale famoso per i trekking. Anche l’anatra e l’agnello arrivano da fattorie vicine, selezionate dallo chef Robin Wickens. Il ristorante è una platea con due palcoscenici: il bosco da un lato, la cucina dall’altro, dalla quale escono portate sorprendenti come l’abalone al barbecue con radice di taro e salsa alle ortiche. Si dorme al Royal Mail Hotel, con le camere rivolte verso i giardini e la montagna. La combinazione alta cucina/piccolo hotel ha quasi 40 anni al Lake House di Daylesford, cittadina famosa per i retreat olistici. Lake House difende la sua scelta edonistico-gastronomica con camere affacciate su un laghetto e una quindicina di ettari tra orti biologici, giardini, piante medicinali, ulivi e vigne, e una bakery che sforna pani, dolci e croissant.

La scelta sostenibile dello Stato di Victoria

Per dimensioni (è grande all’incirca come l’Italia), scarsa densità (ha solo 6 milioni di abitanti) e modernità, il Victoria è un esempio di come può cambiare il rapporto fra persone e ambiente. Alcuni imprenditori, infatti, acquistano grandi appezzamenti per proteggerli da speculazioni edilizie e agricole. Max Vella, musicista in pensione, ha comprato una collina a Cape Otway dove da anni lavora per rigenerare la vegetazione naturale. Nella sua tenuta (googlare “Sky Pods Oatway”) ha messo anche quattro cabine minimaliste con pareti vetrate per non perdere un minuto della vita che si svolge intorno, con canguri che saltellano ovunque e koala addormentati sugli eucalipti intorno. La tenuta scende tra cespugli fioriti fino alla spiaggia, nel tratto chiamato Shipwreck Coast, dove, nei secoli scorsi, le correnti hanno inghiottito centinaia di navi. Il paesaggio è struggente, solitario e frastornante con il rumore delle onde che rimbomba nell’anfiteatro di dune. Vella non è stato l’unico a investire per tutelare la zona. Nel 2000, Lizzie Cork Oam e Shayne Neal hanno fondato il Conservation Ecology Centre per proteggere l’ecosistema di Otway e nel 2021 hanno inaugurato il Wildlife Wonders, ricostruzione di un habitat naturale per canguri, koala, wallaby, potoroo, scriccioli e altre specie. E per ottenere l’effetto “Jurassic Park” hanno collaborato con Brian Massey, il direttore creativo della trilogia del Signore degli anelli. Da qui passa la Great Ocean Road, strada panoramica di 243 km tra il mare e la foresta pluviale, con scorci meravigliosi tra Lorne e Apollo Bay, e il Great Ocean Walk, un cammino di 110 km da fare a tappe. La passeggiata davanti ai maestosi faraglioni – i famosi 12 Apostoli – è imperdibile, come il volo in elicottero per vederli dall’alto. Mare e cielo, roccia e bosco si confondono in un insieme primordiale. Turistico? Un po’, ma evitarlo sarebbe un peccato.

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